lunedì 13 febbraio 2012

Mario Fresa. Ritratti di poesia (23)



Stelvio Di Spigno





Il gesto poetico di Stelvio Di Spigno nasce, matura e si svolge attorno ai misteriosi segni di una frontiera obliqua e tagliente, sulla quale si muove, quasi frantumato e sbriciolato in un drammatico lacerto residuale, lo stesso «io» del poeta.
Questa frontiera, zona di degradazione e di disfacimento di ogni ipotesi di «identità», appare sordamente reattiva e feroce: essa respinge la voce che interroga i fantasmi del proprio vissuto, scomponendo e confondendo le notizie raccolte, dissestando l’itinerario già tracciato, devastando e rovinando i pochi, labili segnali di riconoscimento, le fragili coordinate disegnate sull’oscura topografia del cammino intrapreso.
La parola poetica, così, allo stesso tempo, edifica e sommerge, condensa e fa svanire, mostra e cancella: diventa, insomma, una specie di teatro delle parvenze e delle sottrazioni, in cui l’intera realtà osservata, e prima di tutto la coscienza e il soggetto, si rivelano caduche sembianze, nulli vaniloqui, giochi effimeri e bugiardi. Il paradosso è che lo sguardo poetico, pur mostrandosi fugace, transitorio e mortale come l’io che lo produce, acquista una nobile dignità, una esemplare altezza etica nel riconoscere, appunto, con trasparente pacatezza e con sofferta commozione, che la parola è solo, finalmente, un brandello, uno squarcio, un detrito: cioè l’ombrosa rimanenza di un tutto inafferrabile e inconoscibile, che rifugge da ogni possibile dicibilità, lasciando al poeta soltanto l’agra meraviglia di registrare il dilatarsi di una fitta disgregazione, la povera eco di un’avara particella di senso. Ed ecco: la poesia coincide con il nudo aprirsi di quel destino notturno di espiazione di sé e di totale dissolvimento, giungendo a toccare un punto nel quale convergono il tutto e il nulla, il vuoto e l’immensità, la nascita e la morte. 
Scrivere è dunque assegnarsi a una vertigine azzerante, ad una progressiva sparizione, a un’ auto-destituzione che annunciano di continuo il profilarsi di un tramonto, lo schiudersi di una totale, irreparabile resa. Bisogna, allora, «denudare ciò che è lì da tutte le sue rappresentazioni esteriori, fino a quando non sia altro che una pura violenza, una interiorità, una pura caduta interiore in un abisso illimitato» (Georges Bataille).
L’abbagliante nettezza e l’impeccabile controllo stilistico della poesia di Di Spigno non sono certo pacificanti, né riscattano l’amara inquietudine del suo viaggio: lo accompagnano, invece, con una lucida quiete, con un distacco nitido che sembra consegnare il poeta stesso a una regione di stupìta e remota sospensione, simile a un bosco impenetrabile o a un doloroso esilio.





Dissolvimento


                                             A mio padre

Diciamo pure ch’eri fatto come una miccia o una stiva
che ti attaccavi anche all’aria che non respiravi
perché sapevi cos’era perdere ogni cosa
all’improvviso o lungamente, calpestandoti o guarendo.

Fissandomi all’interno dei tuoi pensieri irreali
guarda come la tua vita s’è incuneata nella mia,
trasformandoti sempre e modificando anche me
che ora perdo scrivendoti e ricostruendoti altrove

così lontano da casa da non sapere dove
ci siamo mai visti, conosciuti o rinfacciati,
se fossimo mai nati e se è vero che eravamo.



(da La nudità, edizioni PeQuod, 2010)










Stelvio Di Spigno è nato a Napoli nel 1975. Ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano (2001), i volumi di versi Mattinale(2002, Premio Andes; 2ed. accresciuta 2006, Premio Calabria), Formazione del bianco (2007, già finalista al Premio Sandro Penna), La nudità (2010) e la monografia Le Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (2007). Suoi testi poetici sono apparsi, tra l’altro, sulle riviste «L’area di Broca»,«La Clessidra»,«il Cobold», «Gradiva», «Hebenon», «Sinestesie», «Specchio della Stampa».






1 commento:

Roberto Maggiani ha detto...

Grazie Mario, a suo tempo anch'io spesi qualche parola per questo libro di Stelvio che lo pone, a mio modesto pensiero, tra le voci poetiche più decise e importanti del nostro tempo.
Roberto Maggiani