«Perché questo contendere e lottare / questa
inquietudine continua? / … il paradiso è un varco da scoprire / … se mi accompagni
in questa digressione / non ti prometto altro che uno sguardo / una domanda verso
un compimento…».
Versi questi che sintetizzano il percorso della nuova pubblicazione
di Alessandro Ramberti: Orme intangibili,
Fara Editore, 2015, pp. 78. Un
libro in versi, un poemetto, che ha a tema il viaggio della vita, la strada e
le sue orme; un percorso fra il grano del bene a cui si aspira e la zizzania del male che ci impantana
i passi.
«Nessuna strada è data a chi si
arresta /… il migrante / è il simbolo vitale che l’attesta»
Una specie di esodo verso la terra promessa, tragitto
intercalato da dubbi e da cadute, ma dove l’autore tiene la barra dritta verso
la meta, affidandosi ad un disegno buono sull’uomo e il suo destino, pungolando
sé stesso e l’interlocutore a cui si comunica.
«… Chi conta su di sé non si
accontenta / … non sa meravigliarsi di sé stesso / dell’esserci del porsi del
donarsi /… a volte tende al nulla, è un distruttivo / anticipo d’inferno».
E con piglio rincuorante Ramberti, di fronte allo
sconcerto di un’umanità sempre più disorientata, propone Colui su cui fondare
la sicurezza del cammino: «Spesso il sorriso è l’unica chiave / in grado di
assorbire i buchi neri /… di scavalcare l’attimo e accettare / la carica potente
di perdono / che sfolgora inchiodata sulla croce / sul Golgota che ha smesso di
tremare».
L’affidarsi all’Uomo dei dolori fa dire all’autore:
«Ritrova il lato semplice e giocoso / la meraviglia dentro il quotidiano / la
scheggia di diamante fra i tuoi cocci /…». La morte, «L’angoscia grande e più
terrificante / non vieta poi a nessuno di lasciare / impronte inconfondibili e
anche sante».
E ancora: «Puoi verificare / la trama che disegna il
tuo tragitto / il fatto che sei più di quel che accade: / se sbagli direzione
puoi cambiare… /. La conversione è sempre una chiamata: / “Vattene” affidati
all’invito folle / che fa di te il viandante del respiro…».
E a conferma di una promessa non mistificante: «Il
Regno è proprio lì con la sua perla / quando siamo abbracciati dal perdono/ ci
accorgiamo della sua vicinanza / nel più celato anfratto della gerla… per continuare
il viaggio sulla terra / verso quella promessa che ci attende /… a noi non resta /
che partire mettendo in fila i passi».
E il pellegrinaggio dalla menzogna alla verità viene
sancito dai versi finali: «Il nostro quid non ha per meta il niente / ma la luce
di una notte sconvolgente… sulla croce l’amicizia di Dio / si fa assoluta e
porta-compimento / qui infatti il bello vive insieme al vano».
Verso straordinario
quest’ultimo, a sottolineare che la vita, nella sua complessità, prevede che in
qualche modo facciamo anche esperienza del vuoto (il vano), ma tutto viene
riassunto in un progetto di redenzione e di bellezza. «Le crepe fanno bene agli
edifici», cioè anche il male e il vano sono in funzione di un destino buono.
«Forse l’evoluzione spiega tutto / o siamo il nesso di
una elevazione?». A suggello della tesi di Ramberti, questo interrogativo offre
al lettore un’ipotesi di vita che ha alla sua base il senso religioso, cioè la
certezza ̶ insita fin dai primordi nel cuore di
ogni uomo e di ogni popolo ̶ che non siamo figli di nessuno, ma di un
Padre che ha avuto pietà del nostro niente, come diceva Isaia, e si è piegato
su di noi. È venuto incontro alla nostra debolezza mortale che, come scriveva
Kafka, avverte che «c’è una meta, ma non si conosce la via per raggiungerla».
Ebbene la Meta, Colui che ha fatto tutte le cose, ha mandato sé stesso in
sembianza umana per dire a noi tutti: “la via, il ponte fra il destino ultimo e
le vostre vite, sono io”, come ha scritto Don Luigi Giussani.
Un libro coraggioso in un momento in cui nessuno si
gioca la faccia con la propria identità, perché nella visione relativistica
imperante si afferma che tutte le ipotesi sul senso del vivere sono uguali, una
vale l’altra, a seconda del proprio gusto.
Una sfida, quella di Ramberti, anche alla pigrizia e
all’ignoranza sul cristianesimo e la sua dottrina, ma anche su ciò che è più
umano. Non solo non siamo più cristiani, ma neppure figli dell’umanesimo tanto
sbandierato, quanto misconosciuto
e censurato, quasi come il cristianesimo.
Alessandro Ramberti si espone senza infingimenti, con
una proposta originalissima fra l’altro anche dal punto di vista poetico:
“quartine in endecasillabi, alternate dalla rima posta fra loro”, come scrive
Vincenzo D’Alessio nella accuratissima prefazione.
Una nuova prova di grande cultura, di conoscenza della
lingua e, soprattutto, di un respiro umano e spirituale che fanno di Orme intangibili un’opera degna di
lettura e di meditazione.
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