di Teresa Armenti
Caterina Camporesi, Muove il dove, Raffaelli 2015
Incastonato tra l’articolata ed analitica prefazione di Anna Maria Tamburini e l’appassionata e profonda postfazione di Gianni Criveller, il florilegio Muove il dove di Caterina Camporesi si presenta come perle di aforismi, di massime e sentenze, assiomi e schegge, che convergono con luminosità nelle metafore intrecciate al ritmo. Le onde del sospiro indagano i ritmi del cuore e inducono il lettore a sostare sugli spazi lasciati vuoti dai versi concisi ed intensi.
E la parola, a lungo meditata e macerata, esce all’improvviso e mostra la sua potenza esplosiva sulla pagina bianca.
La parola non ha bisogno di aggettivi o altre locuzioni, di punteggiatura o titoli, ma appare al lettore in tutta la sua purezza e lo scuote nel suo intimo, esplorando con il silenzio il lato oscuro della vita.
Sono parole acuminate, dense, eppure scabre e limate, precise e raffinate ma in continuo movimento.
Si tratta di una poesia essenziale e concentrata, basata su un lavoro instancabile di scavo, che si serve di una lingua corporea e insieme visionaria, contemporanea e inconsueta.
È il viaggio nei recessi dell’anima, dove si prende contatto con la radice esistenziale del proprio essere.
È un navigare su acque dell’alba, in nebbie di anse, alla ricerca di verità naufraghe, che lambiscono rime, mentre ci si annega nel vuoto rovente. Ad un tratto ci si afferra a crepe d’onda per affrancare la verità da abissi uraganti ed aprirsi al mistero, mentre il buio, a lungo sigillato, sprigiona folgoranti lampi. Ombre e luci si alternano, fessure d’alba e colori del tramonto dischiudono segni e infuocano il futuro, muovendo il dove nell’altrove.
Così si esprime la Camporesi, per rivelare i suoi stati d’animo, la ricerca della verità, mettendosi in contatto con la memoria, i sogni, i ricordi ed armonizzando le dissonanze tra il mondo della ragione e quello delle emozioni.
Psicoterapia e poesia si fondono quando prendono coscienza della condizione umana, diventando luogo e fiato: si afferma, così, l’autonomia della coscienza e la libertà di determinarsi su arcobaleni che radicano luci.
Le sue poesie si possono definire esercizi interiori per la ricerca di orizzonti di senso, tra smarrite preghiere, sulle tracce di S. Agostino e di Pascal.
Il suo stile personalissimo, caratterizzato da un linguaggio essenziale, espresso per sottrazione più che per abbondanza, con una particolare tensione a far coincidere la parola con il suo significato più profondo, si avvicina al pensiero di Cristina Campo che affermava: “Questa esistenza è puro olio soave sull'anima e il corpo”.
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