Certificato dei vincitori
Fara
Editore e i giurati
del concorso Insanamente2012
Angelo Chiaretti, Ardea Montebelli, Caterina
Camporesi,
Claudio Roncarati e Guido Passini
per la sezione Poesia –
Alessandra Pederzoli, Alessandro Chiarini, Alex
Celli,
Giovanni Turra Zan e Francesco Gaggi
per la sezione Racconto –
in collaborazione con
Classifica sez. A – Poesia
opere, giudizi e notizie sugli
autori
per la sez. B v. narrabilando
Primo classificato e medaglia del Presidente della Repubblica
Angela Caccia (Cutro, KR) con Barche di
carta
Ci sono giorni
Ci sono giorni che dalla mia finestra
guardo la stanza del mattino,
così ariosa
è già arredata di primavera
sulle pareti azzurre svettano i tetti,
rigorose geometrie
radicate
nel tappeto di una natura che
sbuca da ogni dove.
Ha l’ombra obliqua di un gigante il
primo inquilino del giorno
ed è solo un passero
alla sua prima colazione
nei rumori familiari della strada
una gioia sottile
rimbalza dai marciapiedi alle case
ma l’arco della parola ha una
freccia spuntata e la sfiora soltanto
ne coglie un soffio.
È un chiarore di vita che si offre per attimi
tocca le cose e sfiora il volto.
È il chicco di grano che torna a cadere nel solco.
Per il colore del grano
Il tuo Dolore, lo sai, non ha un solo volto,
il marchio di un solo nome, non è uno
spillo tra tanti a trafiggere le tue notti.
Accarezzi la Solitudine e tra
le solitudini la riconosci: si fa sentiero al
centro dove il pensiero è morbido
e s’accende di memoria
– giardino di fronde ombrose nei paesaggi
urbani e polverosi del vivere.
Poi, nell’ora che gocciola, aspetti che
lo sguardo s’inveri, buchi la siepe e
allarghi l’orizzonte ad uno spaiato verso: forse
stringerà tra le sue maglie una verità.
Così, come il contadino,
dissoderai per sempre la tua terra inquieta
e solo per un ricordo: il colore del grano.
Il poeta
cancella l’uomo modulato al mondo
e lungo un sentiero al centro trova di sé,
affianca l’ombra sua tinta d’immenso
e il passo si fa lento nell’ascoltarne il canto.
(…)
Versi leggeri, luminosi
scandiscono la memoria delle cose e il continuo riaffiorare degli affetti. (Ardea Montebelli)
La raccolta coinvolge il
lettore nel fermento, che la nascita del giorno crea: la parola può solo
sfiorarne la potenza. Se la poesia può ricordare e “quadrare il cerchio”,
tuttavia l'essenza si trova soprattutto nel “silenzio di una rosa”. (Caterina Camporesi)
Credo
che in questa silloge l’autore sia andato alla ricerca di uno stile ipnotico,
giocando sulle pause, su alcune metafore inaspettate e su dei contenuti che
lasciano al lettore svariate chiavi di lettura. Ho apprezzato molto anche la
varietà dei testi e ammetto di essere stato catturato da alcuni versi che avrebbero
potuto da soli diventare già una piccola perla.
(Guido Passini)
Angela Caccia. Breve o lunga che sia una biografia, c’è il rischio che un troppo o un troppo poco non restituisca le giuste coordinate, non tanto dell’autore, quanto della visione che l’autore ha di sé. Mi perdonerà il lettore se, tenendo ben puntato quell’obiettivo, proseguo a ruota libera e inizio dalla fine di questa presentazione: f.to IO… e nel pronome includo chi scrive per cercarsi e comunque non si arrende a rimanere una X. L’ho riletto in un mio vecchio diario, mi ha intenerito e in fondo quella firma è ancora la mia. La poesia è tuttora lo specchio che mi rimanda, nel bene e nel male, i miei lineamenti, mi dà la consapevolezza di un ineffabile e chiarifica in qualche modo il resto. Inoltre scrivere di poesia riesce come a dosare in me un certo disincanto, anche se ne ignoro le dinamiche. E qui avrei ultimato la mia biografia di scrittrice di versi se la donna non rivendicasse un suo spazio, perché, se non è al di sopra, va certo al di là della scrittrice. È il suo mondo di affetti, famiglia e amici di quelli importanti, di pensieri – molti rubati ai grandi, altri che da questi si sono slanciati – che scorrazzano in libertà e inseguono, o si lasciano inseguire da, un’emozione. Altri ruoli insomma che negli anni si sono armonizzati tra loro. È la donna che, di fatto, tra vissuto e quotidiano, impasta da sempre la scrittrice. (… questo è quanto una X è riuscita, sin ora, a racimolare di sé)
Secondo classificato
con Due poesie – Marco Mastromauro
(Novara)
L’azzurrità
Ah, l’azzurrità che mi sta di fronte
m’ispira fino al settimo cielo ed anche oltre
in questo caffè di periferia
e già ti vorrei baciare così
tanto per provare, senza ironia,
la dissomiglianza che ci attira.
Isolatamente presi, tagliati tutti i ponti
(ormai pericolanti, privi di sponde),
eccoci qua, a soffocare lacune
tamburellando con le dita (forse colmo di te
sarebbe il vuoto del tempo passato
non sapendo, non prevedendo,
istintivamente cercando – ma dov’eri
finita – melodia d’un jukebox, forse, dico
forse, per non spaurirmi, sfuggirmi,
dovrei accostarmi alle tue spalle,
cingerti o meglio banalmente stringerti
– oh, qual instupidito gaudio – anche solo
per un attimo affinché poi, ricordando,
risognando e, astemio, fissando la parete
bianca, in me rincuorare).
Ah, cara dolce mia non mia, ora che ti volti
di tre quarti meglio si sporgono le forme
e il profilo si fa sempre più conforme,
il respiro fa crac e la voce sottile
ha un tremolio: forse è meglio non toccare
con i denti il bordo del bicchiere
mentre bevo con trasporto e tu brilli maliziosa
e il far della sera si fa gioioso (leggermente
febbrile) da quando il torpore d’incaute parole
ha esaurito il conforto e neppure un haiku,
un’occhiatina di codibugnolo, il profumo
d’un fitto aranciere, saprebbero velare
il nostro disarmato restare qui, spaesati.
gennaio 2012
Ah, l’azzurrità che mi sta di fronte
m’ispira fino al settimo cielo ed anche oltre
in questo caffè di periferia
e già ti vorrei baciare così
tanto per provare, senza ironia,
la dissomiglianza che ci attira.
Isolatamente presi, tagliati tutti i ponti
(ormai pericolanti, privi di sponde),
eccoci qua, a soffocare lacune
tamburellando con le dita (forse colmo di te
sarebbe il vuoto del tempo passato
non sapendo, non prevedendo,
istintivamente cercando – ma dov’eri
finita – melodia d’un jukebox, forse, dico
forse, per non spaurirmi, sfuggirmi,
dovrei accostarmi alle tue spalle,
cingerti o meglio banalmente stringerti
– oh, qual instupidito gaudio – anche solo
per un attimo affinché poi, ricordando,
risognando e, astemio, fissando la parete
bianca, in me rincuorare).
Ah, cara dolce mia non mia, ora che ti volti
di tre quarti meglio si sporgono le forme
e il profilo si fa sempre più conforme,
il respiro fa crac e la voce sottile
ha un tremolio: forse è meglio non toccare
con i denti il bordo del bicchiere
mentre bevo con trasporto e tu brilli maliziosa
e il far della sera si fa gioioso (leggermente
febbrile) da quando il torpore d’incaute parole
ha esaurito il conforto e neppure un haiku,
un’occhiatina di codibugnolo, il profumo
d’un fitto aranciere, saprebbero velare
il nostro disarmato restare qui, spaesati.
gennaio 2012
Indietro
La scala che conduce avanti
sale a dismisura, ignobile e segreta, in te,
fino alla soffitta coperta di muffa
e odore di vecchiume.
È stato ieri che, per un nonnulla,
la borsa della spesa rovesciata,
un ritardo dell’ascensore,
ti è sembrato tutto una truffa, un sopruso
degli anni: hai sentito il caldo fluido che non s’è
potuto arrestare e, poi, slip e pantaloni
lavati a mano nella vasca e, meno male,
nessuno ha potuto vedere (nel sonno, poi,
impertinente risata, voglia di manomissioni).
Indietro, oltre l’infanzia, adolescenti
in divisa scolastica, ci si guardava
senza nascondersi e pensare:
amici per la pelle, sotto i gradini di casa,
la paura ben riposta come in un forziere.
Indietro, nella culla, labirinti
di suoni e impressioni e, poi, una coccola
in più, il viso sovrastante, piume
carezzevoli di mamma.
Ancora indietro, nucleo indistinto, sentore
di nuova vita, eri una profezia che risuonava
da laggiù, un sorriso riflesso di gestante
mentre lo stagno, contemplato ad occhi chiusi
lungo le ore estive, nel buio
si ricopriva del fremito delle libellule.
Ora accade che Dio non voglia premonizioni
né attese né si curi di un sì o di un no.
Lui sa ma non dice e, quando dormi,
ti consente d’essere uguale a una madre
a un padre ai ragazzi festanti,
ti concede riposo, un chiarore attorno,
altra veglia testarda, impudente sberleffo,
e il ritorno.
(31/12/2011)
La scala che conduce avanti
sale a dismisura, ignobile e segreta, in te,
fino alla soffitta coperta di muffa
e odore di vecchiume.
È stato ieri che, per un nonnulla,
la borsa della spesa rovesciata,
un ritardo dell’ascensore,
ti è sembrato tutto una truffa, un sopruso
degli anni: hai sentito il caldo fluido che non s’è
potuto arrestare e, poi, slip e pantaloni
lavati a mano nella vasca e, meno male,
nessuno ha potuto vedere (nel sonno, poi,
impertinente risata, voglia di manomissioni).
Indietro, oltre l’infanzia, adolescenti
in divisa scolastica, ci si guardava
senza nascondersi e pensare:
amici per la pelle, sotto i gradini di casa,
la paura ben riposta come in un forziere.
Indietro, nella culla, labirinti
di suoni e impressioni e, poi, una coccola
in più, il viso sovrastante, piume
carezzevoli di mamma.
Ancora indietro, nucleo indistinto, sentore
di nuova vita, eri una profezia che risuonava
da laggiù, un sorriso riflesso di gestante
mentre lo stagno, contemplato ad occhi chiusi
lungo le ore estive, nel buio
si ricopriva del fremito delle libellule.
Ora accade che Dio non voglia premonizioni
né attese né si curi di un sì o di un no.
Lui sa ma non dice e, quando dormi,
ti consente d’essere uguale a una madre
a un padre ai ragazzi festanti,
ti concede riposo, un chiarore attorno,
altra veglia testarda, impudente sberleffo,
e il ritorno.
(31/12/2011)
Ciò che colpisce in questi
versi è la ritmicità del verso e l'abilità descrittiva dell'autore. (Ardea Montebelli)
I testi si caratterizzano
per il felice andamento narrativo, fluido e vivace: con grazia e ironia
convincenti essi raccontano l'amore, si soffermano sulla dimensione
del tempo, sulla vita e su quanto sembra anticiparla. (Caterina Camporesi)
Marco Mastromauro. Da questo mondo infingardo cerco scampo dedicandomi un po’ alla poesia. Questa, peraltro, quasi sempre se ne sta alla larga, sospettosa: si fa leggere e osservare superficialmente ma poco si concede… Così, fingo di capire e, fingendo, riesco, forse, a sognarla e a sentirne il respiro perché “come il fumo lei penetra in ogni fessura”, è una madre benevola, una Regina, una servetta mordace e un beffardo giullare… E così mi chiedo, anche: – Ma voi che siete a Rimini tra i libri, lo studio, la fatica, i lavori, le “scosse” non solo emotive (ma pure, spero, a volte, “tra i gelati e le bandiere”), avete scommesso seriamente sulle Due poesie che, sventatamente, vi ho mandato?
Terzo classificato
con Il punto della situazione e altre poesie –
Vincenzo Celli (Rimini)
Il punto della situazione
non in periferia
ma in questi nuovi infiniti centri
ci siamo persi
ecco allora che la lingua si sporca
poi si arrotola si accartoccia
si perde lungo il teatro dei pioppi
quasi infiniti sull’alito del fiume
ed è inutile cercare ricompense
tanto valeva non partire
nulla ringrazia gli occhi
nemmeno recitare le risposte
rimanere nascosti
farsi leggere
Sconfitte
amo la bella stagione
se è bella
adoro l’agosto nevoso
degli operai di Atene
ma devo ricordarmi
della sconfitta consapevole
il default pilotato
se amare in silenzio
è la cosa più difficile
Time
c’e stato un tempo
in cui anche io aspettavo
che cadesse qualcosa dal cielo
poi venne quello
del no grazie
mi slego da solo
infine sono arrivate un pò di cose gratis
tra cui una tua cartolina e un raffreddore
(…)
non in periferia
ma in questi nuovi infiniti centri
ci siamo persi
ecco allora che la lingua si sporca
poi si arrotola si accartoccia
si perde lungo il teatro dei pioppi
quasi infiniti sull’alito del fiume
ed è inutile cercare ricompense
tanto valeva non partire
nulla ringrazia gli occhi
nemmeno recitare le risposte
rimanere nascosti
farsi leggere
Sconfitte
amo la bella stagione
se è bella
adoro l’agosto nevoso
degli operai di Atene
ma devo ricordarmi
della sconfitta consapevole
il default pilotato
se amare in silenzio
è la cosa più difficile
Time
c’e stato un tempo
in cui anche io aspettavo
che cadesse qualcosa dal cielo
poi venne quello
del no grazie
mi slego da solo
infine sono arrivate un pò di cose gratis
tra cui una tua cartolina e un raffreddore
(…)
Immagini, scene, che
rappresentano il vissuto del poeta. I nessi sono volutamente sfuocati,
allentati, per trasmettere al lettore una sensazione di sospensione dell'esistere:
“come nuvole /con il fiato sospeso / staremo presso l'uscio / del nostro
rimanere soli”. Il silenzio, spesso nominato, entra a fare parte del testo. La
lettura dei testi mi ha richiamato la poetica degli haiku, ma qui il poeta
rinuncia a proporre l'illuminazione di una sintesi: “ma in questi nuovi
infiniti centri / ci siamo persi”. C’è la consapevolezza della impossibilità di
testimoniare o rivelare un altrove: “l’unica cosa che mi permetto / è questo
sguardo sul porto / controllo / non chi esce / ma chi rientra”. Nel complesso
risultano ottime poesie sobrie ed eleganti. (Claudio Roncarati)
Vincenzo Celli vive e lavora a Rimini dove è nato il 2-7-1960. Dopo avere conseguito il diploma di maturità tecnica e una breve parentesi come lavoratore dipendente, entra nel mondo del commercio, attività che svolge ancora oggi. Nell’ottobre 2005 scopre alcuni siti di scrittura su internet ed inizia, prima, a leggere le poesie degli altri, poi, a cimentarsi nello scrivere le proprie. Ha pubblicato il suo primo libro, Cocci d’ombra, con Fara nel 2009 ed è presente nelle antologie Salvezza e impegno (a cura di A. Ramberti) e Senza fiato 2 (a cura di Guido Passini) sempre edite da Fara nel 2010.
Quarto classificato
con Imago Christi
e altre poesie – Mauro Nastasi (Riccione, RN)
Imago Christi
scannerizzare la mia visione del mondo
su una tela angusta
morirà
fatale sarà la noia
non la conoscenza
scorrendo come sabbia
tra le dita
poche gocce di sangue
ma il dolore (quello oscuro)
mi resta
e aspettando la notte
non potrà sperare
nel giorno
The sky cried
lungo il fiume sillogico
avevo abbandonato
(come un oggetto morto)
le corde che tengono il mio corpo
sospeso
impiccato
mosso da qualunque vento
una carcassa di vetro
che non splende al sole
This fall evening
non avresti pensato
che l’eco del tuo sorriso
avrebbe resistito agli anni
nella camera chiusa
tra il cuore e la mente
eppure è così
nelle sere d’autunno
aspetto il tramonto
e comincio a parlarti
L’eco risponde
E mi riempie di gioia
scannerizzare la mia visione del mondo
su una tela angusta
morirà
fatale sarà la noia
non la conoscenza
scorrendo come sabbia
tra le dita
poche gocce di sangue
ma il dolore (quello oscuro)
mi resta
e aspettando la notte
non potrà sperare
nel giorno
The sky cried
lungo il fiume sillogico
avevo abbandonato
(come un oggetto morto)
le corde che tengono il mio corpo
sospeso
impiccato
mosso da qualunque vento
una carcassa di vetro
che non splende al sole
This fall evening
non avresti pensato
che l’eco del tuo sorriso
avrebbe resistito agli anni
nella camera chiusa
tra il cuore e la mente
eppure è così
nelle sere d’autunno
aspetto il tramonto
e comincio a parlarti
L’eco risponde
E mi riempie di gioia
(…)
In queste liriche, la
quotidianità diviene, senza retorica, attesa e desiderio di mutamento quando
tutto sembra sfuggire di mano. (Ardea Montebelli)
Ci
sono due poesie di questa silloge che mi hanno lasciato completamente appagato.
Due poesie francamente inattese in una silloge con questo tema, ed invece sono
state espresse con quella fragranza e anima che un autore deve sempre mostrare.
Il ritmo incalzante dei testi e il sussurro assordante di alcune metafore mi
hanno lasciato quel qualcosa in più rispetto agli altri testi. Complimenti.
(Guido Passini)
Mauro Nastasi è nato a Giulianova (TE) nel 1953 e si è laureato a Bologna in Medicina e Chirurgia nel 1977. È specialista in Anestesia e Rianimazione e, dopo esperienze di lavoro a Bologna e Imola, lavora presso il Presidio Ospedaliero di Riccione dal 1977. Ha pubblicato alcuni libri di carattere scientifico, attinenti il suo settore di lavoro. Ama la lettura e il cinema italiano.
Quinto classificato
con La più bella
età è quella che si ha – Sergio Sabattini
(Cassina de’ Pecchi, MI)
La più bella età è quella che si ha
Quasi una gita, quando stai bene,
Un treno è la vita, che va e che viene.
Ardori, speranze, e poi delusioni,
Risate solenni, pianti, emozioni!
Ansie e poi gioie, spesso alternate,
Nutrono insieme le tue giornate,
Tante vissute e alcune sprecate!
Anno su anno… è il tempo che passa;
Spendi la vita e il tempo la incassa;
Entri nel tempo per fare la storia:
Ti trovi già vecchio e privo di boria;
Ti arrendi alla fine al tempo che incalza:
E il tempo è di fretta e non fa la calza!
Ma intanto la vita ribolle, ruggisce,
Ostenta una grinta che impaurisce.
Ricordi: nessuno! ma nuovi pensieri
Brandiscon lo scettro di nuovi poteri:
Oggi e domani sono i giorni migliori!
Cento profumi e varietà di colori
Hanno con sé un nuovo germoglio
E costruire è motivo d’orgoglio!
Pur se una spina ti entra nel fianco,
Affonda nel corpo e ti rende più stanco,
Rigando lo spirito nel punto più duro,
La resa è impossibile e con spirito puro
Aspetti, raggiante, un raggiante futuro!!!
Quasi una gita, quando stai bene,
Un treno è la vita, che va e che viene.
Ardori, speranze, e poi delusioni,
Risate solenni, pianti, emozioni!
Ansie e poi gioie, spesso alternate,
Nutrono insieme le tue giornate,
Tante vissute e alcune sprecate!
Anno su anno… è il tempo che passa;
Spendi la vita e il tempo la incassa;
Entri nel tempo per fare la storia:
Ti trovi già vecchio e privo di boria;
Ti arrendi alla fine al tempo che incalza:
E il tempo è di fretta e non fa la calza!
Ma intanto la vita ribolle, ruggisce,
Ostenta una grinta che impaurisce.
Ricordi: nessuno! ma nuovi pensieri
Brandiscon lo scettro di nuovi poteri:
Oggi e domani sono i giorni migliori!
Cento profumi e varietà di colori
Hanno con sé un nuovo germoglio
E costruire è motivo d’orgoglio!
Pur se una spina ti entra nel fianco,
Affonda nel corpo e ti rende più stanco,
Rigando lo spirito nel punto più duro,
La resa è impossibile e con spirito puro
Aspetti, raggiante, un raggiante futuro!!!
(Sergio nato nel 1950, ha scritto questi versi nel 1997 in occasione del suo 47° compleanno.)
La (solo apparentemente) scontata adesione ad una facile figura stilistica consente al poeta di liberarsi di molta zavorra espressiva, facendolo approdare ad una levità che commuove per intensità espressiva e comunicazione diretta (complicità). (Angelo Chiaretti)
Pittore, compositore, musicista, inventore e poeta, Sergio Sabattini nasce a Rimini il 6-7-1950. Nel 1972 si trasferisce a Milano, dove trova, oltre al lavoro, l’amore. Qui ha modo di esprimere il suo estro creativo frequentando l’Accademia di Belle Arti di Brera e dedicandosi alla musica: diventa compositore e sassofonista in un’orchestra di liscio, poi in un trio di musica leggera e dal 1994 nella banda del paese insieme alle due figlie gemelle. Nel tempo libero scrive acrostici o crea originali e stravaganti invenzioni. Nel 1992 gli viene diagnosticata la malattia di Parkinson che lo costringe ad abbandonare la pittura e la musica. Non per questo si dà per vinto e si avvicina ad un’altra passione: l’orticoltura.
Opere segnalate per la sola pubblicazione online nel blog farapoesia
Scusate il disturbo di Colomba Di Pasquale (Recanati, MC)
L’amore non è solo un sentimento
è anche un’intelligenza.
La solitudine è l’esperienza più devastante dell’uomo.
Non io ma noi.
Sarò io, solo in un noi.
Vivere per gli altri,
vivere felici.
Io posso farlo.
Noi possiamo farcela.
***
Sono ancora in volo,
un volo a mezz’aria,
un po’ pesante e incerto.
Quando scenderò,
tutto chiaro vedrò,
imposterò i piedi.
Sarà discesa studiata,
calibrata,
un sol colpo,
un unico tocco.
Toccherò terra a piedi uniti.
Solo allora sarà tutto finito.
***
che mi vedeva spenta
risalii la china
e vidi le genti
dall’ingiù all’insù.
Percorsi a ritroso l’andare
e puntando i piedi nella discesa
che mi precipitava a mare,
vidi le stesse genti
dall’insù all’ingiù.
Felice pensai
che bastava cambiare la direzione
per vederci più chiaramente
ossia a contrario.
***
Faccio scorrere il tempo
come anello tra le dita.
Palombina
Che spiaggia sempre ridente ci sia
e poco affollata.
Romolo a sera a ritirar la sua spiaggia,
disperdere i piccoli maremoti monelli
instancabili costruttori di castelli e piste.
Che sia sempre il tempo per fermarsi un giorno
che poi a sera si torna a casa
coll’arsura sulla pelle,
la stanchezza negli occhi
e la voglia di tornare
lì dove tutto scorre,
il giorno dopo.
Che ci sia tempo per guardar
le stelle di San Lorenzo
che restino tutte attaccate in cielo
nessuna cadente
realizzeranno egualmente desideri.
Oh pia luna,
aiutale a restare a galla!
Dico le stelle,
non noi,
naufraghi sempre, noi.
***
Si spegne in me l’idea
di trovare il faro di là dalla collina,
puntello il tempo.
Sono sempre lì lì
per staccare i piedi da terra.
Surprise
Vedere passi di passero
sulla neve fresca fresca del mio balcone.
Esitare con la scopa,
spazzar via segni di vita.
In questo gelido febbraio 2012
i segnetti a ventaglio,
distanti non più di dieci centimetri.
Piccoli passi decisi
in cerca di casa,
io che in casa da giorni
mi beo
del bianco candido
e immacolato
tra terra e cielo
e cielo e terra.
Di un passero senza casa
aspetterò con ansia il ritorno.
Preparo tappeto di briciole
in suo onore.
appartamento
che ci fosse tutta questa vita
intorno a me e al mio appartamento
non lo avrei mai saputo
se non fosse per la neve
che mi ha imprigionata tra mura bianche
dal confinato cielo cupo ma chiaro
nevica a cielo aperto
lo straccio per terra che solca il pavimento
del piano di sopra
la bimba piange ora di sotto
ma no forse gioca con il fratellino
volteggia il platano di neve carico
al di là della portafinestra
trascino il passo al divano
si chiude e apre la porta dell’ascensore
la tv racconta un manipolo di famosi
lottano per un pezzo di carne
ancora i passeri
si dannano l’anima e il cuore
a cercare tra la nuda terra bianca
qualcosa da beccare
dal piano di sopra note di studio al pianoforte
sotto giovani mani.
***
Resto viva per gioco
poi quando non mi piace più
torno volentieri a morire
Scusate il disturbo
Scusate il disturbo:
arrivo lenta,
mi poso male
e mi poso bene;
riposo su ogni cosa,
su di te e in te.
Scendo a semi,
semi tanti;
candida neve sono.
Il testo in particolare
della poesia Palombina si caratterizza per la spettacolarità delle descrizione
paesaggistica, nella quale le cose diventano creature personali e poi
svaniscono nell'immensità dell'universale (Angelo Chiaretti)
Colomba di Pasquale è nata nel 1968 a Lilla in Francia. Di origini abruzzesi, insegna in una scuola primaria di Recanati dove vive. Presso Del Monte Editore ha pubblicato Viaggio tra le parole nel 2006 e presso Nicola Calabria Editore Una vita altrove nel 2007. Nel 2008 è stata inserita nell’Antologia Il silenzio della poesia con la silloge Dei Silenzi (e degli ascolti) edito da Fara Editore con cui ha pubblicato nello stesso anno anche Il resto a voce. Nel 2010 presso Genesi Editore ha pubblicato Dulcamara con prefazione di Vivian Lamarque. È presente in diverse antologie letterarie e ha conseguito numerosi riconoscimenti sia per la poesia edita che inedita. Dice di sé che ha il vizio di scrivere poesie un po' per sé e un po' per gli altri.
Declinare di Mario Ferrari
(Moncalieri, TO)
Gracile il vincolo
Che unì alla luce
Inquieto umanizzare
Errando nel pensiero
E
Domani l’assoluta
Tensione dell’eternità
L’estrema sintesi
espressiva (caratteristica della poesia ermetica) riesce ad arricchirsi
di toni che non stancano nel loro egoismo e consentono al lettore un comodo
letto di Procuste con cui fare giustizia del mondo. (Angelo Chiaretti)
Gocce di
saggezza
dei Ragazzi del Glicine (Bellaria, RN)
Piccole poesie dei
ragazzi del Glicine
LA NOTTE
La
notte è come un entrare in un limbo… né inferno né paradiso.
La
notte sono i sogni, il dormire e l’oblio. Rappresenta il blu scuro ma a volte
fa paura.
Di
notte c’è chi dice il rosario e chi dorme per via delle medicine.
C’è chi suda sognando i suoi morti e chi suda sognando i suoi fidanzati.
Com’è
bello sognare di fare l’amore!
Quando
non dormo uso la notte per pensare a quello che ho fatto e a quello che dovrò
fare.
Se
avessi un compagno farei l’amore invece di pensare.
Di
notte si pensa ma per fortuna si può anche non pensare.
LA GUERRA
La guerra è una cosa
tremenda
La
vogliono i paesi ricchi ma si combatte nella terra dei poveri.
In
guerra si può solo perdere.
Si
motiva la guerra con cause religiose.
Forse
è una scusa o forse no.
Se
ci fosse solo una religione non ci sarebbero tante guerre ma sarebbe più bello
se ci fossero tante religioni e nessuna guerra.
Ma
in amore e in guerra non si guarda in faccia nessuno…
o
forse l’amore che non guarda in faccia a nessuno ha un altro nome? … Egoismo
mi pare.
La
guerra è una cosa violenta che riguarda le persone…
è
anche una condizione che si vive dentro:
Volere
una cosa e anche il suo contrario.
IL PASSATO
Il tempo è un fiume che
scorre e il presente diventa subito il passato.
Per
chi soffre di una malattia come la mia, il passato si ripercuote ogni giorno
sul presente…
Molto
duramente.
Il
passato pesa sul presente di tutti, ma per i malati mentali, ancora di più.
Le
malattie della mente sono come avere un blocco nella testa …
il blocco del passato che causa un dolore
che rimane nel presente.
Ognuno ha la sua storia e in
questa storia, in modo sempre diverso, il passato rivive nel presente. A volte
dolorosamente… a volte dolcemente… a volte legalmente… altre ancora
psichiatricamente.
Una
volta potevo prendere la macchina ed andare in centro da sola. È una piccola
cosa del passato che sogno ancora nel mio presente.
LE DROGHE
Gli psicofarmaci sono come
le droghe, solo che li danno i dottori
che
sono dalla parte dei buoni
non
come gli spacciatori
che
invece sono dalla parte dei cattivi.
Usare
le droghe affatica la mente che rischia di crollare nel baratro per nulla
dolcemente.
Questo
non capita sempre: a volte la mente è equilibrata e regge ai terremoti.
Le
droghe non fanno per me: Io già non vado d’accordo con la mia mente.
Una
volta erano solo gli sbandati a drogarsi e ce l’avevano scritto in faccia.
Adesso invece si drogano tutti…
belli
e brutti.
La
droga fa soffrire. Forse non subito, però crea una illusione che prima o poi
trasforma la tua vita in un macello.
LA
MALEDUCAZIONE
Non si può andare tutti d’accordo
perché siamo diversi: Serve la conciliazione.
La
forma però è sempre grossolana nella maleducazione.
Essere
maleducati porta a non rispettare chi ci sta vicino, prevaricando persone e
spazi.
Curare
sé stessi è una forma di educazione.
Ho
avuto tanta maleducazione dalla vita. Spero di aver trasformato le cose brutte
in qualche cosa di bello.
La
maleducazione è quando non lasci parlare chi ti sta vicino.
Di
questa silloge ho apprezzato il modo in cui è stata strutturata, quello che il
primo verso di ogni poesia mi ha lasciato nella mente. Anche i temi scelti non
sono assolutamente scontati così come non lo è lo stile. Un mettersi a nudo che
personalmente apprezzo molto, forse perché molto vicino al mio modo di affrontare
le tematiche che parlano di salute, forse perché in alcuni passi mi rispecchio
molto, o forse perché semplicemente sono buone poesie che fanno riflettere.
(Guido Passini)
Clochard di Maria Grazia Spada
(Castenaso, BO)
Stai disteso
immobile
e non t’importa
la strada è la tua casa
Le lancette ormai
non sono più padrone
sei relitto alla deriva
in un mare di rumori fermenti agitazioni
Barba lunga piaghe lungo il corpo
hai sputato questo mondo
l’abbandono
il nulla
sono nutrimento
E resti lì
senza perché
fino a quando la morsa del nuovo ghiaccio
porterà via come ultima preghiera
il tormento di un respiro
Il testo nella sua brevità descrive
in modo efficace la vita di una persona, senza più casa. Non resta che la
solitudine e il sentimento dell'abbandono, nell'attesa dell’ultimo respiro. (Caterina Camporesi)
Maria Grazia Spada dal 2005 partecipa a Premi Letterari. Nel 2007 pubblica il romanzo Atropa belladonna, primo di una trilogia di ambientazione medievale.
Alcune poesie sono inserite in Antologie di Premi Nazionali. Invitata da Assessorati alla Cultura e Associazioni Culturali in Emilia Romagna, Toscana e Lombardia con il suo programma di Poesie e Musica.
Alcune poesie sono inserite in Antologie di Premi Nazionali. Invitata da Assessorati alla Cultura e Associazioni Culturali in Emilia Romagna, Toscana e Lombardia con il suo programma di Poesie e Musica.
Domani… sì di Concetta Mocata
(Rimini)
Domani
potrai guarire
domani
sì… potrai guarire.
Mentre
la tua vita va avanti
a
singhiozzi, domani sì… potrai guarire.
Ma
oggi vuoi restare lì… ferma,
con
i fantasmi del tuo passato,
con
il dolore che ti tiene sveglia e
ti culla,
con
la tua amica insonnia che non ti lascia mai da sola.
Oggi
puoi restare ferma e immobile così:
senza
pensieri e senza sorrisi finti!
Che
male c'è… tutto ciò che sei è chiuso qui,
dentro
quelle quattro mura della tua anima.
Ma
Domani potrai guarire,
domani
sì… ma solo domani!
È una piccola poesia, solitaria
come una margherita fragile e delicata in una grande aiuola piena di fiori dai
colori chiassosi. Trasmette con intelligenza un momento di contatto con un vissuto
depressivo colto come pausa, contatto necessario con sé stessi: “Oggi puoi restare
ferma e immobile così: / senza pensieri e senza sorrisi finti!, pausa per poi
potere ripartire.”
(Claudio Roncarati)
Concetta Mocata è una ragazza siciliana di ventinove anni, giovane e appassionata dell’arte e della moda. Si è laureata presso l’Università degli Studi di Parma in “Prevenzione e Sicurezza nei luoghi di lavoro”, adesso vive a Rimini (RN) dove lavora e si dedica ai suoi hobby per la letteratura e il sociale. “Insanamente 2012 ” è il primo concorso di poesie a cui partecipa.
Bisogno di
eroi
di Claudia Distefano (Comiso, RG)
BISOGNO
DI EROI
C’erano una volta
un eroe e una
ragazza.
La ragazza usciva a
volte
in cerca dell’eroe
(sebbene non fosse
malata, né avesse
bisogno
di qualche aiuto
particolare)
ma lo trovava
sempre
dietro un muro di
vetro stregato.
La ragazza vedeva l’eroe
ma lui nemmeno
sapeva
dell’esistenza di
lei.
Cerca, cerca,
accadde una buona
volta,
che la ragazza
guardò meglio
oltre il muro di
vetro stregato
fino ad accorgersi…
di quanto l’eroe
fosse antipatico
e pieno di sé
fino ai capelli!
Fu così
che decise di
cercarsi un altro eroe.
(preferibilmente
senza muri di vetro)
DAL
FINESTRINO
Convinta
di averti
intravisto
in un campo di viti
a qualche Km da
Pedalino.
Ho
passato un po’di tempo
ad infuriarmi
per il mancato
avviso
(più che altro
per altri
“più enormi”
motivi)
Ho consolato
per un po’ il
cervello
con questa
spiegazione accomodante
ma è crollata,
quando ho intuito
che l’odio
non è adatto a
scolorire
le macchie di
dolore.
NOTTURNO
Ricostruisco
angosciosamente
incubi
e cadute
Intanto
una racchetta da
tennis
bianca e rossa,
uccide senza il mio
intervento
le poche
zanzare che ho
intorno.
POST-IT
Facendomi coraggio
mi sono girata a
guardare
e ho scoperto che
lo squalo
era in realtà un
pesce palla.
QUESTO
22 MARZO
mi accarezza le
palpebre gonfie.
Ed è dolce, passare
per passante
a chi forse non
sospetta
le paure di una
mente
Ricordare,
dimenticare,
applicarsi,
scrivere un diario.
(nei paesini di
campagna
sono il mio unico
psicanalista)
: Ricordare 12
anni,
cancellare 12 ore
è un esercizio che
voglio cominciare,
che devo…
ma non in questa
passeggiata.
non con questi bei
ragazzi in giro.
SOGNO
ISPIRATO DA CHISSà CHE COSA
Ho sognato sette
giorni,
li ho pensati senza
domandare
“Sette giorni in
mezzo a un mese!
anzi tre, prima di
ricominciare”, Sì
ho pensato a sette
giorni al mare.
Ma non c’ero mai
venuta qui,
non c’ero mai
passata
nel tragitto dei
miei sogni,
in questo cortile
mi dici così:
“Non siamo ancora
in vacanza!
Soprattutto non
puoi uscire il lunedì;
non puoi uscire così,
non puoi uscire da
qui.”
Strano quando si
sogna
un altro sogno che
si spera.
Io in questo sogno
non c’ero mai passata,
in questo cortile,
su questo muretto
non mi ero seduta
mai
a guardare da quest’altezza,
ad aspettare un
tizio
con i capelli
ondulati
che mi pare si
chiamasse Giovanni…
Mi sembra, perché è
a questo nome
che penso da sei
ore,
da quando sono
sveglia.
Non avevo mai
pensato a un
carcere in estate.
STORIA
DELL’ARTE MEDIEVALE
Se il mio corpo
fosse architettura,
le gambe - anche se
corte -
mi sembrerebbero le
più adatte
ad impersonare i
pilastri.
Si chiamano “contrafforti”,
nella realtà,
quando sorreggono
gli archi del
tetto,
ne contengono le
spinte, la forza
la catturano
nella fermezza del
pilastro.
Mi chiedo quali
sono i miei pilastri
quando devo
scegliere
se contenere o
assecondare
le spinte dei miei “archi
di umore”.
Non mi sembrano più
contraf-forti
le mie gambe,
quando cominciano a
tremare.
UN
CIONDOLO ORIENTALE
Ho scoperto che
esistono
le malattie dell’anima
nel senso
dichiarate,
analizzate,
comprovate.
Devo legarla
ai polsi e ai
piedi,
farla calmare;
cambiare
il fazzoletto sulla
fronte,
sugli occhi,
aspettare
che siano dinuovo
perfetti
gli esercizi di chi
kung
sulla terrazza a
piedi scalzi.
Il poeta trasmette con
parole semplici senza fronzoli la capacità di lasciarsi stupire, anche dolorosamente,
dall'esistenza e chiama il lettore a condividere lo stupore, senza preconcetti.
Forse manca un po’ di “esperienza” ma verrà con il tempo. (Claudio Roncarati)
Claudia Distefano,
classe 1988, vive a Pedalino (Comiso) ma la sua settimana si svolge per tre quarti nella
città di Catania. Qui è laureanda in
Lettere moderne e lavora attualmente ad una tesi di Letteratura tedesca sull’opera
di Michael Ende. S’interessa di
letteratura per l’infanzia e collabora con il sito ludico-letterario www.asterischi.it
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