venerdì 11 settembre 2009

Riccardo Burgazzi in Legenda


recensione di Vincenzo D'Alessio

scheda de libro qui


Quanti anni hanno le pietre di Stonehenge? Quanto tempo racchiude il Cerchio di pietre di Riccardo Burgazzi? Al primo sorso di lettura l’intera silloge del Nostro sembra richiamare alla mente la poesia tanatologica di Salvatore Quasimodo: c’è proprio a pagina 288 la citazione del verso “ed è subito sera”, anche se preceduto dalla negazione. Quasi l’esercizio di una litòte che attenua il suo enunciato negando il contrario di esso: “Dopo il corteo, ognuno resta solo / davanti alla sua foglia”. L’analogia è il viaggio nella metropolitana (il Nostos che l’autore inizia e non conclude), con la “folla di piedi”, e le forze esterne del barbone e della custodia del sax aperta per raccogliere le monete/offerta: similitudine della moneta posta in bocca ai defunti, nel rito antico, per pagarsi il transito nella terra dei morti.
Le poesie, del Cerchio di Burgazzi odorano di Novecento: da Montale de La casa dei doganieri, riscontrabile nella poesia Rocca sul mare e riconoscibile ancora nella poesia Caleidoscopio con il richiamo alla poesia Cigola la carrucola del pozzo, Quasimodo e Luzi del dialogo con la Natura della raccolta Dal fondo delle campagne. Ritrovo nei versi del Nostro la forza diversa del dialogo interiore: “Spronati da una volontà sorda / la corsa di un fiume ogni giorno, / verso un fine che non è chiaro; non /” (pag. 290) l’interrogarsi e perdersi e ritrovarsi con l’ironia profonda del mistero dell’esistenza e di quella difficilissima parola da pronunciare – “eterno” – che nella stessa poesia Fumo negli occhi sviscera lo stato d’animo (Stimmung) del poeta. Bella è anche la ripresa del dialetto con il verso “Ricu, va pian che te scarlighet.” nella stessa composizione.
Bene ha scritto Francesco Accattoli nella motivazione del premio: “è il senso pittorico a rendere vivo il continuo richiamo al mondo esterno, situazione ineluttabile affinché emergano – come da un silenzio indifeso – le ragioni del poeta” (pag. 302). Quell’aggettivo “indifeso” sommuove tutta la materia del racconto poetico perché “l’armonia nascosta del mondo” (pag. 286) ha accompagnato i poeti e gli scrittori che anelano a donare “ciò che manca” all’Umanità. Spasmi di solitudine necessaria per aprire la strada profumata dai limoni e dagli alberi dai nomi strani. Sono convinto che la scrittura poetica è anche gioco, ironia, inganno della realtà (Morena Fanti). Ma la ricerca nel Libro, la costante perdita dell’energia vitale intorno a noi fino alla perdita della nostra,fa del cerchio una trappola perfetta e una difesa impropria equidistante da ogni punto: “l’indice che può, ha voluto / l’universo tra le mani di un cieco” (pag. 279).
La poesia tra i giovani cresce, come cresce la solitudine e la corsa verso la subitanea ricchezza, popolarità, potere. Essa è pietra senza tempo, pietra del tempo, disposta lungo il percorso segreto di ogni essere umano, cerchio imperfetto incipit e “fondo amaro” (pag. 286): “il tempo invidia chi / trova luce nel vuoto”(pag. 297). Sono convinto che Burgazzi troverà la sua sera serena. A lui si addicono le parole senza tempo dell’umano Terenzio: Homo sum et humani nihil a me alienum puto.

Settembre, 2009



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