giovedì 24 giugno 2010

Su Colibrì di Anna Maria Tamburini

recensione di Narda Fattori

io lei e la romagnaIl primo volume di poesie della Tamburini è un canto all’armonia e alla bellezza delle creature, sempre in sommovimento, sempre nel suo farsi fragile, sempre col rischio del suo disfarsi. Chiama alla sua visione le piccole e le minuscole cose e creature che coglie nell’immersione della luce, prima che l’ombra le risucchi nel suo spregio di energia, nel suo sfregio di bellezza. Le coglie prima, appunto, e le deposita sulla pagina. Così i delfini capriolano al largo, osano cavalcare l’onda e accordarsi alla musica del cosmo mentre l’uomo si dis-spera, si dis-piace nel frastuono.
Le creature marine che la poetessa chiama a testimoniare la bellezza e l’intreccio fecondo dell’amore può, deve?, additare l’amore alla madre, al bimbo dove l’innocenza si sgrana negli occhi e si riflette nel cielo. Ma ci sono le altre creature (il fiore, la libellula, l’orso…) di poca considerazione a essere poste sotto un grandangolo e a parlare dell’immensità dell’universo, dei micron che siamo e insieme immensi, e che a noi pongono solo domande: “qual è la misura del tempo, rispetto a quale parametro, in vista di quale scopo?” Ma ancora, per dire come il semplice nutra il complesso, chi è “Carne all’incrocio delle acque”: Dio, uomo o creatura?
Ma tutta la breve silloge si muove in canti paralleli di estremo rigore musicale e di tenue contenuto che pure rimanda all’eterno; e, dunque non è difficile riconoscere il sussurro di sottofondo della Dickinson, sovrastato da una voce ferma ma non contrastante, bensì accordata su quel ritmo, sulla stessa visione, su un insaziato dire del mondo dietro casa.
Le poesie di Anna si tengono in un rosario che non cede, di pari tensione e voce, canto vivo e sommesso, che dal basso sempre si eleva a significante alto.
Dentro una teofania delle minimalia, traluce in sottofondo Teilhard de Chardin nella sua concezione evolutiva dell'amore a cui è pervenuto: considerando che esso non sia un fenomeno limitato solo all'umanità, bensì sia presente nel momento stesso in cui si scende verso le radici dell’ “albero della vita", Teilhard esprime la convinzione che ciò che noi chiamiamo amore esiste addirittura a livello delle semplici molecole e che è proprio quello stesso amore che si manifesta al livello umanizzato nelle nostre vite perciò se l'amore non fosse presente già nelle forme più semplici o meno evolute dell'universo, non potrebbe manifestarsi come forza universale nemmeno ai suoi livelli più alti e più complessi. E là nel “centro dei centri” si situa il Cristo che chiama tutto e tutti a sé e che è anche la fine del mondo, nei secoli tanto paventata e invece cantata da Giovanni nell'Apocalisse.
La poesia della Tamburini coglie lo spirito di ciò che muove realmente la natura, coglie l’interiorità all’interno delle cose che l’amore fa tutte convergere al punto “omega”, finale e iniziale perché non si dà fine senza inizio.
Allora il colibrì, il più minuscolo degli uccelli, muta in rappresentazione dell’amore divino e della sua disseminazione su tutto e tutti: “quanto misura un giorno? /e la misura a chi, a cosa? / Cosa importa lo scarto della vita – / le percentuali di riuscita – / alla matematica / dei cicli misteriosi/ che la vita feconda?”
All’uomo non resta che prendere atto e attualizzare la grandezza e la magnificenza e “bene / dire /ogni amore”, prendere atto che è carne, fragilità, pochezza, ma è anche senziente, vedente e visionario, in grado di pensare all’infinitezza del Cielo e di ritrovarsi e riconoscersi creatura nell’infinitamente piccolo e meraviglioso così come nell’infinitamente caro.
La creazione è abitata da un numero incommensurabile di creature ed eventi che all’uomo è concesso apprezzare, impossibile capire il tutto: la nescienza è il riconoscimento dell’umiltà dell’uomo di fronte alla creazione divina.
Molto e tanto di potrebbe aggiungere ad questa silloge di poesie fortemente coese dal convincimento interno, dal filo che tutto le attraversa, ma anche dalla maestria del ritmo, dalla commistione naturale di un lessico ora basso ora alto, e il contrappunto, quasi un dialogo con esse o con un riferimento culturale o circostanziale, che accompagna molte poesie.
Raccolta tutt’altro che improvvisata, direi colma di maestria e di una grande tensione poetica tiene sempre alto l’oltranza della vista della poetessa.

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