lunedì 11 febbraio 2013

Il ventaglio rosa

di Vincenzo D'Alessio

Nell’inquieta storia del Regno di Napoli figurano, sul finire del XVIII secolo, figure di donne eccezionali che daranno vita con energie inaspettate al Risorgimento che porterà all’Italia Unita nel 1861. Alcune di loro hanno pagato il tributo di libertà con la perdita della loro vita: cito per tutte loro la poetessa Eleonora Pimentel Fonseca.
I suoi versi ancora oggi risuonano dell’ardore contro Maria Carolina d’Austria e il tiranno Borbone:

Rediviva Poppea, tribade impura,

d’imbecille tiranno empia consorte

stringi pur quanto vuoi nostra ritorta

l’umanità calpesta e la natura…
( sonetto, datata 1798)

La voce femminile nella poesia non ha avuto grande spazio nelle fiere letterarie, nei premi accademici, nelle pagine antologiche. Eppure le voci poetiche femminili formano l’universo più alto del sentire, la forza più vera dell’essere che dona la vita ai figli mettendo a repentaglio la propria, la forma di vita sensibile più vicina alla Natura nella sua ciclicità e maggiormente maltrattata, fino al femminicidio.

L’Irpinia ha donato diverse poete che nei secoli non hanno visto riconosciuta la loro poetica. Sono le voci di maestre di scuola, di mamme impegnate nel sociale, donne che scioglievano nel silenzio canti di amore e di dolore per l’esistenza stentata nei campi, a dirigere famiglie numerose, sempre accanto ai propri uomini nelle lotte contro “i padroni”. È la voce di Anna D’Agostino:

“(…) senti, dietro le alte siepi / dell’odio e del benessere, / rantoli fiochi / e rosse grida recise.” (Il tuo cuore)

di Lina Avallone: “L’indovinai sulla tua faccia pallida / un segreto dolor, che t’affligeva, / mentre una febbre incognita / sul tuo figlio incedeva.” (A mia madre)

Nel percorso del tempo la poesia contemporanea irpina si arricchisce di altre splendide esperienze poetiche, questa volta incoraggiate a pubblicare dalla vastità dei concorsi letterari, dalla presenza delle piccole case editrici locali, dalla sapiente opera di riabilitazione della parola poetica operata da critici letterari attenti ad evitare drammatiche stroncature, come il battagliero Paolo Saggese. Tra queste spiccano poete attente, oltre alla bellezza, all’Amore, all’eterna aspirazione del sublime, alle sorti civili della terra che le nutre e al destino della propria discendenza.

Tra queste spiccano le voci di Elisabetta Cappa (1947-1994); Maria Luisa Ripa (1966-2003); Maria Luigia Cipriano; Giuseppina Luongo Bartolini; Claudia Iandolo; Luisa Martiniello; Maria Rosaria Di Rienzo; Anna Maria Gargano; Oriana Costanzi; Nunziatina Policino; Maddalena Verderosa; Vera Mocella; Monia Gaita e Franca Molinaro. Accanto a queste spiccano per l’impegno a sostegno della poetica irpina le voci delle poete: Emilia Dente, la cui raccolta di poesie Tarassaco e viole, pubblicata nel 2009 dalla casa editrice FARA di Rimini , reca al suo interno tutto il magma del nostro Sud, la purezza del linguaggio lucido e breve, la forza dell’immersione nei luoghi e nelle cose che fanno del quotidiano il mondo dell’immaginario collettivo:

“nella mia terra / non sono solchi  / le ferite lungo la via / (non ci è concesso seminare) / ma fossi / fossi da saltare / fossi in cui cadere / fossi per seppellire  / l’amara nostra speranza”.

La forza dell’anafora, in questi versi, rammenta le secolari difficoltà del nostro Sud che lotta prima di tutto al suo interno: contro le invidie, le malversazioni, la violenza delle mafie, i politici, i preti, gli imbroglioni, la continua oppressione della borghesia arricchita e non più colta; poi la lotta si dipana da secoli, senza soluzione di continuità, contro l’abbandono della terra, dei luoghi, dell’agricoltura, degli artigiani, delle forze creative costrette ad emigrare per sempre, lasciandosi alle spalle i propri morti, le proprie sconfitte senza rimedi.

A questa poeta si aggiunge la voce solenne di Giovanna Iorio, oggi lontana dai luoghi natali irpini per scelte lavorative, che spinge con forza immensa il verso ad essere parola tagliente, selce per il “fare” poetico, energia che immola sull’altare della Letteratura Italiana contemporanea le nuove passioni in versi:

“Sono qui / da duemila anni  / quanti cerchi  /nel cuore  /un tempo qui  /venivano a pregare  / prima del raccolto  /e la spremitura  /ho vergogna  /di quello che vedo  / ho orrore  /di quello che sento / terra ammalata  /ovunque immense ferite  /mia madre parlava / una lingua soave  / il mio olio bruciava  / sull’altare.” (canto 13, Mare Nostrum, CFR Edizioni, 2012).

La metafora tra l’ulivo e la poesia, con la forza dell’enjambement, indicano al lettore la grandezza della terra del Sud: scelta dai Greci per fondare la “Magna Graecia”, dalle coste campane a quelle calabro sicule, con scuole di pensiero come quella di Elea (odierna Velia); scelta dai Romani per impiantare le ville più belle e la fonte del sapere nella fondazione della Biblioteca dei” pisoni” ad Ercolano; scelta dagli Spagnoli per farne città d’Arte nel secolo del Barocco con la venuta dei più grani talenti del tempo da ogni parte del nostro pianeta. Sud antico di millenni e ricco di ogni ricchezza umana, poetica, d’intelletto. Sud poverissimo di lavoro dopo la scomparsa dell’agricoltura, delle fabbriche legate al suo territorio, impoverito dai terremoti, dallo spopolamento migratorio, dalla fuga delle forze migliori che pensano.

È vero, oltre all’odio per “i filosofi”, nel nostro Sud ancora c’è la discriminazione per le donne, per il loro emergere nel sociale. Troppa indifferenza alle voci vere che maturano culturalmente. Troppi pregiudizi legati alla femminilità. Li scopriamo nei versi folgoranti della poeta Anna Ferrucci:

“Ma… la poesia ti sperderà nell’immenso inebriante.  / Spegnendo l’ipocrisia  / che attornia con i singhiozzi della semplicità,  / ti riparerai dall’angoscia che inonda  / smisuratamente la tua età. // A galla verrà la donna che sei sempre stata.” (Anna, 1997)

Nella discesa verso l’orizzonte roseo della nostra segreta terra del Sud vorrei concludere con la parola sapiente e ricercata della poeta Antonietta Gnerre: forte e meditata, colma di calore, profondamente innervata nelle radici naturali della sua poesia, imbevuta del fascino del mistero universale che ammalia il mondo di chi legge e lo rende partecipe del divenire:

“È salda la mia dimora  / in questo sogno  / la terra è una mappa  / su cui poggio i piedi  / s’incrina il cardo  / schricchia sul pianto  / del mattino risuona  / sulle tare nevrotiche / di questo duro Sud” (Fiori di vetro, Fara editore, 2007)

Troppo a lungo la voce delle poetesse del nostro Sud ha sostato nella solitudine dei cuori. Oggi c’è bisogno di nuovo calore per assaporare il profumo di questo ventaglio rosa.

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