-->
«Una
silloge compatta, costituita da trenta frammenti che compongono un “poema
dell’assurdo”. Mi si perdoni la formula d’impatto; mi spiego meglio: la neve a
Napoli. Ecco il presupposto (presunto o reale) di chi “attraversa la città” e
in essa la storia (del proprio vissuto e della città stessa) con competenza
stilistica e capacità “lirica” (nonostante la struttura del testo tenda di
frequente verso una “quasi prosa poetica”), proponendo un versificare disteso
ma attento al dettaglio: «Intuire quel che non può
essere colmato sedersi / affondare la mani nella terra sperare nelle nuvole /
che piova, sentire l’odore di zolle bagnate alzarsi/camminare fino alla cresta,
vedere il cielo allontanarsi / voltargli le spalle, lasciarsi cadere, sapere /
crollare.» (Giuseppe Carracchia)
«A Napoli
nevica quasi mai, così, se accade, sembra compiersi un evento, un segno
benigno, quella promessa bianca che ha la forma della manna: “Abbiamo confuso la minaccia di neve con /
la sempre promessa e mai caduta manna, lo stesso / candore lo stesso deserto ma
altro nutrimento altre / rovine, nessuna terra promessa, se non questo /
catalogo / di cose da dire di strade di cristalli che si sciolgono / prima di
toccar terra per diventare fango, poltiglia. / Ci sorprendemmo a guardarla come
un incanto / appena accennato, un disegno appena abbozzato.” (da XXII
frammento, Napoli 2007).
Eppure, da quel “abbiamo confuso”, appare chiarissimo che l’evento atmosferico
non è mai una semplice registrazione di grazia: attraverso trenta “frammenti”
l’autore ricrea una genesi profonda e insieme una genealogia (nel senso dei
suoi legami ancestrali non solo con le sue origini pure ma anche col rovescio
della [loro] medaglia: cerchi sciolti, fanghi e scale di grigi…) della neve in
una terra che non la trattiene e che piuttosto si sveglia nel gelo di fanghi e
pozzanghere, una realtà che brucia sin dal primo movimento reale appena dopo lo
stupore. È un libro di contraddizione e per questo di un fascino misterioso e
doloroso, in una ciclicità stagionale che mantiene (solo e soltanto, guardando
bene) l’accecamento di un nero fitto. “Ogni gesto è il suo contrario come / un mai
e un sempre” (XXIII frammento,
Napoli 2007): e tutti i mai e tutti i
sempre convivono come fanno il bianco
e il nero, il desiderio di volgere gli occhi al cielo e la forza di gravità che
li spinge sempre a terra.» (Anna Ruotolo)
La neve e la sua caducità. La vita e la sua possibilità di conservarla. Il
verso lungo della prosa tengono il passo del mare, del vento, e nulla concedono
alle rarità del tempo: le pause. Passaggi
e ripetizioni da cui si cerca di sottrarre la differenza capace di trasformare
la vita in ricordo. (Sebastiano Adernò)
La neve
Qualcuno ci ha promesso
qualcosa?
E allora perché attendiamo?
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)
E allora perché attendiamo?
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)
(I frammento, Napoli 2007)
… noi siamo già quel che voi
sarete domani.
sarete domani.
La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista
se non nella bocca a nord del vulcano
nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia
che ricorda quel che non abbiamo temuto abbastanza
ma il gelo, quello sì, è dentro di noi fino alle ossa
e lo sentiamo che morde le giunture e crepa le ossa
fino al midollo. Ce ne accorgiamo dai sorrisi tirati
dei passanti, dai gesti circospetti di chi vive per strada
dalle urla dei ragazzi impresse nell’aria, dal nostro
esitare.
E non ci sono di conforto i nostri sogni agitati in piena
estate
lo scambiare la notte per il giorno o il ricordo di una
madre
il tepore della sua ombra. E se anche qualcuno di noi
si chiede qual è il respiro di queste strade, del loro teso
vibrare, della luce che apre spazio tra palazzi e i nostri
incerti passi affrettati rimarrà come un brusio di fondo
tra risate e un colpo di clacson. Tra misericordia
e cielo non c’è più tempo per esitare. L’assedio
è dentro le case. E’ tra la mano e il buio di stanze
abbandonate
e non serve ritrarsi di scatto, anche le mura sapranno chi
siamo
scrutando la paura nei nostri occhi e allora potremo solo
obbedire
ascoltando il silenzio che si insinua tra il vocio e il
magma di piazze
e strade, che invade portoni e giardini a mezzacosta, che
copre
frammenti di dialoghi affamati di bocche e cuori e allora,
tra vestiti
gettati e l’odore di arance cadute, saremo veri e senza età
come chi dovrà morire sul serio.
(II frammento, Napoli 2007)
Il bianco sporco della neve si è fermato
nel riverbero delle colline intorno a una voragine
di morti lavati via da marciapiedi e palazzi spalle al mare.
Ci ricorda ora qual è il sale della terra: la maledizione
per le nostre ferite aperte per i giri viziosi nelle pieghe
del cervello. Ogni giorno è un vortice di visi
che sprofondano nel riflesso di vetrine sfondate
nell’assalto di luci e sguardi, in queste boccate che
cercano aria
e un ricordo che riannodi il filo spezzato delle nostre
vite.
Ognuno è appeso alla radice dei capelli per provare
di esser vivo, tra orari imparati a memoria finestrini
appannati e lo stridore di minuti, secondi che crollano.
Ognuno è appeso a quest’eterno presente d’asfalto
e serrande abbassate all’ultimo sussulto del giorno
al negativo impresso in questo cielo di false promesse
di occhi sbarrati e non ho giuramenti da fare
davanti al cupo orizzonte di questo mare
al suo fermo oscillare, se non che sono qui, ora,
nel gelo di un’estate senza fine e non so nulla se non
che l’attesa sarà questa banchina senza treni il silenzio
dei fili mossi dal vento l’erba tra binari e pietre
addossate
o forse
l’azzurro profondo del cielo.
(III frammento, Napoli 2007)
Nella
solita vergognosa estate,
così esposti a questo niente,
ormai tutti sanno
che nessuno può essere innocente.
Ogni perla ha un suo peso
(V.M. Frungillo)
così esposti a questo niente,
ormai tutti sanno
che nessuno può essere innocente.
Ogni perla ha un suo peso
(V.M. Frungillo)
Raccoglieremo le ombre esposte a questo niente
di lungomari chioschi e bottiglie rotte.
Non ci daremo la mano per paura di scoprire
quel che siamo da sempre, per non iniziare
il nuovo giorno, il principio di ogni morire, ma
scaveremo nel fondo delle tasche sgranando le poche
briciole rimaste del pane datoci in sorte, da una vita
che non abbiamo chiesto da un’alba che stenta
a riconoscerci da questa fuga di pavimenti e terrore. La
pupilla
fissa il primo raggio di sole dietro queste colline
avvolte nel fumo degli ultimi fuochi, nell’eco di voci
che non trovano casa o la pace promessa da finestre e
balconi.
Non sarà strano ritrovarsi nella vertigine di motorini
che sciamano, ora che abbiamo accettato la sfida
di una strada che non dà ragione né torto ma chiede
un tributo di sangue e occhi abbassati. Ogni giorno
non sarà come il precedente ma scenderà più giù
per saggiare il fondo delle nostre vite, per sapere
se siamo pronti per questa città che ci assale alle spalle
che non lascia prigionieri se non l’offerta dei nostri
sguardi
tagliati, dell’ultima ruga in fondo al viso, di questo lento
finire.
(…)
Francesco Filia nasce a
Napoli nel 1973, dove vive e insegna filosofia e storia in un liceo cittadino.
I suoi interessi si muovono tra la ricerca filosofica, la critica letteraria e
la scrittura poetica. Suoi versi e recensioni dei
suoi testi sono apparsi su varie riviste (cartacee e on-line) e blog letterari.
Sue poesie sono presenti in varie
antologie, tra cui Il miele del silenzio, a cura di Giancarlo
Pontiggia (Interlinea, 2009). Tra gli altri, è stato vincitore della sezione
inediti del premio Dario Bellezza (edizione 2001) e finalista del premio Città
di Tortona 2008, per l’opera edita. Ha pubblicato il poema in frammenti Il margine di una città (Il Laboratorio, 2008).
Opere segnalate
UNA FORMAZIONE MUSICALE
di Raimondo Iemma (Torino)
di Raimondo Iemma (Torino)
«La formazione musicale del titolo di
questa raccolta rispecchia esattamente la ritmicità ben calibrata che ne
contraddistingue i testi. Un verso lineare, anche se spesso franto in
enjambement e scandito da una punteggiatura forte, decisa, che rimanda
costantemente il punto ultimo, creando un intreccio semantico e sintattico
chiaro ed efficace. Una “musicalità” mai banale, ma a tratti semplice, e
semplicemente evocativa, che permette di tenere
fissa una nota, per la quale si
direbbe occorra amore. Poesia “istantanea” non nel compiersi della
scrittura (che denota una struttura ricercata, anche nella ricchezza lessicale)
ma nel rappresentare il mondo attraverso stupore e sbigottimento, per poi
accedere – talvolta – a una rara, curiosa
sospensione poetica: … come sarebbe
sostare / ai confini di una sala d’aspetto / prima della nascita dell’aviazione
civile.
Vero e proprio taccuino di un
“osservatore sociale”, che abbandonato (per il tramite di Benedetti in esergo)
il gratuito pessimismo adolescenziale – troppo spesso da tanti trasformato in
manierismo decadentista – affronta il mondo con sguardo attento, talvolta anche
a denti stretti, e con sagace ironia.» (Giuseppe Carracchia)
«Una formazione
musicale è una sorta di romanzo di formazione (appunto) in versi. Già dalle
citazioni in esergo si confessa il bisogno di questa particolare scrittura: la
maggiore età esige sincerità, coraggio e versi essenziali, scarnificati e
precisi. L’essenzialità (senza che si scada in minimalismi distruttivi) è il
pregio di questa raccolta che ricrea un passato e un presente libero da
infrastrutture e pre-condizioni, capace anche di dissacrare senza smottamenti
strani, ma con la forza della costruzione arguta: “Per ogni nuova legge promulgata / conviene darsi un bacio molto lungo.
/ Ogni volta che un / licenziamento / diviene esecutivo / desidero il tuo corpo
nudo. / Ho fatto consegnare un fiore / alla segreteria del / presidente. / Una
frase gentile appena sveglio / la voglio dedicare al parlamento. / Da quando ti
ho incontrata non ricordo / a cosa serva il capo del governo.”» (Anna Ruotolo)
Gli altoparlanti
Amici tuttofare
I miei amici non
sanno vestirsi
hanno rapporti altalenanti
con le donne
lineamenti
irregolari
e neppure in quanto
a orari
possono essere presi
a modello.
Essi sono tuttavia
abitudinari
fino allo
sfinimento, feticisti
spesso di qualcosa,
intransigenti
nella loro
ingenuità. Per questo, li amo.
Come i gatti di
Eliot hanno tre nomi:
quello di battesimo,
un soprannome
ispirato al loro
modo di stare al mondo
e un terzo
appellativo, quello vero
che sapranno solo un
giorno.
Quando anch’essi,
come tutti, moriranno.
Messaggio da uno
schermo dell’aeroporto
Non è notte e non è
l’alba
in questo spicchio
terrestre
ancora nel regno
della gravità.
Il rullo della scala
mobile
anche lui
raggiungerebbe
Andromeda, invece di
tornare.
A una spianata di
luci artificiali
il corpo può
rispondere con sottili lacrime
qualunque sia il
paesaggio interiore.
Curioso: come
sarebbe sostare
ai confini di una
sala d’aspetto
prima della nascita
dell’aviazione civile.
Situazione
Un fiore di carta
stagnola
deposto sul palmo
della mano
sfoglia la ragazza
prima
di gettarlo altrove.
Irrompe, ridendo,
come in un museo
di storia
contemporanea
che illustra i
quadri di un capriccio.
L’acqua dal
rubinetto è una cascata
equatoriale. Se una
mensola cede
è il crollo stesso a
venir giù.
Sulla tavola un
resto di verdura.
Anche da spenta
mente la tv.
(…)
Raimondo Iemma è nato a Torino nel 1982. Ha esordito nell’antologia La riqualificazione urbana e altre poesie (Coen Tanugi Editore). Nel 2005 ha vinto il “Premio Sandro Penna” (da cui la plaquette Ultime questioni aperte, Edizioni della Meridiana) e nel 2006 il “Premio Fabrizio De André”. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie luglio (poi vincitore del “Premio Beppe Manfredi opera prima”) per la collana Festival di Lampi di stampa, diretta da Valentino Ronchi.
UMANISSIMO DESERTO di Giulio
Maffii (Buti, PI)
«Umanissimo deserto lascerebbe presagire dal titolo
“paesaggi sterili”, ma – quasi per un salvifico contrappasso – attraversando
l’idea della sterilità s’approda sin dall’inizio ad un accumulo, in chiave neo
orfica, di salvezze: «Invoco
un nome uno qualsiasi / del protettore dei naufraghi». E ancora: “Uno a uno confessiamo / di voler sgorgare dalle pietre / nella melma
nel limo e di là / da come ci hanno raccontato / di là da come ci illudiamo”. Una silloge di cui non è affatto facile parlare, che si divora nella
lettura e che divora chi la legge. Costruita mediante l’utilizzo d’una sintassi
che esclude l’ordine della punteggiatura, liberando la parola da ogni vincolo
strutturale e obbligando il lettore a partecipare attivamente alla
comprensione/creazione di un ritmo e di un motivo che sostenga il testo. Qui la misura è dettata dallo scudiscio che batte in controtempo e scandisce lo spazio del testo secondo il
vissuto proprio di ogni lettore. È una poesia sinestetica, altamente simbolica,
che stimola la memoria affettiva attraverso la consapevolezza dei sensi: “… tra
pietra e pietra / una lanterna / e la sua luce afona; … È qui che passa e non si sente / il tonfo lo schianto del
cammino / lo scarto di certe desinenze / il sacro odore del mattino; … Passa e
sofferma l’incanto / il gatto o il cane ormai di vento / unguento di radici e
sogni estinto / medicamento di un cammino / odore di legna e resina bruciata”. Un versificare in cui, senza un luogo ben preciso, senza una
forte circoscrizione sintattica, “accadono
… persuasioni indelebili verità”.» (Giuseppe Carracchia)
UMANISSIMO DESERTO
In tanti aspettano il ritorno
per farsi gettare in faccia
ortiche e pietà
lo scudiscio batte la misura
Ci si aggrappa alle parole
agli escrementi del cuore
sull’erta sugli abissi
sulle bestemmie devote
Non resta altro
nelle stanze vuote
per farsi gettare in faccia
ortiche e pietà
lo scudiscio batte la misura
Ci si aggrappa alle parole
agli escrementi del cuore
sull’erta sugli abissi
sulle bestemmie devote
Non resta altro
nelle stanze vuote
IL DIMENTICATO
E come io sono dimenticato e vorrei essere dimenticato così vorrei
dimenticare
T.S.Eliot
Non vi porterò con me
e ritrovarsi immutati
dopo tutti questi anni
sembra un gesto impossibile
eppure pensa l`esergo
prima del fango
la carne si dilania
nella litania di sangue e grida
tribolazione fatica e pena
per dare vita a un`altra vita
e ritrovarsi immutati
dopo tutti questi anni
sembra un gesto impossibile
eppure pensa l`esergo
prima del fango
la carne si dilania
nella litania di sangue e grida
tribolazione fatica e pena
per dare vita a un`altra vita
Passa ancora nella fitta trama
ogni attrice umana
le assidue le pigre menti distorcono
i contorni svelti tesi della fiumana
dell'oro e delle nuvole rade
Un grumo sonoro la voglia
la voglia di aggiungere fuoco
Momentanee apparizioni
di qua dalla salita
a quest`ora a nessun`altra ora
dissimile altezza inconosciuta brama
Nessun pronome può raccontare
quello che siamo
frangiflutti o riverbero
nelle scie che addensiamo
Batte batte batte
batte il passo ancora audace
nel rumore puro di ciò che tace
batte batte il mio passo
al ritmo ingiallito austero
presagio inavvertito nel petto
sasso e forestiero
ogni attrice umana
le assidue le pigre menti distorcono
i contorni svelti tesi della fiumana
dell'oro e delle nuvole rade
Un grumo sonoro la voglia
la voglia di aggiungere fuoco
Momentanee apparizioni
di qua dalla salita
a quest`ora a nessun`altra ora
dissimile altezza inconosciuta brama
Nessun pronome può raccontare
quello che siamo
frangiflutti o riverbero
nelle scie che addensiamo
Batte batte batte
batte il passo ancora audace
nel rumore puro di ciò che tace
batte batte il mio passo
al ritmo ingiallito austero
presagio inavvertito nel petto
sasso e forestiero
(…)
Giulio Maffii dirige la collana
di poesia contemporanea e plaquette per le Edizioni Il Foglio di Piombino.
Collabora con varie testate letterarie e svolge opera di traduzione poetica. È stato uno degli organizzatori italiani
del festival mondiale Palabra en el mundo. Ha all'attivo diverse pubblicazioni tra cui L'umiltà del poco (2010) ed ha in uscita per settembre L'odore amarodelle felci con cui ha vinto nel 2011 il premio Sandro Penna. Suoi lavori sono
stati tradotti in spagnolo, inglese e romeno.
ADAMAH
di Alessandro Chiarini (Molinetto di Bazzano, BS)
«Silloge organica e coesa di forte
tensione spirituale nella costante ricerca di una riappropriazione del testo
biblico ed evangelico nella prospettiva di un recupero personale e di
un’attualizzazione per dare risposte ai più incalzanti interrogativi esistenziali.»
(Rosa Elisa Giangoia)
-->
Adamah
dalla terra l'hai tratto,
della terra, adamah egli è.
soffiando vivo l'hai reso,
brezza di elohim sulla
bocca.
sveglia jeshua, apri gli
occhi.
il giorno primo è per te,
solo per te.
il giorno primo.
nottetempo,
sotto gli occhi di dio,
fra le gambe di mary,
nacque jeshua,
Nuovo adamah.
e fu sera e fu mattina:
Nuovo giorno.
1
ad un dolce dovere
sei stata chiamata
Maria
gravida
di grazia piena
beata
Adonai è parte di te
ed ora
a che debbo
che tu venga a me?
2
Vede il Cieco,
ode il Sordo.
Cammina lo Zoppo,
sanato è il Malato.
risuscita Il Morto,
consolato è il Misero.
Jeshua, io non credo,
però di dio mi fido.
3
(…)
Alessandro Chiarini, Brescia 1978. Ad oggi: grafico libero professionista, professore di Graphic design c/o Accademia Santagiulia. Padre di 2 bimbi. Impegnato nelle file dell'associazionismo cattolico.
SE QUEL GUERRIER IO FOSSI…
di Massimo Caccia (Galliate, NO)
«La poesia delle domande, della contemplazione che ha
segnato il nostro Medioevo. Inclusiva, forte, capace di creare rispondenze. Se
colpire è il compito del poeta, qui una grande padronanza ritmica, semantica e
fonetica favoriscono lo studio dell'avversario. Uno schermitore sa che il
movimento barcollante del suo corpo è l'unica speranza di andare a segno. E
queste poesie si avvantaggiano con questo tipo di pendolarismo del tessere e
sfilare. Appuntare e disfare. Capire che esiste solo un modo e un momento per
dire.» (Sebastiano Adernò)
“Se quel guerrier io fossi…”
Basta! Mi consegno alla folata del mondo
senza fissi orizzonti, testardo spingendo,
nel tetro carcame, leva sulla cagnara pesta.
Capita, talora, d’incalzare il tribolante labaro
del caso così di carne e sangue far festa,
per perire nello scempio sordo imprecando.
Quale contrappasso, muto fiacco ed amaro,
troppo si ciarla d’equilibrio e coscienza,
sragionando d’amore in pazzia e presenza.
*
*
(in auto e a memoria, lunedì 19 marzo)
Che terribile perdita di tempo, solo noia,
una smisurata seccatura che sbatacchia
nei momenti sprecati e una bile alla feccia,
impedito in ferri malvagi, accodato
in gorghi imprevisti, tutto per quattro
misere commissioni da sbrigare distratto.
Sangue alla testa, allora farnetico, stordito,
di soluzione finale ove affogare il creato.
Un tempo, troppo passato, tessevo rime
Un tempo, troppo passato, tessevo rime
amorose, versi banali, poetiche visioni,
singolar tenzoni. Oggi, nella lente di stizza
che sbrana intorno, al fuoco darei il certame
antico, quelle patite zoppicanti prove
di menestrelli ed ingenui trastulli, trovatori
e trovieri, donne lontane se non bastarde
amanti d’ingenua fattura ed egual bruttura.
Poi cos’accade? Un fremito, l’attimo eterno
Poi cos’accade? Un fremito, l’attimo eterno
assolvendo la musica zittita dalla volgarità
soffocante: rischierei di confondere
il tuo volto, se non facessi memoria al tatto
della tua pelle, quando manca l’aggancio
degli sguardi. Dunque mi fermo, Socrate
sotto il sole d’Atene, pronto al simposio,
lo stesso gesto rappreso nel tempo e penso.
Penso a tutto lo spreco di vita, allo sperpero,
Penso a tutto lo spreco di vita, allo sperpero,
al tormento: amate sudate carte, mio conforto,
per me, straniero tra gentili genti, barbaro
parlare se non singulto - giovin signore parto -
umano poco umano quando blatero duro
la funesta fine d’ogni corpo e amplesso,
fesso che sono, non m’accorgo nemmeno
d’esser sceso dal flusso, e di goder sereno.
(…)
(…)
Massimo Caccia è nato a Novara il 20 marzo del 1965. Terra di pianura. Terra con orizzonti lontani. Fatale brumal Novara, mi viene da dire. Ha studiato, sì, lo deve ammettere, forse tanto. È un lettore onnivoro, anche se torna sempre a riapprodare ai caldi lidi della filosofia e della poesia, dopo le sue peregrinazioni letterarie. Si è avvicinato alla poesia per gioco, quando era ancora studente liceale. Ottenne una prima segnalazione ad un concorso indetto dal gruppo "Fara" di Bergamo e da quei giorni non si sono più fermato. Nel 1992 ha pubblicato la mia prima silloge poetica, Sensi del tempo, con Book Editore di Castelmaggiore (Bologna). Nell'estate dell'anno scorso (2011), ha ottenuto il secondo posto al concorso nazionale "Arbor Poetica" indetto dall'editore Lietocolle di Faloppio. È in attesa della seconda pubblicazione. Alcune sue poesie sono comparse nella sezione opere inedite sul blog Poesia curato da Luigia Sorrentino. Nel maggio 2012 due poesie sono state pubblicate sul blog Moltinpoesia. Nel mese di giugno, quattro suoi componimenti sono stati pubblicati nell'antologia Viaggi di Versi edito dall'editore Pagine di Roma. Per vivere (carmina non dant panem… purtroppo!) insegna nella scuola secondaria di primo grado. Scrive articoli di critica letteraria ed artistica, blogga (parecchio, il suo blog è massimocaccia.blogspot.it), e sogna… dopo essersi ricordato di essere marito e padre!
LA FATICA DEI CERCHI PERFETTI A MANTENERSI
COMUNQUE
di Gaetano Giuseppe Magro (Catania)
di Gaetano Giuseppe Magro (Catania)
«Poesie come ricette alchemiche. Come ipotesi che nella
chimica si possibilizzi più di quanto ci sia dato intendere. Poesie come regole
di una meccanica perfetta perché non sottoposta al nostro controllo.
Agenti primari e inalienabili quali il respiro e la circolazione sanguigna.
Fondamenti che non prendiamo in considerazione se non nel momento in cui
vengono meno al loro dovere. Ma nel frattempo? Per tutto il resto della vita
come hanno funzionato? Quanto hanno partecipato? Smontare l'uomo e i suoi
"ismi" romantici, poetici. Riportarlo alla semplicità degli scaffali.
Fare della fallibilità la vera cura per comprenderci.» (Sebastiano Adernò)
-->
Ammanco frontale
A fine giornata, resistere, non cedere
alle lusinghe degli angoli retti a travestirsi
nel loro contrario di superfici significanti.
Mal si sopporta il compenso tardivo del limite
Mal si sopporta il compenso tardivo del limite
l’ostentata sua elemosina che ci fa da guardia,
forse non esiste alcuna fisica del senso!
La proliferazione rampante della mia parte
La proliferazione rampante della mia parte
arriva, si concede ad alta malinconia di scorrere
e mi vien d’essere coniugazione di tendini
per toccarli meglio quegli angoli di sventura
che a grandi mani imbottigliano il nostro rospo niente
a breve, ci raggiungerà un’ipotesi di vita a tutto campo,
a breve, ci raggiungerà un’ipotesi di vita a tutto campo,
ogni parola avrà un ventriloquo che ci cancella in verticale
e soffiando, la materia alveolare guizzerà a rovescio
un enorme ammanco frontale di dove eravamo e non siamo più,
e di noi, cellule di ventura, non resterà che un giro in aria
e di noi, cellule di ventura, non resterà che un giro in aria
di compasso, una punta fissa sulla trabecola morale del niente
che ci ha partoriti in fretta e furia sulla riga di un imperdibile
nome dove non siamo mai passati con assoluta certezza.
I cerchi perfetti
Sapersi soli è il chiodo che ci appunta
I cerchi perfetti
Sapersi soli è il chiodo che ci appunta
all’omero d’amore che arretra mentre gira
la manopola mai ferma sulla giusta stazione
meglio così se ci tocca, comunque, sopportare
meglio così se ci tocca, comunque, sopportare
l’ebbrezza panica serale, la trionfale smorfia
degli oggetti sul raffinato mutismo della tua tastiera
arrancano sciancate le cose non fatte
arrancano sciancate le cose non fatte
che superano di gran lunga tutti i grandi miei fatti
che smarriti ci guardano con grandi occhi di gatti
ci spiamo dappertutto perfette figure
ci spiamo dappertutto perfette figure
di vile spavento appese all’andare a capo di una porta
che s’apre contenta e ritorna cosa ignota
la cellula staminale che mi fa innamorare
s’inventerà nuove embriologie d’amore
e strategie singole per esperte esclusioni
ci gira intorno il girotondo del bene che avremmo potuto
ci gira intorno il girotondo del bene che avremmo potuto
ma non abbiamo mai volutamente fatto
perché non ce lo avrebbero in nessun modo riconosciuto
ora so che la vita –in fondo- è biologia di maggioranza
ora so che la vita –in fondo- è biologia di maggioranza
la fatica dei cerchi perfetti a mantenersi comunque rotondi.
Fuoripista
sulle terrazze, all’alba, arrivano i pesci
Fuoripista
sulle terrazze, all’alba, arrivano i pesci
si lamentano del creato
dell’incomunicabilità tra specie diverse:
pietre e animali, muschi e calcari
alberi e pioggia, specialmente
nessuno sa di esserci per l’altro
nessuno sa di esserci per l’altro
e tutti insieme però non sanno
che fanno il mondo che ci è toccato
questa punta d’ernia strozzata
questa punta d’ernia strozzata
chiamata terra, che gira contenta
portandoci tutti verso una nuova stella
o, forse chissà, fuoripista nel gran premio del niente.
(…)
Gaetano Giuseppe Magro è nato a Donnalucata (Scicli) nel 1966. È professore Associato di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania. È autore di 160 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali di patologia, prevalentemente nel campo della diagnostica cito-istopatologica dei tumori della mammella, tiroide, tessuti molli, del colon-retto e dell’età pediatrica. È appassionato di filosofia del linguaggio e di poesia. In campo letterario ha pubblicato tre sillogi poetiche, Fontana delle ore (A&B editrice 2001), Non sbagliò il vento (Libroitaliano 2002), Impermanenza (Il Giornale di Scicli Edizioni 2005) e il romanzo Il mare metafisico di Punta Corvo (Manni Editore 2005). È pubblicato in due antologie della casa editrice LietoColle (Verba Agrestia VII ed. 2009; Rosso tra erotismo e santità, 2010) e in sette antologie della casa editrice Giulio Perrone Editore (2009-2010). È stato selezionato per la pubblicazione di un’antologia della casa editrice Bel-ami Edizioni con una silloge di n. 10 poesie dal titolo il verso cancellato. Ha con Il glomerulo di sale il concorso Pubblica con noi 2010 con pubblicazione nell'antologia omonima. La sua attività quotidiana di diagnostica e di ricerca consiste essenzialmente nell’esaminare, al microscopio ottico, cellule e tessuti benigni o maligni. È inevitabile che questa formazione/deformazione biologico-professionale rappresenti una “finestra privilegiata” da cui osservare la vita e tutti i suoi fenomeni. La poesia diventa così uno strumento di ricerca che utilizza, al posto del microscopio, la parola. E le parole del poeta spesso stanno al posto delle cose: “La parola non sarà mai la realtà della cosa che indica ma soltanto il suo riflesso umano”.
VERSI DI CHAT
di Massimo Greggi (Forlì)
di Massimo Greggi (Forlì)
«Composizioni poetiche brevi di
accurata fattura, che tendono all’efficacia espressiva tramite la sintesi e si
innervano di accostamenti analogici fantasiosi, che sanno creare immagini
gradevoli, capaci di comunicare sensazioni ed emozioni.» (Rosa Elisa Giangoia)
Anello dorato.
Musa dall’anello dorato,
occhi d’Angelo sapiente
invogli la mente al quadrato
e distingui Freud dal niente.
Adhara.
Hai pelle di nocciola matura,
jeans stracciati in simmetria,
le tue arringhe con disinvoltura
accolgono il favore della Giuria.
Biglietto d’invito.
Temi il vento per le labbra screpolate,
accogli l’Angelo nel Tempo assopito.
Quante verità sono sbugiardate
senza biglietto d’invito.
Cenerentola.
Hai chiome calde come Barbera,
il tuo calice riluce fra i cristalli,
la tua zucca non passa la sera
e i topolini si mutano in cavalli.
(…)
Massimo Greggi è nato il 02/02/1974 a Forlì. Si è laureato in Lettere Moderne a Bologna nel 2010 e attualmente collabora con il settimanale Settesere di Faenza (RA).
ANCHE DENTRO UNA CONCHIGLIA BIANCA
SI PUÒ NAUFRAGARE
di Valentina Renzi (Forlì)
di Valentina Renzi (Forlì)
«Poesie di gradevole lettura soprattutto
per l’armoniosità espressiva e per la ricchezza fantasiosa delle immagini.
Apprezzabili anche per la capacità di collegare in un discorso unitario il
mondo della natura con quello della tradizione culturale e della creazione
artistica insieme alla sfera della riflessione esistenziale.» (Rosa ElisaGiangoia)
Prologo
In questi anni
mari diversi hanno rubato i miei pensieri.
Rovistando nelle tasche
mi ero arresa all’evidenza di averli persi,
forse per sempre…
Un giorno, però, ho ritrovato una conchiglia.
Appoggiandola sopra un foglio di carta
l’ho svuotata della sabbia,
e ho scoperto che:
ANCHE DENTRO UNA CONCHIGLIA BIANCA
SI PUO’ NAUFRAGARE…
Valentina Renzi
Dedicato alla mia famiglia e ai miei affetti.
Diurni
Flusso nascente
Scaccia i pensieri
e ogni pigra tristezza
il tintinnio arioso
di un sonaglio di ossi di seppia.
Rompe l’esitazione
una goccia di rugiada
che
inebria un timido germoglio.
L’attesa fluisce
e l’ansia del tempo
si fa innocua.
Sorridimi:
un ponte tra i nostri pensieri
si sta già costruendo.
Solca questo flusso nascente
e lascia che tolga l’affanno al tuo respiro.
Naufraga
nella terra della Principessa del mare.
Abbandona te stesso,
il tempo e lo spazio
al moto dell’acqua
e aspetta,
aspetta
un approdo…
L’approdo
È lieve
scivolare sul velo increspato del mare.
È lieve
dissolversi nella prima foschia del mattino,
accolti dalla tenera luce dell’aurora.
Insenatura materna
ricevi e vivifica
questo approdo
- di speranze e desideri –
Aprilo al chiarore rosato
del nuovo giorno che sta per cominciare.
La Principessa del mare
La Principessa del mare
vive in un castello di scogli e conchiglie.
I suoi sorrisi, color rosso ciliegia,
sciolgono cuori di glicerina.
Impertinente urla alle nuvole
e quando spira vento di bonaccia
danza scalza sulla sabbia.
Con l’orlo del suo abito di organza e cartapesta
accarezza – divertita - le onde
e
di tanto in tanto,
sbadiglia alla noia
giocando con i capelli
impreziositi da un diadema di raggi di sole.
All’imbrunire esibisce
una collana di pagliuzze di quarzo vespertino
e brinda alla prima stella della sera
con altera serenità.
Mentre il riflesso della luna sgualcisce
l’immensa distesa del mare,
si addormenta protetta dal calore del fuoco
e avvolge i propri sogni
in una rete dorata.
(…)
Valentina Renzi è nata e risiede a Forlì. Laureata in Scienze della Comunicazione e specializzata in organizzazione di eventi culturali e dello spettacolo dal vivo,ha lavorato come ufficio stampa e nello svolgimento di eventi culturali per gli Enti Locali di Forlì e del comprensorio, con particolare attenzione alla promozione dei giovani artisti del territorio. Ha, inoltre, svolto attività di redazione per «Il periodico-diagonal», magazine locale di cultura, sport, tempo libero e per il quotidiano locale «Corriere Romagna» redazione cultura e spettacoli (Rimini). Scrive poesie, racconti, scenggiature. Per lei l'arte è una necessità: è poter sprimere liberamente le proprie emozioni, riordinare i propri stati d’animo, ripercorrere il passato e vivere il presente, seguendo una ricerca più profonda, più intima, nella quale il vissuto assume connotati estetici ed, allo stesso tempo, esistenziali.
SOLOMINUSCOLASCRITTURA
di Silvia Rosa (San Mauro, TO)
di Silvia Rosa (San Mauro, TO)
«La raccolta SoloMinuscolaScrittura
lampeggia (è il caso di dirlo) per certe novità che funzionano: una prosa
flusso-di-coscienza, il formato ultramoderno del sms, l’ordinata sequenza
numerata dei testi. Un piccolo diario della modernità. Le tre sezioni “Solo”,
“Minuscola” e “Scrittura” sono altrettanti squarci fedeli su di una vita comune
e insieme poco ordinaria che gestisce conti e sentimenti in un’alternanza di
solitudini e avvicinamenti dolci e volutamente rivolti a un fare infantile e
leggero (“Solo” e “Minuscola”). La terza e ultima parte, poi, tenta una sintesi
concettuale (“forse / si scrive sempre a se stessi. forse la scrittura è l'unico /
amore possibile, l'unico per gente come noi.”) dove i temi delle prime due
sezioni si intersecano e si fissano in impossibilità e tentativi infiniti.»
(Anna Ruotolo)
Solo
sms #1
qui il sole non
decolla, è un disco rotto che mi preme sul costato e schiocca note acide di
noia. il mare si muove di continuo e ad averceli talloni duri che vanno al
fondo riaffiorando lievi in superficie di meraviglia. ad avercelo legato
stretto tra i capelli quel coraggio, che piega il capo di rinuncia, la saggezza
antica che sa quando si smettono le attese, ché i morti non resuscitano - ma le
attese come luccicano, un brillare che si accende fin negli angoli più asciutti
della retina, e cola sale, e miele qualche volta -. aspetto che mi spuntino le
branchie intorno al cuore, intanto che mastico il silenzio e mi pesa il lutto
dei coralli che franano la pelle, snudando orme piccole di cielo. quest'estate
la mia polpa più dolce resterà a consumarsi in cima a un albero, speriamo
arrivi il vento, almeno, speriamo in un respiro di lontano, un tuffo che mi
rianimi le vene dritto al cuore, di un'onda lunga l'eco
sms #2
che silenzi mi
si incollano addosso, a volte. non di quelli che ripassi con le dita e si
scaldano dove il sangue preme più forte. ai miei silenzi mancano gesti, è un
esercizio a denti stretti questo precipitare nell'ansa nuda di parole - ma
tanto dico sempre le stesse cose -, senza mani e oggetti e uno sguardo uno da
raccogliere per esserci di colpo corpo a corpo mi assottiglio per passare la fessura
delle labbra e invece resto [muta immobile] mi confondo col bianco sporco delle
pareti dei miei occhi e al centro, al centro nero lupo braccato che dilata il
passo tra battiti d'eco fuggendo -sto(p) -
sms #3
vorrei starmene qui a fissare
geometrie marine, cadere nel cono luminoso dell’estate senza uscita,
precipitare con le ciglia incollate a sale e sabbia nella quiete tenera di
questa rimozione di me, dimenticarmi quaggiù quando le ombre si faranno fitte,
non voltarmi, non voltarmi indietro, colare piano nel presente, un grumo secco
che si scioglie e fluisce nel domani
Silvia (Giovanna) Rosa nasce nel 1976 a Torino. Laureata in Scienze dell'Educazione, scrive poesie e racconti e partecipa a letture e reading poetici. I suoi lavori sono apparsi in numerosi siti, blog letterari, riviste, e in volumi antologici editi da Ananke Edizioni, Perrone Editore, LietoColle, Smasher Edizioni, La vita Felice. Nel 2010 ha esordito con il libriccino di racconti Del suo essere un corpo, Montedit Edizioni, Collana Le schegge d’oro - i libri dei premi e con la raccolta poetica Di sole voci per i tipi della LietoColle. Nel 2011 ha pubblicato Corrispondenza(d)al limite [Fenomenologia di un inizio all'inverso] per la Clepsydra Edizioni (con immagini fotografiche di Giusy Calia), testo finalista alla XXV edizione del Premio Lorenzo Montano, sezione prosa inedita. È coautrice, insieme al fotografo Fabio Trisorio, del progetto fotopoetico MeTe, di cui ha firmato i testi.
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