di Vincenzo D'Alessio & G.C. “F. Guarini”
Un mensile di provincia non può vantare l’azione quotidiana delle notizie che avvengono nel movimentato mondo che ci circonda. Un mensile di provincia non vanta le grandi firme che fanno opinione. Un mensile di provincia traccia un solco quasi invisibile, tra Cultura e ignoranza violenta (cioè quell’ignoranza associata al facile denaro), nel quale sono racchiusi i semi della memoria, i frutti della Civiltà degli Uomini.
Quest’anno, esattamente l’11 settembre, si compiranno otto anni dalla scomparsa di una bellissima voce poetica della nostra Irpinia: Maria Luisa Ripa, nata a Prata di Principato Ultra il 1° dicembre 1966. Avrebbe avuto quarantacinque anni, oggi, se fosse stata in mezzo a noi. Una stupenda creatura che aveva in sé i prodromi di una bellissima sensibilità: bastano le sue opere artistiche a testimoniarla nel tempo. Si ispirava, nelle forme pittoriche, al grande Michelangelo Buonarroti. La complessità della sua arte è racchiusa nei progetti architettonici per la città natale e nel bellissimo tabernacolo realizzato nella cattedrale di Guardia dei Lombardi (AV).
Noi l’abbiamo riconosciuta poetessa all’undicesima edizione del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra” (1996-97), alla quale partecipò con la poesia cunicoli sotterranei , ricevendo una segnalazione di merito: giunta nella rosa dei finalisti. Già allora i suoi versi indicavano una immensa sensibilità di fronte alle vicende umane e alla condizione personale di partecipazione al vivere:
Come cieca, bendata
m’inoltro nel mare umano
e tremo per paura di affogare
e nuoto
e affondo
e riemergo
e il mio respiro,
in un affanno continuo
e in continui singulti,
perenni, come la malattia della vita,
si trascina…
I versi che abbiamo citato sembrano preannunciare la fine della sua prematura giovinezza. La coscienza di una mancata aderenza alla “malattia della vita”, intesa come partecipazione corale all’esistenza tra gli umani. “Vivo altrove”, scrive nella stessa poesia, “solo nel silenzio / di un abbraccio / meditato troppo a lungo.”
L’abbraccio dell’Eternità. Questo scriveva, a Roma nel 1995, Maria Luisa Ripa, inconsciamente dettava la trama della tragedia che l’avrebbe vista scomparire pochi anni dopo. Per noi fu un incontro felice: eravamo dinanzi ad un’artista a tutto tondo, poliedrica, capace di riassumere in sé la grandezza che Dio stampa nei geni. Così si ritrovò a firmare il Manifesto dei Poeti Irpini proprio a Guardia dei Lombardi, il 13 aprile del 1997: il primo atto pubblico di un coro di voci libere contro la prevaricazione dei politici nei confronti della Cultura popolare. Oggi, a distanza di quattordici anni, quel documento brilla come stella polare nell’oscurità che la nostra terra irpina ha vissuto, e sta vivendo, di fronte al desiderio di cambiamenti.
Maria Luisa Ripa, scrive a Roma nell’ospedale dei suoi ultimi istanti, l’esegesi della sua malattia, che si trasforma in un inno, disperatamente amante della Vita, al “desiderio della gioia”:
(…) Allarga le tue braccia
E grida forte verso l’alto
L’amore per la vita.
Fa che il tuo grido
Sia ascoltato dal tuo silenzio
E dall’idea che hai del pianto.
Rallenta la tua corsa
Verso il caos
E aspetta…
Aspetta anche cent’anni.
(…)
Seduto sulla soglia del tuo esistere
Aspetta
E perdona il tuo dolore. (4 agosto 2003)
Ora ditemi, voi che state leggendo queste pagine, avete sentito voce più bella e più pura di questa, cantare in versi l’Amore per l’Esistere? Non c’è canto più bello e sincero di questi versi, di questa voce poetica che di fronte alle sofferenze della sua dura malattia, scandendo le poche ore che le restano, intona un canto immenso, come coro, ai colori del vivere. Ricorda quell’emblematica espressione divina, dell’Uomo inchiodato al supplizio della croce, che grida all’Impero di Roma, alla vanità del potere degli uomini, la sua fiducia nel Perdono: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!” C’è l’uso del vocativo, quasi come un invito rivolto al genere umano indifferente, impoverito dalle necessità del vivere, alla presa di coscienza del Dolore che ognuno deve affrontare per entrare ed uscire dalla Vita.
La nostra poetessa, nella sua unica raccolta postuma Parole dal silenzio, ci indica la fermezza d’animo di una poetessa che ha segnato intensamente, con la propria scomparsa, l’inizio del nuovo secolo che viviamo. La sua voce continuerà a dettare l’Amore per la Vita, di fronte alle brutture del dolore e delle malattie che si accumulano nel quotidiano umano. Ma quanti ascoltano il suo invito: “aspetta… Rallenta la tua corsa”?
Guarda chi soffre dietro i vetri di un ospedale; dentro le celle strette di un carcere; nei campi profughi; sulle carrette del mare; nelle terre dove la libertà viene recisa nel sangue. L’invito di Maria Luisa è attualissimo, dolorosissimo e ricorrente tra gli uomini. Un invito che cade inascoltato, troppe volte, come povera goccia d’acqua nell’immensità del deserto umano: granelli di sabbia che scorrono, gli uni sugli altri, consumati dal caldo del sole, in balia del vento inarrestabile.
Ascoltiamo la sua voce. Ascoltiamo le voci che ci arrivano, nel silenzio della memoria, a ricordarci uomini.
v. anche il ricordo scritto da Emilia Dente
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