martedì 14 giugno 2011

Su Appunti di poesia di Rosa Elisa Giangoia



recensione di Narda Fattori


Il delizioso libriccino della Giangoia osa presentarsi come una riflessione quasi completa sulla poesia, materia così difforme, ardua e preziosa. E tuttavia ogni discorso su di essa è riduttivo o/e anche ridondante perche della poesia si è detto e scritto, molto/troppo prodotto, in maniera poco critica e un poco cinica. Già. Perché se è vero che si moltiplicano editori e “poeti”, pessima e buona poesia, in realtà tutto accade in un silenzio assordante: solo i poeti o aspiranti tali leggono di poesia e il circolo diventa autoreferenziale. Ma anche pericoloso perché ci si conosce un po’ tutti e poi dispiace porsi in modo critico di fronte al prodotto di un amico di cui si ha bisogno per una recensione, per una presenza ad una presentazione e per altri nobilissimi motivi, pericolosi appunto perché la referenzialità è circoscritta, protetta da complici.
Nessuna poesia vola, attacca, cambia; un tempo i poeti finivano esuli (Dante), chiusi nei gulag, costretti al suicidio dalle interferenze sociali, dai demoni intestini; ora si può scrivere di tutto e di tutti perché nessuna cosa e nessun evento – nessuna congrega di potere si sente in pericolo; la passione che vibra nei versi svolazza appena come una foglia di novembre. Si posa in attesa della consunzione.
Eppure i poeti continuano a scrivere. Perché? Sono dunque autolesionisti ? Si illudono di conquistarsi uno statuto di eternità? Pensano forse di intaccare il potere dominante?
I poeti sono persone dotate di intelletto e non hanno di queste pecche mentali: sanno che breve è la durata dei loro versi, che nessuno oggi, tanto più domani ne citerà due a sostegno di un’emozione, di una argomentazione. Eppure durano a scrivere, a cercarsi, a dar corpo concreto alla parole che si sono fatte lievi come bave di vento. La poesia è una forma di comunicazione che tocca l’area emotiva e quella intellettiva, fa luce sulle esperienze, dà voce al dolore e, più raramente alla gioia, continua testardamente a cercare giustificazioni all’esistenza, oltre la Parola religiosa. La poesia parla sempre dell’uomo, vive in un eterno presente che mi fa coetanea di Saffo e di Alceo, di Leopardi e di Majakosky. La Giangoia, che ha dato la stura a queste mie misere riflessioni, parla da innamorata della poesia e nei paragrafi numerati affronta ogni volta un aspetto di questa arte;  così credo che sia più onesto darle parola e quindi trascrivo in perfetta buona fede, alcuni frasi, deconstualizzate qua e là: “Ricollegare la poesia all’humanitas, vuol dire etimologicamente unire l’attività creativa dell’uomo al suo essere terra e terra . La  poesia diventa così capacità di leggere dentro le cose dell’uomo, nel suo vivere sulla terra, per esercitare tutte le sue possibilità di giudizio e di progetto.” 
Come non convenire?  E ancora: “La produzione di testi poetici totalmente autoreferenziale rispetto all’autore, (…) che nelle sue parole trova una solipsistica forma di autocompiacimento senza riuscire a varcare la barriera che lo separa dal lettore…” , L’essenza della poesia è la rivelazione della verità. (…) il senso ci riporta sempre alla verità, nelle sue varie forme, verità del cuore, dello spirito, dei sentimenti, delle cose e delle loro percezioni”. Attorno a quest’ultima affermazione che nel testo si argomenta più compiutamente, si manifesta un dramma moderno o se si vuole di ogni tempo: di quale verità stiamo parlando? Non di verità maiuscole, è evidente, ma neppure così relativizzate perché la poesia coglie il substrato creaturale di ciascuno, la parte molle e comunitaria. Ecco la verità della poesia, il suo ubi consistam: se parlo di me parlo di tutti noi.
“La poesia è impegno e fatica, in quanto i versi nascono da un’emozione e da un’intuizione , potremmo dire da un brillio della realtà in rapporto al nostro animo … Questo brillio va però perseguito, anzi afferrato, tenuto acceso, con tutta la necessaria cura…”
Anche in questo caso convengo con la Giangoia forse ancora più drammaticamente; la poesia urge, spesso duole, ma perché si mostri nella sua veste più adeguata e veritiera ha bisogno di tocchi e ritocchi; su una poesia si ritorna più volte fino a quando non si è trovata la sola forma che meglio esprime contenuto riflessivo ed emozione.
Infatti la poesia è lavoro sulla parola e sulla trama che le stesse intessono con le altre e con lo spazio bianco. Dunque non flatus voci, ma impegno e competenza.  Infatti la stessa autrice suffraga questa mia riflessione con queste parole: “ La poesia è una gara tra le emozioni e le parole, nel tentativo di saggiare qual è la tenuta di una parla, la sua potenzialità espressiva, la sua efficacia funzionale, soprattutto la sua relazione con l’emozione”
La riflessione conclusiva del libretto riguarda la motivazione a scrivere , argomento arduo perchè  non sono date risposte certe ed univoche; probabilmente ogni poeta ha la propria o forse neppure sa riferirla coscientemente; la Giangoia riporta nell’alveo della conoscenza di sé il bisogno di dire perché la poesia sparge “semi di intuizione, di scavo, di consapevolezza e anche di speranza. Semi che germogliano e si compiono in parole. (…) La poesia è allora un modo per interpretare e dar voce al destino.” 
Così gravoso è dunque il compito della poesia?  Forse è eccessiva la potenza che si attribuisce alla poesia, considerato, come si è detto all’inizio, che di nessun conto essa possa gloriarsi in questi tempi fatui.
Se questo libretto va considerato come un vademecum per il poeta, credo che a poco serva; direi piuttosto che è importante come stimolo alla riflessione ora che si parla si post- ermetismo, post-lirismo, narratività, assenza di canone, linguaggio colto, medio, quotidiano, prevalenza del significante sul significato, … di cui non si fa cenno.
È un libro appassionato, una lunga dichiarazione d’amore alla poesia, dichiarazione documentata ma sempre compiuta per chi la scrive.
Più che dai poeti, vorrei che questo libretto spuntasse dalle tasche di qualche signora o di qualche signore sul tram, che fosse letto dai pendolari in treno, studenti compresi, insieme ai suoi insegnanti e fosse discusso, se ne facesse dibattito.
Ma anche la mia è, sotto altra forma, una dichiarazione d’amore.

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