martedì 13 dicembre 2016

L’attualità della lezione del poeta Rocco Scotellaro






Sono trascorsi Sessantatré anni dalla scomparsa della giovane voce del primo cittadino di TRICARICO (MT): era il 15 dicembre 1953, a Portici (NA) e per molti critici era anche il primo poeta neorealista che usciva dalla scena umana.
Nato il 19 aprile del 1923 in quella terra dimenticata agli occhi di molti, la sua Basilicata, respirò l’aria della città di Salerno, cara ad Alfonso GATTO, ospite come studente dell’Abazia di Cava de’Tirreni, viaggiò lungo la nostra penisola, da Nord a Sud, studiò in città sempre diverse, senza completare il percorso universitario.
Come molti uomini del sentire civile, Scotellaro, militò in politica e nel ruolo di sindacalista in favore dei contadini ridotti ad una vita di stenti per le condizioni ambientali e per la durezza dei padroni delle terre. Lo Stato era sempre lontano e il Nostro, di fronte ai “ Padri della terra”, decise di realizzare una lista civica (elezioni del 1946) riuscendo a divenire sindaco del luogo natale.
Era giovanissimo e con poca esperienza politica ma amava la sua gente, quella non emigrata dai luoghi natali e nei dintorni, rimasta a nutrire di sudore la poca terra a disposizione.
La sua elezione a primo cittadino durò solo pochi anni “i padroni” lo condussero insieme ai suoi sostenitori “sull’orlo dei burroni” facendolo arrestare con l’accusa di concussione (era il1950):

«Carte abbaglianti e pozzanghere nere /  hanno pittato la luna /
sui nostri muri scalcinati! /  I padroni hanno dato da mangiare
quel giorno si era tutti fratelli, / come nelle feste dei santi /
(…) I portoni ce li hanno sbarrati / si sono spalancati i burroni. /
Oggi ancora e duemila anni / porteremo gli stessi panni. /
Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, /
quelli che strappano ai padroni / le maschere coi denti.»
(da Pozzanghera nera il diciotto aprile)
    
Questa amara esperienza segnò la sua esistenza ma non la testimonianza di fronte alle sofferenze della sua gente desiderosa di riscatto economico e culturale.
Noi che lo amiamo, stiamo vivendo il primo drammatico ventennio di questo Ventunesimo secolo colmo di tutte le sciagure che l’uomo può produrre: guerre, crisi economiche, violenze di ogni genere, genocidi, disastri ambientali, distruzione delle risorse del pianeta che abitiamo.
Lo spirito dell’Uomo non è questo. Come nelle grotte preistoriche le pitture rupestri erano la comunione tra le mani di colui che realizzava il disegno sulla pietra e lo Spirito cosmico (energia percepita), così i versi (la Poesia) sgorgano dalla mano del Poeta immettendo l’energia del singolo in quella dell’Universo.
La poesia di Scotellaro è un canto intramontabile che ha superato il tempo della fine nel suo sorgere e regge tutti noi che lo ascoltiamo.
Oggi, lo scrittore contemporaneo Paolo Saggese, sulla scia degli autori e critici letterari che hanno documentato la bellezza della poesia del Nostro, continua la lotta civile intrapresa:

«Ringrazio preliminarmente gli organizzatori per l’invito rivoltomi e mi congratulo per il Convegno che quest’oggi per una serie di ragioni, cui qui fugacemente farò riferimento. Innanzi tutto, occorre dirlo, la figura di Rocco Scotellaro rischia, con il passare degli anni, di essere confinata in ambiti regionali non solo a seguito di una scarsa attenzione verso la sua poesia che si può registrare in antologie e storie letterarie contemporanee, ma anche a seguito della emanazione delle “Indicazioni nazionali” per i Licei (DM 211/10) in cui, relativamente al Novecento pieno, su diciassette autori citati, non è presente nessun poeta e scrittore meridionale.» 
(da: Rocco e i suoi  “fratelli”, pag. 93, Editore:  Parco Letterario Francesco De Sanctis, agosto 2015).

La lotta civile dei Poeti del Sud continua con la testimonianza viva, come il negativo delle mani nelle grotte preistoriche lasciate dall’ocra soffiata dalla bocca dell’uomo, fatta nostra dai versi di Rocco Scotellaro: 

 «(…) Ma così non si piegano gli eroi / con la nostra canzone scellerata.
Nei padri il broncio dura così a lungo. /  Ci cacceranno domani dalla patria, /
essi sanno aspettare /  il giorno del giudizio. / ”
(da: I padri della terra se ci sentono cantare)
                    

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