lunedì 28 novembre 2016

Su La costellazione dell’assenza

Note di Lettura di Fernanda Ferraresso in Cartesensibili 
toni demuro
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È un inventariare, questa raccolta, ciò che non sta fermo eppure, con la costanza con cui la luce trafigge il buio del cosmo, punge e scava e scorre logorando ciò che, tremendo, profondo, denso, è la sostanza del nostro corpo, che in continuo restaura il passo nella frana del tempo, dove noi, tutti noi viventi di ogni mondo di questo pianeta e oltre, nell’universo, ci collochiamo in un catalogo a tempo. Appare e scompare, come se i fili lievissimi del velo che ci avvolge, per effetto di una luce incatturabile ma in-son-dabile e viva, ci mostrasse, da scorci di noi stessi, cose che in altro modo mai riusciremmo a cogliere e sono l’arredo del nostro cosmo interiore, avviluppatosi come filature di zucchero o bianche brine ad una piccola canna di legno. E di questo ci nutriamo, ammalandoci di tempo, di parole che sono proprio quelle dolci terribili filature che abitano in celle segrete il nostro sangue, addensando o brillando la vita che in esse si riproduce. Terribile non è la morte ma questa vita, così sproporzionata alle nostre modestissime forze, che sola ci tra-volge, e nel suo palmo costruiamo nel nostro breve tempo, il nome delle cose, e queste a loro volta nella nostra bocca suonano le eco e rimbombi di cadute e progressioni lontane. Secoli, millenni: attimi. Un continuo rumore che affonda in noi e ci fonda e sprofonda in un gene che imperfetto costruisce la sua infinitezza. Usurate le parole, usate nell’ingombro dei pesi che creano, fanno quadrato in trame di ordito che sono tela del disegno, si assottigliano e si ingrossano, svuotano o assemblano, silenzi e l’ombra che in questi si muove, corpo di tanti altri e corpo nostro ogni volta.
– … sento un continuo movimento – scrive A.V. Guarino nella sua raccolta La costellazione dell’assenzae quel sentire è l’essere, una marcia di insetti oppure, travolgendo il senso, un marcire di setti in noi sprofondati da ere che non rammentiamo e sono il cuore-fondazione della nostra terra genetica, il dna vertebrale che dall’albero del cosmo ci fruttifica e ci fa cadere, in queste vaste minuscole ampolle amniotiche d’acque magiche, attraverso cui sentiamo cantare il vento dei respiri, ogni parola-storia millenaria che ancora come ragni elaboriamo, costruendo le nostre reti per pescare nell’oscuro oceano mare madre, di cui tratteniamo, in noi, in un punto irraggiungibile a cui tendiamo, un minuscolo frammento, di un nome ripetuto e rimandato da più lingue, fino a stravolgerne per sottigliezza l’origine in un fiato-suono fattosi suolo, dove poggiare  il piede e circondarsi in reticoli di parole-or-me che sono tracce, qui e là cancellate, lasciate nel deserto (del) tempo, da quell’unico piede, di creature incomplete, che ancora zoppo le cede. (…)

Articolo completo qui: cartesensibili.wordpress.com/2016/11/28/la-costellazione-dellassenza-note-di-lettura-di-fernanda-ferraresso

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