domenica 11 aprile 2010

Su Sequenza di dolore di Rosa Elisa Giangoia

recensione di Nino Di Paolo


Le trentanove poesie che Rosa Elisa Giangoia mette in sequenza  – termine scelto proprio per titolare il libro – in questo poema della lacerazione sono figlie di un distacco al tempo stesso fulmineo, nell’annuncio, e lungo, nella cosciente ed impronunciabile attesa del “momento”.

Ho chiesto a Rosa Elisa, durante l’incontro letterario di Faenza dello scorso 13 marzo e dunque prima di scrivere queste righe, se potevo permettermi di commentare la sua opera, sapendo che ogni richiamo a ciò da lei espresso le avrebbe fatto anche un po’ male.

Sequenza di dolore è un atto d’amore all’amato perduto ed anche un regalo prezioso a chi legge, quindi un atto d’amore verso tutti quelli che leggeranno.
Un atto d’amore non scontato perché il rendere pubblico il proprio cammino di dolore non è semplice, in quanto sempre può insinuarsi il dubbio d’esser  “compatiti”, nell’accezione meno nobile della parola.

Il dubbio, invece, che si insinua nel lettore è tra l’opportunità di tenersi dentro sentimenti e commenti, anche estetici, che il poema di Rosa Elisa suscita e la voglia di esclamare esplicitamente “che bel lavoro”, voglia che fa subito, però, dire : “che bello se non avessi mai dovuto leggere questo bel lavoro” .
Il rispetto e la condivisione della sofferenza interiore farebbero protendere al silenzio, la perfezione dell’opera al suo contrario.

Rosa Elisa tocca diversi aspetti di un dolore annunciato e poi compiuto e poi compagno di viaggio di ogni presente: quello delle parole impronunciabili, quello degli sguardi che parlano, quello degli sguardi-non sguardi, quello dei pensieri inespressi, quello della solitudine da tutti gli affetti.

Nelle sue poesie, rivolgendosi alla persona amata, utilizza l’imperfetto, il tempo verbale che usano i bambini per raccontare storie fuori del tempo.
Accompagna atti di fede (la convinzione della resurrezione della carne) , proprie di un Alighieri, con la percezione di una Natura crudele, beffarda e disinteressata, proprie di un Leopardi o di un Pascoli.

Come in ogni lavoro poetico non si possono non sottolineare versi e passaggi che elevano la qualità di un testo, peraltro, del tutto armonico nelle sue parti e nella costruzione complessiva.

Da segnalare la prima poesia (pag. 17) , quella di un incontro tra persone non giovani:


Forse tante volte ci eravamo incontrati,
come stranieri per le strade,
finché figli della fortuna ignari,
siamo entrati dalla porta della gioia
nella casa diventata nostra…


E quella sul funerale, della lucida osservazione della realtà, partorita da una sofferenza che fa cadere ogni velo alle convenzioni comportamentali (pag. 41):

Come se morto fosse un aggettivo qualsiasi.

E quella della scoperta solitudine (pag. 53):


… li ho dovuti accompagnare proprio tutti,
mia mamma e mio papà,
mia zia e mia suocera,
mio marito.
E non mi resta
che immaginare qualcuno
che accompagnerà me.

Un grande ringraziamento a Rosa Elisa per la sua decisione di affrontare la sfida di comunicare il “suo” dolore ed un grande ringraziamento per la cristallina bellezza di quest’opera.


Domenica di Pasqua 2010

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