mercoledì 27 giugno 2012

Lettera aperta all’autore del libro Crescita Zero




http://poesia.blog.rainews24.it/files/2012/03/saggese-200x300.jpgho voluto anch’io emularti scrivendo una lettera aperta, quale contributo critico, al tuo lavoro storico politico Crescita Zero , pubblicato presso l’editore Delta3 di Grottaminarda. Nel libro ci sono svariate lettere, scritte per momenti particolari, a queste ti prego di aggiungere, in tutta umiltà, questa mia.

«Per la gente della Lucania, Roma non è nulla: è la capitale dei Signori, il centro di uno Stato straniero e malefico. Napoli potrebbe essere la loro capitale, e lo è davvero, la capitale della miseria, nei visi pallidi, negli occhi febbrili dei suoi abitatori, nei “bassi” dalla porta aperta pel caldo, l’estate, con le donne discinte che dormono a un tavolo, nei gradoni di Toledo; ma a Napoli non ci sta più, da gran tempo, nessun re; e ci si passa soltanto per imbarcarsi. Il Regno è finito: il regno di queste genti senza speranza non è di questa terra. L’altro mondo è l’America.»

Così scriveva Carlo Levi nel suo capolavoro Cristo si è fermato a Eboli nella prima edizione del 1945. Gli fece eco pochi anni dopo il “profeta del Sud”, così l’ha definito lo scrittore Raffaele Nigro in un articolo apparso sul quotidiano «Il Mattino» del 2003, il poeta Rocco Scotellaro: «Per te che te ne vai / senza nemmeno dirci addio / dove ti piangi la morte vicina / (perché ti stanca tapparti in cantina / qui nei giorni grigi di pioggia) / noi vedremo giocare il tuo bambino / alla lippa attorno alle caldaie / che accolgono l’acqua piovana. / Ma tu la mano non gli tenderai, / se gl’infiggono i chiodi i piedi scalzi, / con una busta di pesos!» (America scordarola)

Caro professore, perché nelle nostre scuole irpine insegni ai giovani liceali che Antonio La Penna, il grande letterato, nato da modesti proprietari terrieri alla frazione Oscata (tra Bisaccia e Vallata) a soli sedici anni approdò alla Scuola Normale Superiore di Pisa, riscattò in questo modo la condizione di “meridionale” (se vogliamo ironizzare di “terrun”), per divenire il magnifico docente annoverato nella Cultura nazionale? Come vedi per divenire qualcuno bisogna allontanarsi da qui, dai luoghi dove si nasce, dalle radici greche, e trapiantarsi nel Nord della penisola, più vicini all’Europa, con tante possibilità in più di costruirsi una strada.

Come vedi ogni sforzo che compi per far sì che i poeti del Sud approdino nelle antologie scolastiche nazionali, cade in un pozzo senza fondo, senza eco. Quanti ministri della Pubblica Istruzione erano uomini “meridionali”? Sicuramente c’era qualcuno tra loro, ma hanno pensato a tutto fuorché di programmare una letteratura meridionale bene inserita nelle antologie stampate al Nord e vendute da anni nelle scuole statali del Sud. Il Centro di documentazione sulla poesia del Sud, fondato a Nusco con Peppino Iuliano ha un futuro? L’Università Popolare, svincolata dalla classe politica, quante risorse potrà raccogliere per sopravvivere?

Sai, caro Paolo, non sei il primo scrittore al quale viene affibbiato il nomignolo di “poeta politico”. Prima di te c’è stato Guido Dorso, del quale tu sembri avere abbracciato in pieno la tesi storico-politica di una classe dirigente incapace, una volta al potere, di concretizzare valori fondanti per le nuove generazioni con il proprio esempio di “onorevole”. Una classe dirigente non riconoscibile in uno Stato di diritto. Lo ricorda Dorso nelle belle pagine del suo capolavoro, sempre attuale, La rivoluzione meridionale (1925): «Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che ad aggravare gli originari fenomeni di inferiorità economica e di patologia demografica che caratterizzano la costituzione sociale del Mezzogiorno, molto ha contribuito e contribuisce tuttora lo Stato, che, da organo supremo del diritto, da fonte precipua ed unica di eticità, si trasforma in Italia in organo di privilegio, in fonte continua e perseverante dell’ingiustizia.»

Lo ripeti, tu, nel lavoro di cui stiamo parlando quando scrivi: «Noi viviamo in una delle società più immorali e ingiuste della storia, perciò non possiamo essere Maestri efficaci e credibili dei nostri giovani. I giovani, del resto, sanno che gli insegnamenti di un Maestro li condannerebbero semplicemente ad essere degli infelici: la strada della cultura, dell’onestà, la sete di giustizia, sono lussi di pochi don Chisciotte condannati a testimoniare nel deserto, ovvero in perfetta solitudine.»

Come vedi la lotta operaia dell’Irisbus Iveco di Valle Ufita, insegna. L’abbandono da parte dei padroni al loro destino degli operai che hanno gonfiato le loro casse di profumati guadagni , per mercati e operai meno costosi, molto si avvicina alla condizione dei nostri studenti in ogni tipo di scuola, comprese le università. Il tuo libro è un'altra tessera nel mosaico di questa maledetta “questione meridionale”. Non una damnatio memoriae, come sovente hai ripetuto nel tuo libro, piuttosto c’è bisogno di una presa di coscienza che riscatti dai favori dei politici, dei preti, dei faccendieri, le nostre nuove generazioni. Sono i giovani, a cui dedichi le tue più forti cure, che dovrebbero non percorrere le stesse strade dei padri e non votare alla stessa maniera.

Soltanto affrontando la solitudine del “fare” da sé si riesce a tracciare, con una sofferenza indicibile restando nella nostra parte meridionale o lanciandosi in una nuova vita da emigrati con tutte le sofferenze di essere sradicati ma accettati per quello che si offre, il nuovo corso della Rivoluzione Meridionale alla quale il tuo lavoro storico-politico-pedagogico si aggiunge. Domenica primo luglio, quando presenteremo al pubblico della nostra terra il tuo libro, spero ci sia qualche buon Maestro che voglia far propria la nostra causa e leggere il tuo libro, ai suoi allievi, come chiede il nostro poeta Domenico Cipriano nelle sue raccolte poetiche: «Cogliete / degli sguardi intorno / i pochi nei volti sinceri / che non chiedono / altro in cambio, né / dicono, eppure sanno.» (Luoghi,il tempo nello spazio, Fermenti, Roma, 2010).

Tuo, Vincenzo D’Alessio

montoro, 26 giugno 2012

Caro Paolo Saggese,

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