Kolibris edizioni, 2009
Questa opera prima di Carmine De Falco è la conferma di un cammino poetico che ha già dato prova di sé: Carmine ha infatti vinto concorsi e ricevuto ottime critiche, anche (il che non è facile) da colleghi e critici più o meno coetanei. Del resto sia la presentazione di Luca Ariano nelle bandelle che l'introduzione di Chiara De Luca testimoniano, con l'acutezza di un occhio critico allenato, questa capacità del Nostro di riuscire gradito ai lettori, certo anche a quelli meno giovani come il sottoscritto. Un poemetto che si svolge da “Mattino” a “Pomeriggio” a “Sera”, con un “Prologo” che lo avvia, e un sagace interemezzo preserale intitolato “Ape”. Un flusso di personaggi e situazioni quotidiane che compongono una narrazione corale dal ritmo sincopato (quasi da video in presa diretta) e trascinante, un lessico estremamente curato adagiato su una sintassi spiazzante e sussultoria (come se apparissero qui e là dei link che ci rimandano altrove e ci risultano irresistibili: bella immagine suggerita da Chiara De Luca nella sua introduzione). Ma questa scrittura è al tempo stesso esatta come un bisturi nell'incidere le metastasi della nostra società. Lo sguardo è oggettivo, a tratti venato di pietas, pur parlando spesso delle banalità e brutture del nostro vivere sociale: tv spazzatura e rifiuti materiali, rapporti personali superficiali e basati su bisogni affettivi e/o sessuali da “sfogare”, mete illusorie e vacue, lavoro incerto e progetti piccolo o medioborghesi… è un fotografia “inglese” di questa nostra Italia. Non ci sono sbavature o facili recriminazioni, c'è invece un fondo sapienziale che ci ricorda la visione del mondo del Qohèlet, forse il libro più “contemporaneo” del Primo Testamento: «Com'è la morte di un ateo / hai chiesto ad amici e nessuno / ha dato risposte…» (p. 9)
Carmine ha composto un'opera che credo gli darà molte soddisfazioni perché ha come trovato il sigillo (espandibile, modificabile, declinabile su nuovi versanti, in fondo proeteiforme) certo di una poetica che non gioca con la lingua, non guarda la realtà dalla torre d'avorio, non indugia in giochetti stilistici vacui, non epigoneggia (pur risultando evidente la profonda e non rinnegata conoscenza della tradizione, come nota giustamente anche Luca Ariano) e neanche vuole risultare moderno o giovanile a tutti i costi, eppure lo è, ma intrinsecamente e non artificiosamente.
Sarebbero molti i passi da citare, ma rimandiamo chi ci ha letto fin qui al libro: lo terrete in un luogo raggiungibile, ve lo leggerete in treno… non vi deluderà. (AR)
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