recensione di Vincenzo D’Alessio
Venti sonetti, un’unica voce solista: pacata, sobria, inalterata. Voce di un poeta in cerca della congiunzione logica tra mondo reale e mondo poetico. Un percorso affidato alla musicalità del verso, in un momento molto particolare dell’esistenza propria, che diviene mimesi per l’intera umanità.
Scrive Francesco Prudenzano, nella sua Arte Poetica (Editore G. Rondinella, Napoli, 1865) a pag. 133: ”Il sonetto, come afferma il Redi, fu trovato dagli Italiani. In principio la voce “suono” valeva per il suono insieme ed il canto. (…) Il sonetto, per essere bello, deve avere, come elementi indispensabili, chiarezza, elegante vivacità di espressione, ed unità di pensiero. (…) Il sonetto dunque è un componimento costruito di quattordici versi endecasillabi, distribuiti in quattro parti, cioè in due quartine, e in due terzetti. Le quartine saran tra loro legate dalle rime; e nella stessa guisa saranno i terzetti.”
I venti sonetti, scritti da Massimo Sannelli nel 2004 e riscritti nel 2010, assolvono pienamente al compito di musicalità dell’esistenza, quale concetto primario di bene per sé e per l’Umanità intera: (…) Opporsi ad una storia / stabilita non giova: vale il rosa / del colore che completa la gloria / serale; e una ricerca ora si posa / qui, qui e ora, e ne resta memoria” (sonetto I). Forte è il pensiero kantiano della volontà che si instaura in ogni uomo grazie alla Natura e al suo fluire: “Dunque, la massima che posso volere sia seguita da tutti coloro che agiscono, sarebbe il vero principio morale. Il mio poter volere è il cardine sul quale gira la massima impartita” (Schopenauer, Il fondamento della morale, BUL, 1991).
L’enjambement rafforza la capacità del verso di fluire nella mente del lettore che segue, il corso del fiume poetico, con la dolcezza della sua canzone: “(…) il bel suolo / ed una lingua che la vita usa” (sonetto I). La ricerca costante, nel Nostro, di donare alla Poesia il ruolo perfetto di incontro con la veridicità della “parola” che la consacra a bene unico e supremo per gli uomini dei tempi: “(…) In chi parla è sicura, / sicurissima, forza; ecco: è fatta / un’azione di pochi contro molti, / ma è incruenta, e piace. C’è una pura / e semplice obbedienza all’italiano, / dove in realtà noi sogniamo l’amore / perfetto. / E oggi la lingua naturale / diventa altro: né inutile né arida, / né fredda / Quello che era non amato, / perché è storia morta, non è più tale” (sonetto 15).
La strada della ricerca poetica è lunga e perigliosa. L’uso del pronome dimostrativo è ricorrente, come nei Maestri del secolo appena trascorso. La litote segna il desiderio di raggiungere la desiderata mèta del “costruttore” di versi: congiungere antico e nuovo in una sincrona identità atemporale. La Fede, in questi sonetti, assurge a verità che si rivela nell’atto semplice/ umano del donare: “(…) Tra poco l’aria informe / entra nel luogo del lavoro; è enorme / lo sforzo della veglia e corrisponde / al servizio di clinica, portato / fino all’alba. QUESTA è la volontà / di dire e QUESTA felice pietà / si vede: l’opera è senza potere, / non aggredisce più, non vuole avere / intelligenza e amici. Tutto è tolto” (sonetto 10).
Venti sonetti, scritti da Sannelli, per venti momenti magmatici: ”L’oggetto disciplinato è coerente / con la ricerca avviata, prima”. Il senso vero della scrittura poetica che combacia e si alterna alla prosa. Il senso lirico che pervade l’intera raccolta assume la sembianza di una bianca ala scesa a mitigare la vulnerabilità dell’esistente: “(…) Per occupare spazio, non c’è cosa / meglio del seme, e cresce tra le antenne / e i fili storti: è il modo liberato”(sonetto 12).
Il sonetto compie, in questa stupenda raccolta, la sua parte musicale, trasportando il lettore in una congiunzione ritmica tra “età ed età” (sonetto 20), dove la parte più alta è riservata agli affetti, a quel “sabato” leopardianamente inteso: “(…) Ecco l’infanzia, / che parla: ecco l’infanzia, già distrutta / per rabbia. L’età nuova: chi non ama / desiderare non ama” (sonetto 20); la litote, segna il ritmo all’interno delle quartine, e ne anima i significanti.
La poetica di Massimo Sannelli è in continua costruzione. La forza generatrice della parola genera memoria. Memoria del sublime, dell’incantesimo irraggiungibile; dell’andare alla ricerca di una maternità, Natura,che colori l’esistere: “(…) Questa forza era, / ed è, nel mondo vero. Ancora adesso / questa storia materna è già presente, / è vera e una realtà si unisce al sogno / e lo distrugge. È il più grande bisogno / dei perduti e dei cari del presente”(sonetto 2).
Montoro, marzo, 2011
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