venerdì 8 febbraio 2013

Mario Fresa. Ritratti di poesia (29)













Giacomo Leronni









Al centro della scrittura potentemente lucida e assertiva dell’ultimo libro di Giacomo Leronni, Le dimore dello spirito assente (editrice puntoacapo, 2012) sta la consapevolezza di avvertire la scena del reale come un intrico di forze ostili e minacciose, attraversate sempre da brandelli di verità inautentiche e illusive. Il perimetro spaziale nel quale si muovono i versi di Leronni disegna un’intelaiatura visiva di rigorosa e acuminata asciuttezza, in cui l’assenza di punteggiatura evita, da una parte, l’enfasi declamatoria e il pathos di una verbosa ridondanza, ma accentua e svela, dall’altra parte, con una maggiore e più ossuta durezza, la tragicità misteriosa emanata dai versi, consegnati alla forza contratta di una comunicazione drammaticamente ansiosa e spezzata.
La voce di Leronni indaga, con inesausta sollecitudine, i segnali dell’incongruo e l’inanità della stessa presenza umana; e i conflitti, le lotte, le aspre interrogazioni sono tutte combattute nell’interiorità dell’io, teatro di incertezze e di rovina, di insensatezze e di feroci distruzioni. Anche i luoghi e i segnali del tempo, gli oscuri messaggi delle sue tracce opache, sono percepiti e contemplati come l’immagine di una perenne e irrefrenabile lacerazione, come l’aprirsi incontrastabile di un infinito precipizio. La crudele indecifrabilità del mondo affida, così, la parola poetica alla rilevazione di un deserto nullificante che non concede alcuna forma germinativa di scioglimenti ricompositivi o di approdi riconcilianti.
La ricerca di una verità risolutrice preme senza sosta la dolorosa richiesta di ascolto del poeta.
La parola si dimostra delusiva e incompleta, fragile e vana: perciò il soggetto monologante avverte, in ogni istante, il pericolo rovinoso e il mortale ammonimento di una realtà inaccettabile, registrando l’invasione – se non l’irruzione – di un male sotterraneo, tanto difficile da individuare, quanto impossibile da fronteggiare e da respingere. Le tenebre dell’insignificanza si mostrano come un nugolo estenuante, in cui la forma desertificata, diresti quasi ossificata dei versi esclude ogni redenzione utopistica, nel segno di una radicale destituzione di qualsiasi virtù risanatrice del pensiero poetico: la registrazione di un’assenza incolmabile si trasforma, dunque, in un esilio del senso e dell’identità, in una specie di teologia negativa che, stanca di ogni possibile ricerca, si riconsegna al buio estremo dell’indicibile e dell’inconosciuto.









Il rumore delle chiavi
la soglia risorta


all’imbrunire
quando credi nelle acque



nella piena fisicità
che solo la nebbia sa dare



nel punto in cui s’intorbidano
le parole del cielo


e il freddo ascolta i petali



lungo la prima voce
nell’istante esatto del tuono



nel ventre della morte
che addenta.













Giacomo Leronni (Gioia del Colle, 1963) è insegnante di lingua francese nella scuola secondaria. Ha pubblicato molti suoi testi su alcune importanti riviste del settore. Ha vinto, fra gli altri, per l’inedito, il Premio Nazionale di poesia LericiPea (1998) e il Premio Nazionale Castelfiorentino (2009). Nel 1999 ha partecipato, per la poesia, al convegno/laboratorio RicercarE di Reggio Emilia. Polvere del bene (2008; Premio A. Contini Bonacossi  2009 per l’opera prima) è il suo primo libro. Altri suoi testi inediti sono confluiti nelle antologie Quanti di poesia. Nelle forme la cifra nascosta di una scrittura straordinaria, a cura di R. Maggiani (2011), Frammenti imprevisti. Antologia della poesia italiana contemporanea, a cura di A. Spagnuolo (2011) e Dentro il mutamento, a cura di M. Lenti (2011).
















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