mercoledì 9 giugno 2010

Vincitori e segnalati del concorso Pubblica con noi 2010

Vincitori sez. Poesia (v. anche la sez. Racconto e l'attestato dei vincitori)

Fara Editore e i giurati del concorso Pubblica con noi 2010 
scheda del libro qui

Daniele Bottura, Elena Varriale, Maristella Olivieri, Patrizia Rigoni e Stefano Martello per la sezione racconto; Agostino Cornali, Daniela Terrile, Matteo Fantuzzi, Nicola Lorenzetto,
Paolo Gambi e Sebastiano Adernò per la sezione poesia;
sono lieti di premiare i seguenti autori con la pubblicazione nel volume Pubblica 2010

classifica sezione Poesia
4 i vincitori che saranno pubblicati (tutti a pari merito)

Tra sogno e veglia 
di Antonella Catini Lucente (Roma)


Nata a Viterbo il 29 dicembre 1962, Antonella Catini Lucente, dopo la maturità classica si trasferisce a Roma per studiare giurisprudenza. Ha sempre profondamente amato le parole e il loro suono e crede profondamente nella loro forza di cambiamento e di penetrazione. Solo nello scorso febbraio scorso ha iniziato ad inviare alcune sue opere a concorsi letterari.
Finalista – con proposta di pubblicazione – della V edizione del Premio Logos – Giulio Perrone editore – con la silloge Perle nere.
Selezionata per l’Antologia del Premio Marguerite Yourcenar 2010 con le poesie respiro cosmico, cogito ergo sum, interstizi, tratte dalla silloge tra sogno e veglia.


Respiro cosmico

Ti tocco con un fiato
mentre stringo tra le ciglia l’Universo
gonfio del tuo respiro


La voce del pensiero

Oggi hai voce tua
Pensiero vivo
mio necessario nudo compagno, mio obbligato disperato amore
mio tremore temuto e bramato, mio orrore generato e nutrito

Hai voce sonora
sei la mia voce
e rombi e rimbombi nell’arena comune
come carne di tori in disperata agone

Oggi sei tu, insopportabile grido
Pensiero inquieto
che compari inatteso a confondere il giorno
e deflagri improvviso con la veste d’untore

Oggi sei tu
Necessario Amore
sei risate sonore, consigli spirati
sei stanche sommosse, sproni tentati, inattese carezze, sopite speranze

Oh tu
Folle follia
delirio lucido dopo silenzi e sonno
calda illusione sbocciata dal niente,vaticinio vago di sonnolenta sapienza
rimprovero crudo e impietosa condanna
fuga dal mondo o viva saggezza, tiepide perle disperse nei giorni
grida di folle, bocca di madre

Tu
sei il pensiero che pesa, il pensiero che vive, il pensiero che sogna
quel pensiero che sento parlare, che sento gridare
più vivo del giorno
Più della vita


Sogni consapevoli

Sulla porta del giorno
ho rincorso brandelli di sogni
a stento ne ho trattenuto le vesti
serrate e braccate tra spire di pelle

Cieca
ne ho succhiato l’odore
rifugiatosi acre negli interstizi del fiato
fuggiasco indomito nei labirinti del nulla

Erano vivi
erano veri
sguardi scrutanti, indocili mani, odorose pelli, notturne falene
corpi selvaggi perduti in amori, sospinti beati in estatiche fughe
schegge di vita, scorie di sogno, disperse e disciolte in insondabili voli

Sono svaniti all’alba
quasi pulviscoli di polvere
posata su sfilacciati residui
di accennati sospiri


Alta marea

Rotola
nei rivoli ritorti dell’orecchio la burrasca
marea gravida
remota di sale roboante e grondante di scaglie di sole
rolla le urla di grida lontane
trascinate a riva da barche in deriva

Rimbomba
schegge di ruvido vento tra la rena e gli abissi
risucchiati al margine dell’orizzonte
dai flutti dei sogni

Sbatte
ringhia
e arrotola dispersi rifiuti
che poi striglia con verghe di vento come cocchiere ardito
e sparge nell’aria note stonate di disperanti rotte

Dissonanze ruvide
sibilanti negli orecchi del nulla
mani rugose chetate su occhi rotti di veglie
e grida urlanti ancora
come estremi relitti di reietti randagi
come scarti di pioggia di qua dal ventre del buio

Rulla a riva
livida di ragli e gracidii
rifiuti liquidi che irridono risa, sezionate ad ali di gabbiani

È l’alba
briciole di luce si insinuano negli interstizi ritorti della mente


Cogito ergo sum

È risorto il pensiero dal sonno
il sudario
giace vuoto
sulla soglia del giorno

Noi
disperati gridiamo
soffocati
da un insostenibile affollamento di idee


Commenti dei giurati 
«Il piglio dell'epopea sostenuta dal respiro di chi rema senza affanno verso dove gli dissero si dovrebbe trovare la verità. Un fiato regolare, come quello del lettore innamorato da ogni suono.» (Sebastiano Adernò)
«Deliranti, filosofali, mistiche, queste vivissime poesie sembrano in continua espansione per poi condensarsi in perle di saggezza e d’amore. Trovano la loro coerenza in quella irrinunciabile impellenza di esistere, ma direi anche in una scrittura estrosa che alla fine magnetizza.» (Nicola Lorenzetto)
«Ottima trasposizione poetica del tema postmoderno del binomio sogno/realtà, che focalizza il corollario dell’esilio dei ‘veggenti’, di coloro che riescono a vedere al di là del velo, nell’illusione della realtà, in un elogio della folle follia che rende questa raccolta di poesie un ottimo esempio di centralismo dell’onirico.» (Paolo Gambi)


Il glomerulo di sale 
di Gaetano Giuseppe Magro (Catania)


Gaetano Giuseppe Magro è nato a Donnalucata (Scicli) nel 1966. È professore Associato di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania. È autore di 160 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali di patologia, prevalentemente nel campo della diagnostica cito-istopatologica dei tumori della mammella, tiroide, tessuti molli, del colon-retto e dell’età pediatrica. È appassionato di filosofia del linguaggio e di poesia. In campo letterario ha pubblicato tre sillogi poetiche, Fontana delle ore (A&B editrice 2001), Non sbagliò il vento (Libroitaliano 2002), Impermanenza (Il Giornale di Scicli Edizioni 2005) e il romanzo Il mare metafisico di Punta Corvo (Manni Editore 2005). È pubblicato in due antologie della casa editrice LietoColle (Verba Agrestia VII ed. 2009; Rosso tra erotismo e santità, 2010) e in sette antologie della casa editrice Giulio Perrone Editore (2009-2010). È stato selezionato per la pubblicazione di un’antologia della casa editrice Bel-ami Edizioni con una breve silloge di n. 10 poesie dal titolo il verso cancellato. La sua attività quotidiana di diagnostica e di ricerca consiste essenzialmente nell’esaminare, al microscopio ottico, cellule e tessuti benigni o maligni. È inevitabile che questa formazione/deformazione biologico-professionale rappresenti una “finestra privilegiata” da cui osservare la vita e tutti i suoi fenomeni. La poesia diventa così uno strumento di ricerca che utilizza, al posto del microscopio, la parola. E le parole del poeta spesso stanno al posto delle cose: “La parola non sarà mai la realtà della cosa che indica ma soltanto il suo riflesso umano”. E-mail: g.magro@unict.it




Sinapsi

La magrezza delle porte
che attraverso mi fanno cane
e forse per questo ho il destino
di bestia da terra
non senza il paradosso
d’aver avuto un nome.
Io sono io, pur sfiorando
di poter essere stato
qualunque altra cosa possibile
che oggi si divertirebbe
a guardarmi al posto mio.
Nella migliore delle ipotesi
sono una sinapsi di sonno
poggiata su un glomerulo di sale.



Il mestiere di poeta

La masturbazione metafisica davanti
ad un’immensa gonade primitiva di cicogna,
senza cordoni sessuali, arriccia le mie poesie.
Il mestiere di poeta è quello di non dare
alle divinità il tempo di ritirarsi senza aver lasciato
sul foglio, almeno, qualche verità.
Ma poi t’accorgi che l’escremento divino
è ciò che non vogliamo Montaliano
o meglio l’inquietudine dello scarso che scriviamo.


Il peccato

le poesie sono
le mie puttane
che non smetto
d'amare
le pago per farmi
male
per rinnovare il peccato
che a nessun prete
potrò mai confessare


La matita

io vivo
all’ombra delle poche parole
che scrivo
agguanto vento passeggero
e scarico
lampi da notti furfanti.
Ho un millepiedi giocoliere
che m’insapora d’alibi
le labbra scultrici d’amore
come un bambino capriccioso
tempero la matita dentro l’orecchio di Dio.


Il vizio

La poesia ha un vizio, il tuo vizio
di mangiar le unghie ai destini degli amanti
rematori di gran sonno che sforzano la bocca
nella direzione dell’ontologica diserzione.
Spiata è la rosa che ride nel mio giardino
da ieri il suo compagno è un usignolo
che se la spassa al vento e mi guarda
mi coglie impacciato nel vile atto
-ma non può dirlo a nessuno-
giustiziere di gatti nati inutili alla notte.
Arrivano lente, ma arrivano, due albe difettose
seguo la loro piacevole coda di noce dura
mi porta sotto una croce di cigno onesto
senza altari pagani, disattenti ai vizi della morte.
Si festeggia cautamente l’arrivo dell’autunno
un calice d’argento alzato, una mano tiene un ombrello
per ripararsi dalla pioggia e dalle sue arzille streghe.


La mossa

Armadi pieni di trote ovalari e baffute
affetti da disordini endocrini sconosciuti,
le tende signorine rimaste sole a rimirare
il vento scapolo che li ripassa a memoria,
la penna finge, fingendo, l’assenza d’ispirazione,
la vita è caccia erotica alla mossa delle sirene
che si rotolano sulla nullità di coda.
S’impenna, nonostante tutto,
la sofisticata giocoleria carnale
dell’ippopotamo che mi rappresenta,
raddrizzo il verso, sento che arriva
la scocciatura della diastole e non solo.


Le donne dei poeti

Le donne che i poeti amano
sono lunghe statue di sale
creature marine
stanate da paffute calligrafie,
e per sbaglio inseguono
una crociera di cernie motivate.
Le poesie ingannano
perché della lepre hanno
il passo breve sulla neve
ed io che ancora indago sull’ultimo rigo
additando il vento sazio che lo riporti al taccuino.
Prenderò la rincorsa
prima che quel vuoto di donna
si chiuda in osso liscio di cosa:
il mio dolore a rovescio
è quest’afasia di grandine.

Commenti dei giurati

«La carne e il sangue, la mente e il corpo, il pensiero e la vita. Queste poesie riassumono in modo eccellente l’umanità nel suo amplissimo spettro, fino a raggiungerla nella sua più sincera crudezza. Umanissimi vizi, sapori scientifici, e reminiscenze mistiche mostrano come lo strumento poetico è stato usato per raccontare la parabola umana in modo sopraffino.» (Paolo Gambi)
«Di questa raccolta convince soprattutto l'originalità di tutti i testi presentati. Nonostante alcune cadute ("La masturbazione metafisica davanti / ad un'immensa gonade primitiva di cicogna"), la provocatoria  vis comica che anima tutte le poesie convince quasi sempre,   soprattutto negli stravolgimenti del più classico dei temi della tradizione poetica italiana, l'amore, scongiurando così il pericolo di una scrittura scontata e banale. Pericolo di solito ancora maggiore in quelle poesie che parlano della poesia stessa, ma anche qui il poeta se la cava con abilità (penso soprattutto a Il vizio e Le donne dei poeti), per quanto questi siano forse i testi più deboli di tutta la  silloge. Bellissime le poesie dedicate alla madre e al padre.» (Agostino Cornali)
«Uno sguardo disincantato, esperto di vizio e mestiere. La necessità di pensare, perché tutto deve frollare per essere meglio masticato.» (Sebastiano Adernò)


Topografia della solitudine. Diario Newyorkese 
di Sergio Pasquandrea (Perugia)

Nato a San Severo (FG) nel 1975, Sergio Pasquandrea da oltre quindici anni vive a Perugia, dove nel 1999 si è laureato in Lettere con una tesi sull’opera saggistica di Italo Calvino. Dopo aver insegnato nelle scuole medie e nei licei, nel 2007 ha conseguito il dottorato in Linguistica presso l’Università di Pisa. Attualmente lavora come assegnista di ricerca presso il dipartimento di Scienze del linguaggio dell’Università per Stranieri di Perugia. Collabora, come giornalista e critico musicale, con il bimestrale «Jazzit» e con i blog Nazione Indiana e La poesia e lo spirito.


INTROITO

Si entra in una città sconosciuta
come in un vestito nuovo

avvolti in un guscio lucente

si immagina di parlare con il noi
nell’aria senza sfregi

si possono percorrere con lo sguardo distanze
inverosimili.



Non è facile ricordarsi che New York è un'isola.
Dall'aereo, a seconda che si arrivi di notte o di giorno, appare come un tappeto di brace bianca e fredda, oppure come un'incrostazione umana senza soluzione di continuità, su un piano privo di ondulazioni.
Eppure, Manhattan per gli Irochesi era “l'isola delle colline”. (Qualcosa ne rimane. A Central Park, per esempio: tranci di granito che emergono dalla terra obliqui, come pinne di pesci sotterranei).
New York cresce su se stessa, una fungaia, una barriera corallina.



QUELLI CHE ARRIVARONO QUI, PER PRIMI

Attraverso i loro volti si specchiava un cielo
di dimensioni impreviste.
Poteva essere vuoto
o popolarsi di braccia tatuate.

L’unico oro, quello dei tramonti.
Il resto grigio
ispido pelame
infestato dagli occhi e dai tamburi.



PRIMO RISVEGLIO A MANHATTAN

Mi piacerebbe che la morte fosse proprio così
un’espansione
svegliarsi materia sottile

potrei colonizzare spazi finora preclusi
le fughe i margini dell’unghia

o anche i grandi intervalli del mattino
le sincopi della luce
quelle che ti scavano fino al fondo delle orbite.



Le prime due settimane le passai camminando.
C'è un particolare tipo di gioia nell'assecondare le strade rettilinee di Midtown, o nell'osservare il Financial District dopo le cinque del pomeriggio, quando di colpo si trasforma in una tomba di cemento verticale.
Oppure nel tagliare diagonali per Central Park, con i suoi colori già pronti per la pellicola e i suoi scoiattoli dalle code smisurate.
Oppure Brooklyn, dove volti odori accenti mutano senza tregua, di isolato in isolato.
Ogni tanto si apriva una prospettiva di magazzini dismessi, che sfociava su un fondale di grattacieli, minuscoli oltre l'East River vasto come un oceano.



70, WASHINGTON SQUARE SOUTH

Difficile guardare
guardare e basta. Si cercano sempre scampoli
di significato familiare
anche nel catrame unto di fumo salato
o nella luce che rimbalza a ferirti
al primo attraversamento di Madison Avenue. E invece
bisognerebbe che tutto fosse indifferente.

La mente è una trappola.

Lo scoiattolo si affaccia alla finestra
e guarda dall’alto l’incastro dei rumori
la luce gli sfina la coda
e tutta New York è un piano inclinato di intersezioni
e alleanze.
Il giorno finiva sempre all’imbocco della strada
anche se durava ancora al vertice

e il non capire aiutava
si era nudi come nei sogni
che ti tradiscono il respiro tra le costole.
Eri un atlante le membra sparpagliate
nessuno a ostacolarti il circolo
virtuoso dei pensieri
l’impigliarsi trionfante sempre nello stesso
crocicchio la combustione gioiosa.


Commenti dei giurati

«Raccolta che emerge fra tutte per l’equilibrio della struttura formale che regge il testo e per essere un’opera che sa muoversi all'interno di un paesaggio. È sottesa la conoscenza del Novecento e di quello che sta accadendo oggi in Poesia. È una lunga analisi delle inquietudini e dei limiti dell'uomo.  Testo maturo, concreto, capace.  Scarti, attenzione per i particolari, tratti decisi ed altri discorsivi. Testo davvero accattivante.» (Matteo Fantuzzi)
«Di gran lunga, a mio giudizio, la silloge migliore tra tutte quelle presentate. La raccolta convince sotto tutti gli aspetti, a partire dallo splendido titolo. A livello tematico ne ho apprezzato molto la compattezza, essendo tutta incentrata sulla città di New York; a livello strutturale, l'alternanza di frammenti in versi e in prosa non spezza l'unitarietà della raccolta, anzi, rende ancora più mosso, originale e interessante il viaggio nel quale il poeta accompagna il lettore. Il linguaggio utilizzato, se per certi aspetti è vicino alla prosa narrativa anche nei frammenti in versi, costruisce spesso delle immagini splendide, e mai banali. Ma l'elemento più apprezzabile è senza dubbio l'approccio dell'autore alla realtà che descrive: lo sguardo del poeta penetra al di là della patina scontata, turistica o cinematografica, della New York che conosciamo tutti, e arriva ad aprire squarci memorabili e, direi, commoventi, come il brano in prosa che inizia con "A letto, mi cullava la musica dei carburatori..." o la bellissima "Sotto New York". E allora emerge il vero volto della città, quello più oscuro, disperato, che trasmette lo stato d'animo tipico delle metropoli occidentali: la solitudine. E anche noi possiamo contemplarlo grazie alla mappa topografica disegnata da quest'autore.» (Agostino Cornali)




Cose da dire 
di Serena Zugna (Settimo Milanese)

Nata a Trieste nel 1959, Serena Zugna si trasferisce a Milano nel 1966 per motivi di lavoro del padre, mantenendo per decenni con la sua città natale una frequentazione assidua e sempre un sentimento di amore e di nostalgia. Ha iniziato a scrivere poesie all’età di 12 anni ed esse sono state inizialmente il mezzo migliore per riuscire ad esprimere emozioni e sentimenti. Dopo la maturità scientifica ha lavorato per qualche anno come impiegata ma, dopo essersi diplomata come Educatore Professionale alla Scuola per Operatori Sociali di Milano, ha scelto di lavorare come educatrice con persone disabili adulte all’interno di Centri Socio-Educativi e con pazienti psichiatrici presso un Servizio di psichiatria. Da poco ha smesso di lavorare e si dedica alla lettura, alla scrittura ed alla fotografia. Nel corso del tempo, le sue poesie, da sempre chiuse nel cassetto, hanno assunto la valenza di una voce per comunicare con gli altri, e le poesie altrui quella di una voce che desidera farsi ascoltare. Per questo ultimamente ha iniziato a partecipare a reading poetici, sia per ascoltare, che per far sentire la sua voce.



(foto di Luciano Teruzzi)

La casa sulla collina

È rimasta chiusa per tanto tempo
la casa sulla collina
Cieca con quelle imposte serrate
e soffocata dai rovi
stonava sulla collina verde
come un dolore a vent’anni

Ora hanno riaperto le finestre
e danno aria alle stanze


Cose da dire

Le senti arrivare
urgenti
con forza
con dolore
non le puoi fermare
pulsano al ritmo del tuo cuore
Vivo
si agitano nell’animo
cercando le parole per uscire
– ecco…
cose da dire


Quarta età

Spalanco gli occhi
ed ecco il mio presente
ma com’è dolce
riaprire porte ormai dimenticate
e con gli occhi socchiusi
sfidare le leggi del tempo…
Ora
mi raggiungono tutti i volti della mia vita
e le loro voci si sovrappongono
… confuse
Ora
seduta di fronte a questo nulla
tutta insieme la vita ritorna
e i ricordi inciampano
correndo veloci nella mia mente…
perché non c’è più tempo


Dote

Mi hanno regalato delle lenzuola di pizzo
ma io non volevo usarle
per non sciuparle
per farle durare tutta la vita
… e oltre

Mi hanno regalato delle lenzuola di pizzo
e io le ho riempite
di briciole
di marmellata
e di sudore
nelle ore passate a letto
a fare colazione e merenda
ed a farci l’amore
Mi hanno regalato la vita
ed io l’ho usata tanto
da consumarla tutta


La palla da bowling

La palla da bowling è lanciata
e per vincere
deve fare strike
Deve andare diritta e decisa
verso la meta
senza lasciarsi distrarre da nulla
che la faccia deviare dal suo scopo…
e il suo scopo è lì
a un passo dalla morte
senza più tempo per altro

Che bluff la vita…
non c’era nessun birillo!

***


L’anima
intrappolata tra una sveglia ed un file
non gode più
L’anima
quel buco nero
dove per guardarci dentro
devi avere la libertà del vento
e i suoi confini
l’anima oramai
è muta
La realtà gelata
ha interrotto ogni emozione
e non ha lasciato scampo



Uomini

Uomini
ticchettio del tempo
gocce di pioggia lungo una breve finestra
sudore asciugato dal sole…
comunque uomini
frammenti d’infinito



Il mio pezzetto di bello
(a S.C. - paziente psichiatrico)

Conservo il mio pezzetto di Bello
nel mio cuore
lo racchiudo
come in una cassaforte
lo difendo dai venti devastanti
della mia follia
che quando soffiano
travolgono ogni cosa
spazzandola via
Un giorno essi si placheranno
lasciando la desolazione…
io quel giorno lo pianterò in un vaso
… e potrà fiorire


Commenti dei giurati 

«Ho apprezzato in modo particolare l’accenno alla bellezza, quel pezzettino di beltà che va protetta.  Tutti i sentimenti e le emozioni sono rappresentate, ma chiaro è il distacco, la necessità, quando si parla di bellezza, di avere un occhio di riguardo, quasi fosse un momento unico da preservare. Il vero scopo della vita è riconoscere, ricordarsi della bellezza per poterla innalzare, valorizzare ed ampliare. E proteggerla nel nostro cuore.» (Daniela Terrile)
«Lo stile qui fa da maestro e dona a queste poesie una notevole autorevolezza. Uno sguardo lucido alla realtà, senza artificiose soluzioni, senza pretestuose evasioni; oggettivamente la vita, frammenti di Bello che fiorisce. Un vero omaggio ad Alda Merini.» (Nicola Lorenzetto)


Opere segnalate

Gli umili di Massimiliano Bardotti, Castelfiorentino (FI)

La vita imbarazzata in mezzo ai parcheggi
le chiese abbandonate dai fedeli e da Dio.
Le tue opinioni sui venditori ambulanti
le spiagge abusive e i detriti.
Quando la notte libera le mani ai demoni
i bambini piangono.
Notti bianche nelle metropoli occidentali
notti in bianco di genitori affamati.
Sale sulle ferite
derive i lembi della pelle.
In mezzo i fiumi delle collere di ieri
gli istanti trascorsi a coprirsi dal freddo.
E non basta mai.
Sciarpe esistenziali
costumi da esseri umani
il nome di un tizio sulle tue mutande.
Non farlo mai più
non credere a tutto quello che dicono.
Respira di nuovo con il tuo naso
strofina la pelle.
Sei vivo
non ti serve ciò che non hai.
Così domani il sole avrà lo stesso colore di sempre
l’amaro è amaro nella bocca degli stolti
e dei geni.
Le lasagne di tua madre fan resuscitare i morti.
Dio è nelle cose più semplici.
E tu non sarai mai
più vivo di adesso.

***

Siamo donne a pagamento
nei locali a perdifiato.
Coni gelato lasciati a morire
ai bordi delle autostrade
subaffittati come appartamenti
alle periferie di tutti i mondi.
Sinonimi della parodia
contatti umani negli incidenti stradali.
Le nostre facce negli specchietti retrovisori del tempo.
La vita come quando fuori piove.
E pioverà per sempre
sulle nostre marmitte non catalitiche.
Come rianimare i morti nelle fabbriche d’amianto.
Il trapianto dell’anima
fare lifting alle nostre tessere scadute
liposuzione ai nostri ricordi.
È un passato di tenebra la grande promessa
il futuro la misera bugia.
Non si tocca l’adesso
non si ferma il momento
siamo di passaggio
gli intrusi in un miraggio.
E un misero bacio può farti perdere la rotta
nelle partenze e nei ritorni
dal sogno alla realtà.
Così la vita si muove su linee immaginarie
e non accade qui
ma altrove
dove si toccano i sogni
e si realizzano fantasie di neonati.
È un’assenza di cose la più bella del reame.
È l’ultima sigaretta
prima di ricominciare.

***

Una messa finisce nella chiesa deserta
qualcuno prende vita stanotte.
Siamo spie nelle veglie al chiaror delle stelle.
Pagani e cattolici battono i piedi
rivendicano la loro identità.
Indissolubile il legame tra il bene e il male.
Io pratico il malessere
mi educo al disordine
ne sono artefice.
Con mani di neve raccolgo il coraggio
come fosse rabbia.
Non c’è pace qui
la cercherò altrove.
Nelle veglie diurne
nelle fiere delle vanità.
Siamo bambini in attesa di allattamento
siamo poeti di una lingua sconosciuta.
Fumo sigarette al sapor della brina
rinasco.
Aspetto il tocco delicato dello sciamano
il futuro nelle linee di una mano.
Scorre la lingua sul corpo arreso del silenzio.
Siamo tutti preti
siamo profeti.
Le nostre voci si innalzano in un canto post-rock.
Mi abbracciano tutti i martiri dell’apocalisse.
Tutta questa morte
è la mia vita.
La paura che mi governa
mi domina.
Gli attacchi di panico
morirò di crepacuore
mentre recito la vita.
Scrivo in nero queste parole neutre.
Le labbra di tutte le donne
i piedi in marcia verso la terra promessa.
Il domani è il nostro ricatto
quando arriverà saremo astemi.
Calici di plexiglas sbattono fra sé
senza fare rumore.
Così fanno le voci del riscatto.
Gridano la loro vendetta
e nessuno le ascolta.

(…)

Commenti
«Un ritmo serrato, indice di una patologia: idiosincrasia, avversione a quella situazione metropolitana in cui gli umili, col sudore, forniscono la giusta dose di lubrificante al meccanismo capitalistico.» (Sebastiano Adernò)
«La silloge rivela un buon mestiere.» (Matteo Fantuzzi)



Ho scelto di Gloria Gaetano, Castelvolturno (CE) 

HO SCELTO

Guardai stelle
irrigate dai fiumi, da rugiade impreviste
e scelsi un amore.
Da allora dormo sonni notturni.
Tra le onde, un'onda
altre onde,
mare freddo, foglie e gelo verdi,
scelsi quell'onda unica
l'onda trasparente del tuo corpo.

E allora le gocce, le luci,
le radici della terra
vennero a guardarmi
giorno e notte.

Volli sfiorare i tuoi capelli,
scelsi il tuo cuore ardente
tra tutti i frutti della terra.

Io ho scelto solo un'onda
solo un canto che sa di lontano.


CAREZZA LUNGA

Carezza lunga,
mare alle sabbie;
rombi iridati,
spume fra gli scogli.
E il volo stridulo
del gabbiano, la pace
dei pomeriggi nella
brezza,
lieve
alitata dal largo.
Sognano le rupi,
immobili ombre,
misteriosi sciacqueggi
dalle grotte a fior d'acqua
vigilate
da stillii lucidi, screziati
alambicchi, reti
d'irreali bellezze, tremole.
Nel sogno la tua visione,
limpida più dell'acqua
limpidazzurra translucida,
nell'onde verdeazzurre di Amalfi.


NON HO PAURA

Per me sei conforto
consolazione rifugio.
Tu mi sei caro
perché tempesta e vento
dell'anima.
Tempesta e non quiete,
tu, fuoco, gelo,
tagli come una spada
il mio petto.
Sei quanto di meglio
ho in me.
Notte d'estate senza fiato,
nessun cielo scava
così in profondità,
nessun lago, quando la nebbia
dirada, illumina come te.
Serenità risplende di immensa calma,
come in questo momento,
quando i limiti della solitudine
si annullano
e gli occhi si fanno tersi,
le voci cantano come vento.

Niente si deve celare.
Non ho paura
so che non ti perderò mai,
custodito come sei
nell'angolo più segreto di me.
Tu quiete, tu tempesta,
tu canto, tu ferita.

Non ho paura.

(…)

Commento
«Delicato articolarsi di versi poetici immersi in ciò che ci circonda, in una natura che rende il punto di vista dell’autore un gentile sguardo sulla realtà. Compare però, in questo contesto genuino e semplice, un “tu” che illumina la realtà strappandola dall’anonimato, e facendo di queste poesie un gradevole tuffo nella migliore delle visioni, che è quella filtrata dai sapori fanciulleschi.» (Paolo Gambi)


Quarto di luna di Ernesta Galgano, Genova

QUARTO DI LUNA

Nel cielo equatoriale
il quarto di luna
è una culla d'argento.
Ricordo l'emozione
di vederla penzolare
pel velluto del cielo.
Il raggio di una stella
potrebbe sollevarmi e
depositarmi con garbo,
il brivido della notte
potrebbe cullarmi.
Non mi volterei verso la terra.
Muoverei la mano
per accarezzare
altre luci splendenti.
Sentirei il suono dell'Universo.
Il mio sorriso meravigliato
sarebbe di gioia e
rorse di preghiera.
Se dovessi piangere
di commozione
lascerei lacrime- diamanti
come ringraziamento.


IL CIRCO DEL MONDO

Sono diventata un' equilibrista:
cammino sul filo
nel Circo del mondo.
Mi ha allenata la Sensibilità,
maestra precisa ed attenta.
Mi ha detto: ti aiuterà
il Sentimento vero,
tienilo con dolcezza tra le mani
e spostati sicura.
Non chiederti se verranno
o no gli applausi,
spingi avanti il cuore
e seguilo, non cadrai.
Attenta, ad un certo punto,
potresti anche saltare,
addirittura ballare sul filo,
nel Circo del mondo.


TERRA

Il colore del sole,
la carezza del vento,
il profumo del mare
sono per tutti:
anche per chi non ha fede,
per chi non ha amore,
non ha pane, né casa.
Mentre cammino sola
in questa luminosa
domenica d'inverno
mi sento parte del tutto.
Domani pioverà
e l'acqua bagnerà
le pelli bianche e quelle nere:
che io lavata possa sentirmi
madre e sorella.
Il dolore dà ad ogni popolo
medesime lacrime amare
e dalle ferite gocciola
sangue dello stesso colore.
Piccolo pallone rotante,
rabberciato da tante frontiere,
terra, non essere troppo superba:
ricordati che non sei niente
senza il Sole.


PORTO

Il porto è un luogo che
ogni barca desidera e cerca.
Il porto è da sempre
in attesa di navi,
prima delle infrastrutture
esisteva da tempo un'insenatura
a forma di abbraccio.
Le navi non conoscono
le città vicine,
ma si cullano beate
nella certezza di un riparo.
Mi sono sempre sentita
una barca libera nell' onda.
a sperare nell' alba,
a scaldarmi nel sole,
a rincorrere i colori
infuocati dei tramonti,
controluce, per lavare
le mani e gli occhi
delle lacrime e delle spine
e asciugarmi nel vento
e non essere vista da riva.
Così ho veleggiato la vita,
senza fermarmi a nessun approdo
Chissà cosa cercavo,
forse il traino di una nave fantastica
con tutte le vele rigonfie di sogni.
Adesso per gli anni
un poco più saggia,
con i segni del sole
sulla pelle riarsa,
vorrei piuttosto essere un porto
e sapere dare aiuto a chi
viene per cercare
un riparo di pace.


PERLE

Sono nate
da un piccolo insulto,
comunque un dolore.
Sono diventate
perle bellissime.
Le più preziose
illuminano soltanto
il guscio dell' ostrica,
troppo profonde
per essere pescate.
Le conosce bene
unica l'acqua
che le lava
e le accarezza:
somiglia nel gusto
alle lacrime.
Ma la certezza
di questa ricchezza
fa fremere di gioia
tutto il mare.


Commenti
«Poesia di emozioni, scritta di getto, figurativa, dove gli elementi della terra, il mare, il sole, le onde, la sabbia giocano un ruolo fondamentale nel quale lo scrittore/trice si identifica per poter esprimere le proprie sensazioni. Una velata tristezza quasi chi pensa e scrive fosse stanco di vivere e continuasse aiuto per continuare il proprio viaggio.» (Daniela Terrile)


Ricominciare a cominciare di Enrica Musio, Santarcangelo (RN)


Ogni giorno,
provo a recitare
la mia morte
ma c’ è sempre un
gran bel finale
la vita.


Una passante

Una via stordiva urlava,
a lutto tutto sontuoso
a grande dolore
passa una donna
mostrare lo smerlo
nobile
io con il viso contratto degli
stravaganti
non ti rivedrò
nell’eternità
contavo
tardi
forse
guardo
dove io fuggivo
e dove
io poi vada.



LADRI DI PAROLE

Ladri di parole,
sono i poeti
colgono così
verso una strada facendo
passati
in una via
accade con le parole
e il poeta
ne coglie
ancora una bella
magia.


MENDICANTE

Raccatto briciole di amicizia
cadute da tavoli
per altri ricche
ed imbandite.


GUIDATA DA UN CIECO

Puntini di sospensione:
punti fermi quasi mai
una serie
infinita
di polisindeti.



SINTASSI DELLA MIA VITA

Non più una donna sbagliata,
ma avere sbagliato
questo mio sconosciuto
ausiliare
cambia solo un tempo troppo a me composto
errando
come mai a negarlo
non sono errata
potenza del gerundio
e nella fissità di un
participio.



DOMANDA INNOPPORTUNA

Scrivi poesie? ,
mi chiede la gente senza tanto pudore
io abbassando lo sguardo
con gli occhiali
ho risposto di sì!,
ma non è una cosa di cui vantarmi
è un mio gorgoglìo interiore
che emerge quando meno lo
cerco
un lampo di luce
una mia nuova creazione
un atto umile.


Commento
«Poesia di speranza, vissuta amata e forse sperata, ma sempre in crescita, per poter dare conforto, una poesia di terra, viva sprizzante.  Il sogno è presente ma utilizzato sempre come momento creativo della vita, dove l’uomo è al suo centro, cosciente, unico attore del suo fare. I gesti, la vita, le sofferenze, tutto fa parte dell’universo ed è vissuto senza paura, ma come esperienza necessaria.» (Daniela Terrile)


Stagioni di Teresa Mariniello, Milano 

Fammi cava
che mi suoni l’aria,
e battendo tra le costole
lasci un po’ di pulviscolo
del colore delle stagioni.
Il filo tenue
che tiene l’eco delle cose
il pallido mistero
custodito nel fossile.

***

È arrivata la stagione delle piogge.
Dalla finestra
spio il rosso sfinito dell’albero
il tremare delle foglie
verso la terra scura;
nelle vene ricordano ancora
la grazia
la fatica della fioritura.
Si addormentano ora
come piccoli fuochi nella corteccia chiusa.


***

Stamani l’alba è rimasta impigliata
tra un ramo secco dell’albero
e l’angolo della finestra illuminata.
La pioggia di tanti giorni
l’ ha schiacciata sulla terra
annegata nei fiumi straripati,
guastata nel cuore melograno
distilla lente gocce
di rubino spietato.



Natale

I colori sono impazziti
mentre divoro la strada col passo infuocato.
I verdi e gli ori ammiccano sfacciati
senza memoria o rimpianti.
Sperduti
nel nastro ricercato.

Ho sulle labbra una nuca rovesciata
un’offerta tiepida.
È come un animale gentile
oppure un’acqua sotterranea
che sa portare lamine d’oro sospese
e rossi immacolati.

***

Hai dimenticato le tracce di lupo.
Il bianco affondato
appena opaco sul fondo,
sui bordi fluorescente,
macchiato da una luna pallida
per tanto silenzio.
Ne hai fatto schermo neutro
con pochi segni.

Quasi un muro d’ospedale
o di cella monacale.
Dove l’ospite di turno
continua il tuo tratto
e ne fa affresco smisurato
del proprio desiderio
e della tua incapacità.

***

Non la parola
ma la grana della voce parla.
Porta colori.

Hanno raccontato ogni cosa
i tuoi verdi sfumati
sfociati in gialli acidi.
Mi sbarrano il passo al banchetto mondano.
Giusto. Ogni tempio ha la sua vestale.
Oggi i tuoi verdi planati
ne hanno descritto il drappo,
piega su piega.
Il tuo sudario.


Commento
«Nonostante i temi e le immagini presenti in questi testi non siano originali come quelli delle raccolte Il glomerulo di sale e Topografia della solitudine, questa silloge ha grazia la levità di linguaggio e colpisce per un  elemento centrale di tutta la raccolta: i colori. Mi sono piaciuti gli squarci descrittivi dei vari paesaggi, e  mi hanno intrigato i frequenti riferimenti alle "antenate" e alla "razza" dell'autore – in non schiarirti notte d'inchiostro…, rosa del mio  cuore e stella del mattino)  – che ho interpretato come un'interessante ansia di ricerca delle proprie radici "dentro" il  paesaggio.» (Agostino Cornali)

1 commento:

La Tela Sonora ha detto...

grazie a tutti voi
e' stata una splendida avventura che grazie al lavoro profondo e quasi invisibile di AR é stato possibile e si é concretizzato

a presto