di Fabio Orrico
ScrittIneditigiovedì, 8 aprile 2010 | Di Fabio | Sezione: Profili
L’esordio in poesia di Francesca Mannocchi, La tirannia dell’intimità, pubblicato dal riminese Fara Editore, è un bell’oggetto editoriale. Raccolta di poesie dal taglio fortemente poematico, corredate da scatti fotografici dovuti a Veronica Re, La tirannia è un’opera labirintica, e ogni testo potrebbe essere interpretato come una porta che, su questo labirinto, si apre o tenta di aprirsi. Le fotografie sono lì accanto, aiutano a caricare di senso le parole, giocano una qualche partita con la parte letteraria ma non so se la integrano o la completano. Mi ripeto e dico che quelle immagini svolgono il ruolo di ponti di senso per arrivare all’ultimo verso, e farlo esplodere. A me sembra che la poesia della Mannocchi viva di un’intelligenza molto carnale, molto esteriore. È una poesia di incontri e occasioni. Ci sono quadri (inquadrature?) violentemente sbalzati e c’è la tentazione narrativa di raccontare una storia, forse una storia anche molto banale, insomma il contrario di quella fetta di torta in cui Hitchcock diceva di riconoscere il senso dell’affabulazione, del cinema, e di cui giustamente sopravvive il contorno dovuto al rincorrersi della passione e del desiderio. Forse è banale parlare di cinema affrontando la tirannia ma 1) sono un cinefilo impenitente da almeno 30 anni e 2) l’autrice è laureata in storia del cinema quindi non mi stupisco e resto pure ammirato quando in La sospensione dell’incredulità (penso a Johnny Depp-Ed Wood che, stizzito chiede ai suoi finanziatori dubbiosi del suo talento: “avete presente il concetto di sospensione dell’incredulità?” fine della madeleine masturbatoria) Francesca dice di pensare al suo uomo come a un tuffo nella senna (“era tranquillo… nuotava lentamente con Catherine e le teneva la mano…” e chi frequenta il cinema che conta sa di cosa parlo) e poi poesie che si chiamano Million dollar baby oppure Un chien andalou e via e via…
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