sabato 5 marzo 2011

Mario Fresa. Ritratti di poesia (5)



Marco Furia


Il timbro delle partiture poetiche di Marco Furia è sempre volutamente levigato, «remoto» e rarefatto, nel segno di un’assoluta purezza oggettiva che desidera interdire qualsiasi eventuale coinvolgimento psicologico o personale. La lingua agisce, perciò, come un profondo e «involontario» teatro di risonanze, mosso da una sorta di archetipico automatismo mentale (e, dunque, verbale): essa tende alla registrazione e alla proiezione dell’estremo riverbero degli eventi dell’esistenza affidandosi completamente al mondo delle immagini, che appaiono ridisegnate e riplasmate per il tramite di uno specchio policromo, costantemente pregno di sibilline sembianze, di interne deviazioni e di ambigue risoluzioni. La «descrizione» degli avvenimenti è frammentaria, intuitiva e sfuggente, perché mai generata da un unico centro ordinatore, ma inquietamente fondata su di una galleria di liquide visioni sempre in via di costruzione o di definizione. Lo scorrere obliquo ed elusivo delle apparizioni, allora, si muove sul sentiero di una magica e circolare metamorfosi che inquadra gli scenari delle forme di vita come fossero accecanti esplosioni, colme di enigmi e di mancate risposte. Lo stesso ritmo apparentemente piano, disteso e orizzontale dei versi pare sospeso sul filo di uno straniato ipnotismo sensoriale: eppure, il calmo e dilatato stupore che lo attraversa con meditata insistenza è, spesso, prossimo a incrinarsi e addirittura a infrangersi, là dove affiorano alcuni imprevedibili deragliamenti semantici – ossimori, sinestesie - dotati di una forza quasi autonoma, capace di scardinare e di rielaborare il linguaggio nella direzione di una prospettiva rinnovata e inaspettata. Così, il gioco labirintico della poesia di Marco Furia, pur immerso in una esatta, luminosa, geometrica misura, si rivela, comunque, pronto alla sorpresa e allo stravolgimento, riuscendo a far emergere, d’improvviso, percezioni incalcolate e misteriose, sempre sospinte da un’anarchica e dissonante trasversalità.


Impalpabile incanto

(inedito)



Impalpabile incanto

insonne trama

tenui, muti riflessi

su marina

quieta, immensa distesa

musicali

notturni, zitti tratti

nullo suono

sinfonico rimando

sì leggiadro

arpeggio, pentagramma

sobrio, schivo

cromatico silenzio

impronta lieve

riverbero, barbagli

danze d’echi

lustri accordi, armonia

tacita frase

pur acustica foggia

fluida luce

fulgida meraviglia

(da canzone

già sedotte pupille)

sciolte gioie

acquei, argentei monili

sopra buia

oceanica calma

luminoso

incresparsi, cadenza

non caduca.



Marco Furia è nato a Genova nel 1952. Già collaboratore di Adriano Spatola, ha pubblicato: Effemeride (1984), Mappaluna (1985), Arrivano i nostri (in «Fermenti letterari», 1988), Efelidi (1989), Bouquet (1992), Minime topografie (1997), Forma di vita (1998), Menzioni (2002), Impressi stili (2005), Pentagrammi, con sette grafiche-collages di Bruno Conte (2009). Silente meraviglia, plaquette con pensiero visivo di Bruno Conte è stata pubblicata all'inizio del 2009. Sue poesie sono apparse su riviste e antologie italiane e straniere. Svolge intensa attività critica. Ha partecipato a numerose manifestazioni con lettura di propri versi, per alcuni dei quali sono state composte partiture da Francesco Bellomi e Roberto Gianotti. Sue poesie visive eseguite al computer sono comparse sui siti www.tellusfolio.it e www.anteremedizioni.it , altre sono state inserite in rassegne internazionali. È redattore di «Anterem».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tante pause/silenzi in queste misure/battute di un'unica partitura, ho pensato a Erik Satie e alla "stranezza" di una poesia che affascina e che non ha una fine, pronta a ripartire chissà dove, chissà quando, chissà perchè. Ottima e precisa la prefazione di Fresa.