lunedì 19 dicembre 2011

Sopra un inedito natalizio di Alessandro Ramberti

di Vincenzo D'Alessio

La gioia della Natività, intesa nel senso cristiano, da più di duemila anni accorda alla varia umanità un senso privilegiato di Pace. La festa della nascita è antica, quanto antico è il gesto, non solo per l’essere umano, di vedere nascere un figlio. Ma non è solo Pace, la forza che l’Umanità ricerca. L’essere “Uomo” in troppe occasioni cede alla violenza, alla distruzione, alla guerra. Tutte queste forze, opposte alla Pace, si muovono per un’unica condizione razionale: l’economia, il consumo/possesso  delle risorse che l’azzurro pianeta offre ancora.
Il luogo natale per eccellenza, per noi cristiani, resta Betlemme. La povertà l’essenza che nutre l’accoglienza. La memoria, come volle il fraticello di ritorno dalla Terra Santa, come spinta ad annientare il potere del “mostro / nutrito dal buio(…)” La poesia di Alessandro Ramberti, inedita, inviatami per accendere il lume della Speranza è quella che segue:

Betlemme è già salvezza
Vieni
crolla dentro questo minimo oceano
spalanca gli scomparti diabolici
le linee seghettate dall’usura,
sciogli gli schemi di ghiaccio
che covano il mostro
nutrito dal buio che ingoia ogni fiamma…
accompagnaci col tuo braccio potente
lungo questo esodo ululante:
un tuo soffio e anche il mare
si prosciuga, un gesto
e le onde abissali si placano.
Attraverso un sipario di fuoco
la meraviglia costringe le ombre
all’esilio, ci sorprende
di flusso lieto dei giusti
le labbra sono musica
incontro al mistero:
ognuno percependo
che il suo cammino è tenda
e il volto tuo
universo.


Il vocativo, utilizzato dal Nostro, è la traccia indelebile della preghiera. Ma l’umanità di questo XXI secolo non prega più con il fervore dell’abbandono nelle mani di una entità infinita. Prega costantemente per la propria individuale salvezza giornaliera. Non riesce a conoscere i nomi, delle migliaia di vite scomparse in fondo “a le onde abissali”, protese all’esodo, per scampare alla Fame, alla malvagità del Potere terreno, alla schiavitù delle Malattie. Continua il poeta “crolla dentro questo minimo oceano”, ma il dentro di un singolo non muove l’oceano mare dell’Umanità in declino. L’unica forza resta l’incontro, negli occhi che neanche hanno più forza per una lacrima, con i nostri malati negli ospedali, con i migranti, i rom, gli ultimi nella strada. Quante volte ci siamo interrogati e prodigati. Ma “il sipario di fuoco” del vivo Amore  non respinge “le ombre all’esilio”, né le divora. La “tenda” del buon samaritano è stata divelta. Il volto del Dio dei Cieli è scomparso nelle luci delle città e dei paesi. Anche il suono delle ciaramelle, che Giovanni Pascoli ricordava essere tema di rinnovata morale e dolore dell’esistere, si spegne lontano.
Vorrei accostare i versi di un altro grande poeta del Novecento che bene si intonano con la voce solista di Ramberti:

“(…) Oh, lava e scarnifica e spazza
Chi fra i bari del mondo non volle aver bazza:
Sgrumando la lugubre scoria
Che c’inviliva alla gente,
Snuderai l’oro e la gloria
Che non si vendon né recan piacere,
Ma splendono d’un baleno
Che irraggia invisibile sugli altri con Dio.

(Clemente Rebora)

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