AA.VV. La forza delle parole, FaraEditore, 2012
recensione di Vincenzo D'Alessio
Nell’Antologia curata da Alessandro Ramberti per l’annuale concorso letterario Pubblica con noi della casa editrice Fara di Rimini, compare quest’anno la poetessa Giovanna Iorio, con la raccolta poetica: Il libro degli oggetti smarriti. Una raccolta miliare ché frutto della passione che nasce dopo una lunga gestazione come traduttrice di poeti e poetesse irlandesi. Il traduttore ha un grande vantaggio: ha svolto, come sopra il palcoscenico di un teatro, il ruolo dell’attore in una commedia scritta da altri. Si immedesima e traduce, nella performance personale, l’energia voluta dall’Autore. Poi diviene ottimo Autore egli stesso.
La poetessa irpina Iorio è una voce solista. Il magma di un Sud forte e acerbo che cresce quanto più lo si ascolta nella narrazione del suo racconto “(…) Però mi ricordo / un tempo quando / facevi un rumore gentile” (Il cancello, pag. 146). I versi della raccolta Il libro degli oggetti smarriti sono una manna nel percorso della poesia contemporanea, e formeranno il legame futuro per quanti continueranno a scrivere, nella misura della poetica personale che diviene il cammino condiviso dagli esseri umani che leggono Poesia.
Siamo passati troppo in fretta dalla realtà del racconto, appartenuta al XX secolo, alla realtà virtuale delle immagini, di quest’inizio secolo: una frustrante mitografia di mondi irraggiungibili dove tutto si svolge in perfetta sincronia temporale. Sono scomparsi gli errori e le vere sofferenze. Ogni cosa viene presentata come pulita e razionale, mentre non è certo così. Le immagini sono tante, troppe. Gli oggetti, che fanno parte della nostra quotidianità, che usiamo, che armonizzano la nostra esistenza, che sopravvivono alla nostra scomparsa e raccontano le nostre abitudini, sono stati dimenticati.
La nostra poetessa rende visibile, attraverso questa raccolta, la loro vita segreta. Le sinestesie, restituiscono l’umanità agli oggetti: “Un divano senza memoria / un vecchio malato d’Alzheimer” (Divano, pag.143); “Un vetro sporco / come un’anima in attesa” (Finestra, pag. 149); così tutti gli altri oggetti “smarriti” trovano posto nell’esistenza con una forza unica, sovente dimenticata dalla gente frettolosa. Dove va la gente? Dove conduce la Poesia? Sono forze di due mondi paralleli, spesso in lotta tra loro, che si incontrano nel punto nodale del viaggio: la scomparsa.
Tornano alla mente i versi stupendi del Nobel Wislawa Szymborska: “(…) Mi stupisco io stessa del poco di me che è restato: / una persona singola per ora di genere umano, / che ha perso solo ieri l’ombrello sul treno” (Discorso all’Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, 2009). I versi della Iorio sono: provocanti, ironici quanto basta, asindetici, ricchi di un’ esperienza individuale che conduce all’universalità dei temi trattati, che fanno coincidere la vita degli oggetti con quella degli uomini, in un’aura senza tempo. Musica di versi che la Nostra ci trasmette in questo modo: “(…) forse dalla brezza / di parole del naufragio / quotidiano” (Bottiglia di vetro, pag. 148).
Per Giovanna Iorio la poesia è vita e la vita è poesia: suono di un’arpa celtica che trascina, con forza, il lettore nel mondo ancestrale del divenire attraverso l’uso dell’enjambment, con analogie che arrivano alla bellezza dei quadri del pittore Marc Chagall: “(…) questa casa è un veliero / orfano di vento / mi fermo a sbirciare / il naufragio che abita dentro / (…) / tra me e il vuoto / c’è solo il vetro / gelato” (Finestra, pag. 149). Anche la fine dell’esistenza diviene nei versi della Nostra, per il lettore che la segue, continuità delle energie, attraverso la finestra del mondo, per continuare a tenere gli occhi aperti sul bellissimo racconto dell’esistenza.
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