RECENSIONE: Realtà e preghiera nella raccolta "Il moto perpetuo"di Giuseppe Langella
Ospitiamo questa recensione di GILBERTO FINZI all'esordio poetico di Giuseppe Langella, noto finora per il suo insegnamento di letteratura italiana contemporanea:
"Due osservazioni su Il moto perpetuo, il libro di poesie di Giuseppe Langella. La prima (come egregiamente Stefano Verdino sostiene nella postfazione) rende giustizia a un professore di letteratura contemporanea che scrive poesia (segue in questo esempi famosi). Langella sa usare misure esatte di sillabe, ritmo, rime anche interne, parole dell’uso e termini culti, squadra e riga ideali di un armamentario sicuro di sé ma non presuntuoso, anzi con la modesta coscienza di un artigiano alla sua prima uscita ufficiale.
La seconda è più specifica e riguarda l’oggetto del suo poetare. Oggi siamo abituati, da tutta la produzione del no-stro tempo, a una poesia del presunto sublime, di pensieri astratti senza consistenza, di vertiginosi nullismi che risuonano nel vuoto. Langella si distingue dalla massa dei poetanti che esaltano la perfezione delle sfere perché i suoi versi prediligono la terra: fuori di ogni schema usuale nella poesia attuale, egli parla di cose (nel senso di oggetti), di monti e salite, di amore senza limiti e, per una stessa compagna della vita, di preghiere a una divinità quanto mai simile e vicina al mortale che la invoca. I testi esaltano la diversità di questo suo “fare poetico”. Si tratta di pregevole sforzo di identità, quello sforzo di non imitare nessuno che dovrebbe fare ogni scrivente versi, sforzo di essere solo se stesso. Leggiamo insieme Sempreverde, poesia trascritta dalla sezione Giorno e notte, dedicata alla moglie.
Sempreverde
Ogni tanto mi dici che sei vecchia.
E certo, se ripenso
alla ragazza in fiore
per la quale le gonne
non erano mai corte
abbastanza, consento
che gli anni e la triplice gravidanza
hanno prodotto qualche smagliatura.
Ma come osservo le ferite inferte
alle altre donne da madre natura,
della tua mite sorte mi contento:
serbi la schiena intatta
e gli occhi da cerbiatta,
e quando ebbrezza d’amore t’ispira
hai il riso dell’eterna giovinezza.
Giuseppe Langella
Da Il moto perpetuo
(Aragno, 2008, pagg. 120, Euro 14)
Langella si legge per il piacere che dà un vaso moderno ben tornito, per l’abile sprezzatura con cui mette insieme versi lievi ma (dal punto di vista metrico-musicale) severi, consci dell’importanza che assume un dire non solo corretto ma inventivo, originale, fuso col pensiero di sé e del mondo in un blocco verbale duttile e sorretto da una coerente intenzione. Langella parla di realtà e non per metafora. È gradevole ascoltarlo parlare direttamente; si apprezza l’endecasillabo così come il verso breve; si lega una scansione musicale a un sentimento. Tra quelle che sembrano la “nugae”, le cose minori, notiamo in finale una specie di ars poetica solo apparentemente senza pretese. Al poeta che compie gli anni che cosa regalare? “Un braciere e una gomma”. Ed ecco il severo insegnamento: “per uno che fa versi, / un’istruzione seria, / … / cancella molto e ardi.”
Gilberto Finzi
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