(altro inedito dell'Autore qui)
Decolla l’aereo al tramonto,
come uccelli migranti,
tra nuvole di lana grezza da cardare.
Un vecchio – operato per errore –
vedovo da pochi mesi, con la nuora
a depredare gioielli dalla camera ardente,
si gioca i risparmi ai grattini
per non lasciare un solo centesimo.
Come ogni anno, a primavera, Dario
fantastica su tacchi e tette,
come quelli scaricati di nascosto la notte.
Fiulìn con accento longobardo,
nell’incedere testardo in luoghi lontani
dal mare scuro oltre le colonne.
Teresa con il timore di perdersi nella memoria
come un volo radente sull’acqua.
***
Il barbone del bar Monza
ciondola tra una chiesa razionalista,
bancomat e banconi da bere.
Dicono sia stato bancario…
medico… giocatore di poker.
Il mare non così lontano,
nemmeno dalla balaustra lo guarda
e il suo volto è un rosso vespro.
Quelle ville – un tempo dimore di signori –
ai piedi di colline boscose,
sono residenze per anziani e nuovi ricchi,
accanto a quartieri emigranti.
Per Fiulìn il mare quadrettato è un ricordo
stanco, come i giorni dell’Andrea
che mai vivrebbe altrove;
a Teresa la sua rosa è seccata in fretta,
forse finirà tra le pagine di un libro,
senza rispuntare come in una pellicola
americana in bianco e nero.
***
L’avesse saputo prima,
l’Emilio non sarebbe andato in quella scuola:
paese un tempo contadino, poi dormitorio
ora covo di camorristi e latitanti.
Quasi ogni giorno la paura di minacce…
d’un coltello nella gola,
nemmeno si prepara la lezione.
Quando franano rovine romane,
andrebbe per pochi soldi a sostenerle.
Domani forse finirà un altro amore:
si vede al ritorno nel Paesone
cantando canzoni strappalacrime…
cercando una casa in affitto.
Come ogni anno arrossiscono gli alberi di Giuda:
Fiulìn li rivede seminascosti in periferie
e s’illude che presto fioriranno ancora.
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