giovedì 24 aprile 2014

Su Cambiare di Stato morire di natura di Narda Fattori

CFR Edizioni, 2014

recensione di Vincenzo D'Alessio

Mio lettore, resta sempre molto difficile renderti l’essenza di una raccolta poetica poiché quello che sento potrebbe non piacerti e quello che a te piacerà a me sfugge. Quindi ti aggrada, per l’amore che nutriamo per la stessa poesia, quanto scrivo sulla raccolta della poetessa Narda Fattori, Cambiare di Stato morire di natura, (CFR,Edizioni, 2014).

“Me ne uscirò da me prima che si faccia buio / il cuore nasconderà nel suo guscio duro / ancora sabbia dorata e merli sui castelli”, sono i versi che aprono la raccolta nella prima parte che reca il sottotitolo “A futura memoria” (pag. 17). Per amore del racconto sono ricorso ad un grande della scrittura William SHAKESPEARE, non citando i suoi sonetti, ma prendendo dal teatro e dal personaggio qualcosa che rafforzasse l’idea che ho della raccolta della Fattori: “No. No, affatto. Sfidiamo i presagi; la provvidenza è manifesta anche nella caduta di un passero. Se è ora, non sarà dopo; se non deve essere dopo, sarà ora; se non è ora, comunque sarà. Essere pronti è tutto. Poiché nessuno sa quello che lascia, che cosa conta lasciare prima del tempo ? Vada così” (Amleto, Atto V, scena II).

Il verbo uscire, reso al futuro nella raccolta della Nostra, è il presagio del cambiamento di Stato e dell’affidamento ad un’altra dimensione naturale (anche se la parola Stato è scritta con l’iniziale maiuscola nella raccolta non c’è nessun accenno alla politica). Come per il personaggio Amleto così Narda Fattori affida alla memoria il compito di accompagnare lo svolgimento di questo cambiamento di stato che nella seconda parte della raccolta si arricchisce del “morire di natura”. L’anafora “me ne uscirò” posta all’inizio è la partita giocata con la sconfitta finale senza essere venuta mai meno.

Sono versi che indicano la certezza degli eventi (“sabbia dorata che rimarrà ancora nel guscio duro del cuore”, pag. 17), “i castelli” costruiti per la difesa dei propri sogni e che nel finale della raccolta racconta a chi segue la poetica fattoriana le battaglie perse con la vita: “(…) E un figlio ho avuto e altri mille ho amato / e mi sono fatta saggia e salda – di principi - / e li ho fatti vivi e la vita se li è presi / a me è rimasto un vuoto che quando penso / si slarga a dismisura e impasta terra” (pag. 67). In questo modo tutto accade all’ombra di un tempo oscillante tra desiderio di restare ancora in questa eternità alla luce del sole e il cambiamento di stato sottoforma di energia creativa. Non a caso nei versi si ritrova sovente “acconciarvi” , “acconciarmi”, quasi come se il lavoro di madre/custode dovesse continuare in difesa di chi si ama anche dopo la scomparsa terrena, contro “gli spigoli acuti”:-.

Più che un testamento spirituale tutta la raccolta vibra della consapevole volontà di continuare l’esistenza, in forme diverse ma con la coscienza di partecipare, senza smarrire l’io che snoda in un racconto tutta la bellezza della conoscenza terrena e il ritorno allo stato di natura, al quale ci chiama la nostra nascita: “vedo il rischio l’orlo dell’abisso / salsedine sul ciglio dei viventi ossidiana / là dove il midollo trasmetteva senza soste / impulsi a andare a resistere a restare testarda” (pag. 26).

Molto bella la prefazione a questa raccolta poetica realizzata da Bruno Bartoletti che avvicina la Nostra alla figura di Emily DICKINSON: “Anche a Emily Dickinson (la ricordo non a caso, come posso non ricordare Margherita Guidacci, alle quali tanto si avvicina Narda Fattori) il sentimento della morte fu una costante compagna di viaggio” ecc.). Per analogia poetica con la Nostra ho scelto della poetessa americana questi versi: “Questa è la mia lettera al mondo / che a me non scrisse mai – / le semplici notizie che la natura disse - / con tenera maestà.”

“La natura, che abbraccia la nostra esperienza e forma la nostra sensibilità, è scuola sempre generosa di vita e sorprendente”: questo scrive Alessandro Ramberti nella recensione realizzata a quest’ultima raccolta della Fattori.

“Mi guardano dall’interno i miei morti” (pag. 25) scrive la Nostra e i versi lunghi ricchi di metafore, sinestesie, iperbole, similitudini, l’enjambment, raccontano a noi, caro lettore, il mito degli oggetti, dei paesaggi, delle esistenze reali, trasformate in poesia dalle mani forti e callose di una donna poeta: “(…) Eppure siamo per scambiarci parole piene / per estrarre dolori come spine sottopelle / a sudare la terra per il pane / per meritarci i nostri avi contadini / con le mani di calli e compassione” (pag. 28). Come potremmo noi non condividere questo racconto? Dura da millenni, è la vita di noi uomini che si affidano alla memoria per sorridere come fanno i morti raccontati dalla Nostra.

Anche se la poeta non scorge la provvidenza amletica ma ci pone di fronte al fattp che “invochiamo un dio che non risponde” (pag. 28), la solidarietà antica degli avi torna per meritarci la compassione del superamento condiviso di fronte al dolore. Un racconto poetico superbamente incarnato nei versi che lasciano a noi che leggiamo la bellezza dell’eternità: “(…) non resterò senza un mistero senza una fiaba / senza un trasalimento e mano con mano / mi porterò dove il lupo gioca con l’agnello / e le donne sono belle ogni alba più splendenti / e amano gli uomini e le donne e i bambini / e i bambini non sono angeli sono uccelli / in lenta migrazione…” (pag. 64).

Mio lettore, che mi hai seguito fin qui dimmi, non è questa l’immagine del vero Paradiso, dei Campi Elisi, della Bellezza, di cui oggi tanto si parla? Non abbiamo perso ancora nulla se dai versi di una raccolta così bella possiamo, dal chiuso di una stanza pregna di polvere quotidiana, migrare da uno stato all’altro di Natura per pochi preziosi istanti di colore. La poesia plasma il dolore nelle forme della morte per risorgere nell’eternità della memoria degli uomini.

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