Il tempo è probabilmente la coordinata più importante nello svolgersi, letterario ma anche psichico ed emozionale, della poesia di Germana Duca Ruggeri. Già il volume precedente, intitolato rilkianamente Ex ore, percorreva la rete intricata di relazioni tra parole e tempo, tra corpo ed emozioni (due fondamenti che al correre del tempo sono intimamente legati), nel farsi di una silloge densa, ricca di contenuti orientati ma sfaccettati, aperta all’intimità (delle situazioni, ma anche del dialetto che esprime sensazioni tanto pregnanti quanto geograficamente limitate) come alla vastità dei luoghi simbolici (la natura, la città) e dei fenomeni e delle emozioni universali (la luce, la maternità…), al quotidiano come alle grandi domande filosofiche (fatalmente, se autentiche, intrecciate al quotidiano stesso).
Con uno sguardo notturno, a tratti sapienziale, la poetessa scova minime apocalissi nelle pieghe di un gesto consueto, e al tempo stesso la pur affascinante piccolezza dell’uomo nella sua stupefazione di un attimo. La prima quartina di questa nuova raccolta già dice la coesistenza di macroscopico e microscopico, in efficace e continua sinergia: «Era fresco il suo corpo quando lo avvolgeva la luce / del lago. Sulla sponda a schiena nuda lei scriveva / sull’acqua meditando che era lì tutto il suo mondo / poi tesseva favolosi paesi assetata di cose lontane»; insomma una gioia piccola, un desiderio insaziabile, un volo e una stasi… in un verso: «un gioco o una dolce vergogna».
Non ci si faccia però l’idea di una poetessa idilliaca, seppur raffinata: il terzo testo del volume è già un’invettiva contro la guerra (significativamente vista come assenza di memoria del passato), e le evocazioni dell’amata Urbino non sono paesaggistiche ma capaci di attivare memorie di viaggi e desideri di condivisione.
D’altra parte, ci sono alcune salutari dichiarazioni di concretezza, persino di pragmatismo: «La poesia non è una pianta esotica / non cresce sulle nuvole ha radici / sulla terra calpestata nell’infanzia / e su quella passata a guado / nell’età matura». Linfa indispensabile è la pazienza, e la caparbietà: la nostra terra è infatti composta di «lingue disuguali», ma la parola non è un torrente, bensì un «rivolo / di acqua piovana che assidua / si adagia nel solco e allatta il seme», per la comune crescita di noi tutti «assegnati gli uni agli altri».
Sandro Montalto
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