di Carmine Manzi, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana
La mia conoscenza della poesia di Vincenzo D'Alessio, di cui sono stato sempre un grande estimatore, mi ha reso più intimo e più caro il colloquio con Antonio, il figliuolo così repentinamente scomparso, nel fiore degli anni, ma che ci ha lasciato un così grande messaggio d'amore e di fede che è tutto da considerare.
È il linguaggio ad unirli e ad accomunarli, il padre al figlio, e non solo nella identità e nel calore degli sprazzi lirici, ma nella stessa frequenza degli accenti, ora sommessi, ma più volte carichi, pur nel rispetto della propria originalità, di amarezza e di tormento, nella voce di un'angoscia che è per tutti e per tutte le cose.
È una poesia che ti conquista subito e ti penetra dentro, quella di Antonio D'Alessio in questa raccolta postuma curata dal padre con la mano trepidante di chi ancora non ha represso tutto il dolore che ha fatto a brandelli la sua anima. Perché si tratta di versi che sono veramente pieni di dolore, messi sulla carta forse in un momento di spasimo e di delizia dell'anima («da piccolo cercavo calore / oggi ho capito che il fuoco / è dnetro di me»), ma sono anche versi di una amarezza profonda, dove è stridente il dissidio della sua anima affranta, angustiata, delusa, forse per ciò che soffre, magari nel silenzio, forse per quello che desidera ma non possiede, e non potrà mai possedere.
Antonio, mediante i suoi giovani anni, non riesce a darsi una ragione del senso della vita e non trova dinanzi a sé che delusione e raccapriccio, perché ha dentro di sé, il poeta, un grande dramma che lo tormenta e lo divora, nell'attesa , in ogni suo verso, di una pioggia ristoratrice che possa rinfrancarlo delle aprezze dalla vita e «addolcire / anche le persone / che popolano questo mondo». Ed arriverà, invece, tra lo sgomento, la morte prematura a colpirlo nel fiore degli anni!
Alle volte è condanna ed alle volte è rassegnazione, ma la voce di Antonio resta sempre la espressione di un grande tormento interiore e la conclusione di un'altra sua poesia conferma il dilemma che l'ha tenuto sospeso per sempre tra la vita e la morte, non certo consentendogli quella pace interiore di cui andava alla ricerca con tanta insistenza. Ed alla fine, la conclusione, che non può essere altra: «Alla vita sorriderò sempre / anche se non per tutto / ma non so se sorriderò alla mia morte». Ed ecco però che sopraggiunge all'improvviso anche la consolazione, il richiamo alla fantasia (forse perché è troppo dura la realtà, quasi impossibile da sopportare) e, con la fantasia, il volo all'Infinito, che vuole significare, per Antonio, «la trasgressione del futuro e del presente».
Ma è qui che mi ritrovo nuovamente con Antonio e con Vincenzo padre che m piace di rivedere nella forza della commozione e nella certezza del rimpianto e del ricordo. Però non sarebbe completa la presentazione de La sede dell'estro (è il titolo di questa raccolta postuma), se non mettessimo in evidenza la connessione umana ed anche artistica, indubbiamente, tra D'Alessio padre e D'Alessio figlio, tanta è la trasfusione tra di loro di sentimenti e di ideali di arte e di poesia. Dal padre Vincenzo, Antonio aveva appreso non solo l'arte di fare versi che sono, come abbiamo appena notato, di squisita fattura, ma anche la passione per la ricerca, per la storia e per le tradizioni della sua terra natale di Solofra, a cui ha dato il contributo di apprezzate annotazioni, non solo di carattere paesaggistico. Ed inoltre bisogna anche dire che l'armonia e la musicalità così spiccata chesi notano in queste sue poesie derivano dal culto che Antonio nutrì fin dalla sua adolescenza per la musica classica e moderna che lo ha portato poi in giro per le varie contrade della sua terra, suscitando interesse non solo tra i giovani e nell'ambito ristretto del territorio irpino, ma anche fuori, dove fu applaudito a scena aperta durante i suoi concerti per le sagre dell'estate.
Quindi non mancava in Antonio quel senso dell'allegria e del buonumore che invece i suoi versi racchiudono ma anche un poco nascondono, cedendo il passo alla tristezza.
Un presentimento della fine in età così precoce? Ma i versi perà restano toccanti e sonori, perché sarà stata invece la vita con le sue difficoltà e con i suoi accadimenti, coseì frequenti ai nostri tempi, a far nascere nel suo animo dei turbamenti che sono stati trasmessi in conseguenza ai suoi frammenti poetici. Ma tutto questo non può escludere però Antonio D'Alessio da quello stesso filone di poesia meridionalista di cui il padre Vincenzo è così gran parte ed a cui ha fatto spesso riferimento Paolo Saggese nei suoi diversi interventi, affermando come le sue poesie siano «testimoni di lotte e sconfitte di un passato di dignità e fame».
Indubbiamente Antonio rivive molto da vicino il mondo poetico del padre, pur essendo in possesso di una sua originalità d'espressione, ma egli ci appare soprattutto logorato da una certa sofferenza interiore, ed è quella stessa che poi lo porterà ad essere molto vicino al mondo dei diseredati e degli oppressi, maturando in lui quel senso della solidarietà e della partecipazione, attiva e feconda, alla fratellanza umana.
Leggiamo ma anche meditiamo questi suoi frammenti, perché essi ci invitano ad uno sguardo in profondo per la ricchezza dei sentimenti che vi sono nascosti, e ci accorgeremo come il canto di Antonio diventi quasi premonitore di una morte imminente. Il padre Vincenzo in una sua più recente raccolta che ha voluto dedicare al Sud, ed a sé stesso, apre con un vaticinio che è segno di riscatto e di vittoria, così che molti dei suoi critici lo avvicinano a Rocco Scotellaro soprattutto per il coraggio della denuncia, ma non solo. Ed Antonio era un'anima troppo bella e non ce l'avrebbe fatta a vivere tra le brutture del mondo di oggi, dove nemmeno la musica della sua chitarra aveva più il potere di raggiungere il cuore dei giovani. Ma ora è finalmente in cielo, in Alto, dove ha trovato il posto che non riusciva più a trovare sulla terra.
Mercato S. Severino, marzo 2009
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