L’Apocalisse si compie! Si palesa attraverso il sussurrato evocare, lemma dopo lemma, l’immagine del mondo, quello che il Demiurgo non ha inteso.
Si mostra con un gridare alto e sonoro, sublime nelle intuizioni, nel volto reso chiaro e compiuto di un sistema prima ignot , oscurato dai lembi spessi di una coscienza non posata sulle “spalle dei giganti”.
Infine, il nocciolo più intimo dell’imperscrutabile conglomero si separa dalla polpa e ritrova, nelle tue parole, l’odore antico del seme.
La Rivelazione - un percorso disseminato di segni, sassi che sono lettere, ciottoli semiotici di primordiale fattezza - squarcia il velo di Vala e magicamente fuoriescono dall’icona, al principio abbozzo marmoreo di iniziale spremitura, nitori abbaglianti, trasparenti baluginii e soffusi chiardiluna.
Prima mai esistiti, ora vivi e urlanti nella parola rinnovata.
L’Apocalisse si diffonde e sparge sul magma interscambievole del lemma la rugiada dell’ordine primo del Cosmo, una pioggia leggera che si fa specchio fedele di significati oscuri persino a sé stessi, e ricompone i pezzi smarriti dei versi infondendo la vita all’erranza dell’esule, terra salvifica per naufrago.
Tutto è quieto, nell’oltre della parola, tutto ricomposto nel sistema indefettibile dell’inizio , di quell’inizio fermo nella stasi estatica del l’ ante-pensiero, nell’ identità di ambìto e compiuto, di anelato e atteso.
E così, nella parola dopo la parola, il Caos docilmente si incanala nei tralci fluidi dell’ ”eterno scorrere” e in esso placa la sete il volto sfigurato della confusione, l’andare ambiguo del pensiero indistinto, scomposto nella nebbia spessa dietro cui si schermisce.
Il ρήτωρ tende la mano all’esule che a passi incerti e occhi bendati tenta la strenua risalita dai cerchi ultimi degli inferi in accaniti tentativi di estrinsecare il significante, tra grovigli di affastellate idee caracollanti l’una sull’altra e grumi di visioni esiziali che, disperati, tentano la risalita dal magma solidificato di malate coscienze.
“O la mente, la mente ha montagne; rupi a picco paurose, precipizi dall’uomo inesplorate”, ha baratri e rovinose ambizioni consumate in inconsapevoli viaggi nel buio assoluto dell’ante; Si aprono nei varchi del pensiero e si accalcano, si ritorcono, si intrigano, si urtano, si avviluppano, si ingarbugliano, in un indipanato gomitolo di nervi e sinapsi : visioni solitarie, fulminee, vettori incompiuti scagliati all’impazzata e ritornati, scomposti, in luoghi non idonei.
Ma l’Apocalisse, la tua, è rivelazione e nell’oltre della parola, si fa verbo originario, interpretante oltre l’interpretabile, sembiante sublime di realtà mai concepite, artefice feconda di pensieri mai pensati, icona e specchio di sostanze immaginate, cavate come pietra dal magma del lemma.
Quel lemma urlante, in cerca del suo spazio, bendato anch’esso prima che, scorgendolo, lo consoli la Misericordia.
È qui allora, nel dipanarsi fluido del logos , nel suo rendere intelligibile l’insperabile, nel fluire liquido della Verità, che si compie il miracolo della gemmazione : nuova vita, nuovo significato, nuovo essere dell’universo.
È qui che germina l’armonia dal caos e dalla pianta di cactus fiorisce il loto; è qui, nell’oltre della parola, che dal nulla sboccia il tutto e l’antimateria si fa di ossa e sangue.
È qui, nelle profondità inesplorate delle intenzioni, aggrovigliate a residui di sangue e lacrime che scava e vince il pensiero interpretante e incorona, re incompreso, la Parola, regina di un regno messianico.
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