Angela Passarello, Piano Argento, Milano, Edizioni del Verri, 2014
recensione di Silvio Aman
Piano Argento, edizione bilingue con versioni in inglese di
Anthony Robbins, è l’ultima raccolta poetica di Angela Passarello. Il volume,
preceduto da una nota di Giampiero Neri e da un saggio di Giulia Niccolai,
presenta quattordici disegni della stessa autrice, situabili fra l’espressionismo
e l’art brut. Giulia Niccolai, che ha
interpretato molto bene il lavoro della poetessa, definisce così Piano Argento:
[…] Piano Argento, per
Angela non può che essere la sua Time
Square, una vasta Piazza del Tempo, una sorta di ampia e profonda conca d’argento
che abbia custodito per quasi una decina di “lustri” i suoi ricordi d’infanzia,
che si sono man mano tramutati in poesia per la sua sensibilità ed esperienza
di vita.
Nelle interviste a poeti e
scrittori si usa chiedere chi siano i loro padri, dimenticando le madri, che da
Saffo in poi hanno costellato il mondo letterario con opere indimenticabili.
Angela è, infatti, molto sensibile ad alcune poetesse russe, fra le quali
Marina Ivanovna Cvetaeva, anche se nella propria scrittura si muove in modo
indipendente. Lo stile è l’uomo, scrisse il conte di Buffon (frase ripresa
dallo psicanalista Lacan) esso colora di sé ogni atto, come accadde a re Mida, e
non è tramandabile per filiazione. Se nella poesia dell’autrice si trovano
riflessi di altri autori (come spesso accade: basti pensare a automnes e monotones nel Paysage di
Baudelaire poi presenti in Chanson d’automne
di Verlaine) ciò è dovuto a un atto d’amore o alle cosiddette affinità elettive.
La vera guida di Angela Passarello è in fondo Μνημοσὑνη, figlia di Urano e di
Gaia, antichissima dea della memoria preposta alla conservazione degli
accadimenti fin dagli albori del mondo, memoria che in questa raccolta appare governata
dal desiderio di ricordare persone, fatti e oggetti della città di Agrigento – patria
dell’autrice – circoscritta alla piazza-onphalos dal luminoso nome di Piano
Argento, Time Square, appunto, tranne
nelle ultime due composizioni In visita
e Flashback legate alla città di
Milano, dove l’autrice si era trasferita.
A offrirle subito il tono al
libro abbiamo, in apertura, la pietra
dell’omonima poesia, reliquia che la poetessa raccoglie fra le macerie della
casa distrutta, e perciò “testimone d’indelebili presenze” poi espresse nel
corso del libro:
adesso che la tua casa è
scomparsa
fra le macerie raccolgo
un’antica pietra
testimone di indelebili
presenze
Dopo questa pietra-simbolo,
appariranno molti oggetti: la vecchia Singer, l’uncinetto, il ferro da stiro, il
catoiu (dove c’era tutta la casa
compreso l’asino bigio in un angolo) i garofani, i tulipani, le quartare, i campi, la valigia, le
canzoni e via elencando, attorno ai cui si sviluppano i vissuti…
con la singer di nero
smaltata
posta in un angolo della
cucina
facevi u’ritipuntu alle lenzuola
sotto la punta dell’ago
scorreva
dalla spagnoletta il filo
bianco
quando imbastivi i vestiti
per la festa
spezzavi il filo con i
denti davanti
nel medio indossavi il
ditale
appariva regale la tua mano
vestita
Fin da queste due prime
poesie, in cui le memorie affiorano senza maquillages,
ma conservandone i loro aspetti umili e spesso crudi, si nota che l’autrice completa
le proprie memorie inserendovi alcuni tratti del dialetto agrigentino, ma non
solo, perché troviamo espressioni e termini in francese, tedesco, inglese oltre
all’arabizzato salaam aleikum. La
forma assunta dalle micro-prose in questione è l’epigramma, non per colmarlo
con prove di virtuosismo lirico, come spesso avverrà in seguito con la celebre Antologia palatina, o di arguzie e toni
satirici alla Marziale, perché esso testimonia il desiderio di rimemorare in termini
oggettivi un fatto, un luogo, un
comportamento, una caratteristica personale, sia pure in modo puntiforme, tramite
dei flash, offrendoci così un’immagine dell’ambiente caro alla poetessa. Ricordiamo
che in Grecia, inizialmente, l’epigramma era posto su monumenti e lapidi
sepolcrali per ricordare un evento o un defunto, ed è in queste due accezioni
che qui si presenta.
Nelle composizioni naïf di Piano argento (naïf nel
senso etimologico di nativo, vero e poeticamente suggestivo, contrapposto a
sofisticato e accademico, quindi senza malevoli riduzioni, se si pensa che il
termine fu impiegato da Schiller per definire la poesie di Goethe) colgo alcuni
contatti con la scrittura di Giampiero Neri, che della poesia non lirica, svolta
nella forma del poema in prosa fino a raggiungere concisioni epigrafiche, si è imposto
come il rappresentante più caratteristico. Si tratta di empatia nei riguardi di
un autore apprezzato o di due percorsi paralleli? Considerando anche i dipinti
e le sculture dell’autrice, molto essenziali ed enigmatici, propenderei per la
seconda soluzione. Ecco, qua di seguito, alcune caratteristiche di Piano Argento, che inclini al dettato laconico
di Neri e al suo ricorso alla memoria – con il verbo costantemente all’imperfetto
– punteggiano le composizioni di Angela Passarello: sulla facciata della basilica/ il muschio si espande/ lungo crepe
vacillanti d’ombre (Via Sa Girolamo). nel
discendere per la via la sua ombra/ si allungava sulle pareti delle case
(Il lattaio). li comprava al mercato a
basso costo/ diceva senza acqua durano nel tempo (Tulipani). sembrava guardarli la sua forma animale/ di
sera poggiata sul prato (La roccia ippogrifo). Parlando di affinità, un autore
che accomuna i due poeti è Lee Masters con la sua Spoon River Antology, se consideriamo il tono di fatale irrevocabilità
con cui si articolano le loro composizioni. A questo punto occorre però far
notare le differenze, perché gli esiti poetici di Angela Passarello sono lontani
da quelli di Neri, quasi tutte in funzione meditativa attorno alla violenza e
al mimetismo. Con un piglio scevro di nuances
psicologiche e musicali, Passarello – nota anche come artista visiva – compone
in modo realistico e laconico, ma ciò può dipendere dalla necessità di esorcizzare
la commozione suscitata da certe figure, ad esempio quella della madre intenta
a cucire o a dar forma alla tipica pagnotta del luogo. A prima vista, le
composizioni di Piano Argento
parrebbero didascalie per scene di genere, mentre si tratta di situazioni
davvero vissute dall’autrice, che le ha poi religiosamente
rilegate assieme al commento visivo tanti bei disegni. Un libro con figure
affascina, e quelle di Angela ottengono anche lo scopo di spostarci dalla
visione molto asciutta delle sue poesie in prosa, come leggiamo in ferro da stiro:
lo muoveva nero nero
sulla superficie di
lenzuola di camice
dai fori il chiarore dei
carboni
percorreva valichi piste
fra le pieghe
impugnava con forza il
manico antico
girava la punta solcava angoli
lati
diceva dal piego dipende la
forma
gli indumenti lisi li
ricomponeva
nell’ordine da lei
stabilito
Riguardo alla struttura, di
cui ho già indicato la cifra, in questa raccolta prevale l’aspetto denotativo
su quello connotativo (al contrario dei disegni) e l’estraneità alla metrica.
In alcuni versi luccicano qua e là rarissime rime: in u’ritipuntu “ditale” in uscita di verso, e “regale” come rimalmezzo.
In garofani abbiamo l’assonanza di “defunti”
all’interno e di “profumo” in uscita di verso, e in ferro da stiro le desinenze anaforiche di -eva, -eva, -ava, -eva. L’assenza della punteggiatura, le mancate maiuscole nelle
parole iniziali e la sintassi semplificata, quasi priva delle particelle in
funzione connettiva, danno una selvatica fluidità al percorso, scandito, tuttavia,
dall’incessante percussione del preterito.
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