giovedì 24 aprile 2014

Linguaglossa su I giorni e le strade


Carla De Angelis I giorni e le strade 
Fara, 2014

recensione di Giorgio Linguaglossa
 
http://www.faraeditore.it/html/siacosache/giornistrade.html
La ricerca di una configurazione del sistema iconico nella poesia di Carla De Angelis coincide con la presa d’atto della scomparsa del «mondo» in cui il poeta era ancora inserito in una comunità e la comunicabilità del suo «messaggio» non era affatto posta in predicato, era la naturale conseguenza di una comunità linguistica. Retrocedendo alla impostazione «classica» (diciamo alla scrittura lineare di una Antonia Pozzi), Carla De Angelis fa due passi indietro per compiere un passo in avanti. L’autrice usa il compasso metrico e il respiro dell’analogia là dove la dismetria invasiva delle scritture contemporanee ha desertificato il linguaggio poetico. Allora, il risultato di una poesia «descrittiva» è la logica conseguenza di una impostazione di equidistanza tra l’oggetto e il soggetto  e di retrogredienza ad una impostazione pre-sperimentale con spunti geografici e paesaggistici di «gusto squisito»:

Vorrei scrivere una bella poesia
poi addormentarmi in questa notte d’agosto
“laudato si’, mi Signore per sor’Acqua
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”
che scenda a curare le
Ferite del troppo sole, come il canto
del fiume per il mare
non come un torrente che travolge uomini e cose
non come un torrente che travolge uomini e case

Siamo ormai lontani dalla lezione di un Franco Fortini il quale sottoponeva il «gusto squisito» ad una spietata critica marxista, oggi sembra che la poesia recente abbia messo da parte la lezione fortiniana, siano, insomma, nipoti rimasti celibi della grande tradizione critica. Carla De Angelis parte da una premessa: è il soggetto che deve raggiungere la contemplazione e, tramite essa, l'oggetto. Fatto sta che quegli oggetti ormai immessi nel circuito della fluidificazione universale, sono di difficile reperibilità e di ardua riconoscibilità e la «poesia» non è un luogo privilegiato che abbia dimora in un lake district al riparo dei venti e delle intemperie.
La oggettistica di questa poesia ha questo di vero: che tenendo ben fermi gli oggetti entro il campo visivo della campitura metrica anche il linguaggio poetico può beneficiare di una impostazione di tipo narrativo.

Aspetto il vento,
se bussa
non chiudo porte e finestre non spio tra i vetri
lo faccio entrare
si accomodi sul divano, gli dico, mi  siedo accanto
lo insinuo nei cassetti
un soffio sotto i mobili
in cantina fra  fantasie e  speranze 
fra bene e male

C’è, sì, sotto la fluidificazione dei versi una inquietudine che trapela appena, ben dissimulata, al di sotto della superficie, come una velata increspatura. Come l’analogia tende alla fluidificazione sintattica e stilistica, così anche il soggetto è sottoposto alle medesime tensioni della fluidificazione «esterna». È questo il problema con cui Carla De Angelis si trova a dover fare i conti, e non è un problema da poco.
Alla fin fine, un problema apparentemente secondario ed astruso come quello del chi è l’«interlocutore» (che l’autrice fa coincidere con il «tu» del lettore), coinvolge e trascina con sé quello ben più complicato della configurazione del sistema simbolico-analogico. Il «tu» intimistico e amicale che incontriamo nella poesia della De Angelis è ancora «lirico», una zattera «lirica» priva dei gommoni e dei salvagente delle scritture post-liriche più scaltrite e culturalmente avvedute ma forse è anche più autentico e spontaneo (se di spontaneità si può parlare con qualche avvedutezza in termini di poesia). È una scrittura tutta «intima» e «interna» al quadro della intimità (violata) appena percettibile, fatta in punta di stilo, sottile fino ad assottigliarsi:

Devo scrivere una poesia
l'ho promesso
sul bene sul male
sulla morale

Aspetto il vento,
se bussa
non chiudo porte e finestre non spio tra i vetri
lo faccio entrare
si accomodi sul divano
gli dico
mi siedo accanto
lo insinuo nei cassetti
un soffio sotto i mobili
in cantina fra fantasie e speranze
fra bene e male

Tutta interna ad una campitura domestica la scrittura della De Angelis incede a rallentatore, indugia su alcuni particolari del «quadro», resta nell'ambito del recinto lirico quale hortus conclusus, spazio esentasse.
Se la forma di abolizione  del mondo quaternario, cibernetico e combinatorio, è l’implosione, all’interno della minima entropia dei microcosmi affettivi entro i quali questa poesia si muove, a ciò corrisponde l’assottigliamento dei flussi e delle maree «interne» ed «intime», così consuete e familiari.

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