giovedì 2 luglio 2015

I buchi e i ragni: recensione a Il tocco abarico del dubbio

di Marco Minicangeli

di IL PARADISO DEGLI ORCHI – rivista di letteratura contemporanea
v. anche il blog dell'Autrice 



Quando Angela Caccia mi ha inviato Il tocco abarico del dubbio, una raccolta di poesie, sono rimasto sorpreso. Giuro. Era dai tempo (lontani, sic) dell’università che non mi avvicinavo al “suono” del mondo e non lo facevo perché col tempo mi sono convinto che da quell’orecchio proprio non ci sento. Faccio insomma una terribile fatica ad “associare al suono / odori canti immagini”, così come ci racconta Angela in Propositi, uno dei brani di questa silloge.

Dunque il rischio c’era, il rischio che leggessi questa raccolta e non riuscissi a cavare neanche uno dei ragni dai buchi di Angela. Per cui ho subito pensato di scusarmi con l’autrice e scriverle: “Guarda, ma non è cosa mia”. Però devo dire che le sfide mi piacciono, per cui che faccio? Sì, un bel corpo-a-corpo, una battaglia personale con quello che ha scritto Angela. Tirerò fuori i “miei” ragni dai “suoi” buchi. Piacerà all’autrice questo approccio? Sarà soddisfatta? Non lo so, non me ne preoccupo. Sarò frammentario, di più non posso fare.
Cominciamo dal titolo. Punto abarico, è il luogo dove gravità terrestre e lunare si annullano. Mi verrebbe da dire il luogo delle possibilità infinite, il punto zero tra il reale terrestre e il suolo lunare dove s’è smarrito il senno di Orlando. Ha ragione Angela, quello è il punto del dubbio, una specie di interfaccia osmotica che è il terreno frequentato dai poeti.

La raccolta è divisa in cinque sezioni e l’autrice ci spiega che non hanno un tema preciso. Toccanti sono i due brani dedicati ai migranti — Lì dove sei e Nello sguardo di chi resta — che sono morti nel Mare Nostrum il 3 ottobre 2013 e il 10 febbraio 2015. “Detriti alla battigia” li chiama Angela, “un vago retrogusto / come un rumore di fondo”.

Particolarmente azzeccato ho trovato L’altra me, cioè “la” (“il”) me onirico, quello staccato dalla razionalità apollinea e desiderosa di partecipare a qualche baccanale Dionisiaco. Cosa rimane di questa festa sono gli avanzi di un sogno, o magari i già citati Propositi, quelli che ognuno di noi ha e che Angela descrive come “Tre rosai impettiti / scoppiettanti di bocci”. Immagine potente. Così com’è potente il parallelismo tra “memoria” e “nostalgia”, dove la memoria è qualcosa di asettico che “dipinge quadri” (a me è venuta in mente la fotografia, invece), mentre la nostalgia “preserva il colore fugace della felicità”. Sulla nostalgia Angela tornerà nella seconda sezione in prosa definendola “uno spicchio di passato, incapsulato nel tempo, sottratto al futuro (…) ormai innocuo”. No, scusa, qui non sono d’accordo: la nostalgia non è mai innocua. Stringe lo stomaco, chiude la gola.

Ciò che ho notato è che nella raccolta ci sono parti più poetiche, dove il tempo e lo spazio si fermano, e altre parti più narrative. Uno di questi componimenti è Compagni di scuola, che ho letto col sorriso sulla bocca. In altre sezioni invece l’autrice arriva addirittura a riflettere sull’arte stessa del poetare, del comporre. Una specie di manuale. “Poesia e quella parola che, per fortunate o abili combinazioni, dà più di quanto dice”.

Per finire: leggetevi la prefazione di Anna Maria Bonfiglio. Sarà la chiave per aprire molte porte. Illuminante.

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