martedì 18 marzo 2008

dalla silloge inedita confinando l’inverno

di Chiara De Luca (v. anche la scelta da i grani del buio)

«Perché celebrare ancora la notte»? si chiede en poète Chiara De Luca che affetta con sguardo tagliente le contraddizioni di una esistenza (di una condizione umana, per dirla con Malraux) in cui la banalità del male rende razionalmente ed emotivamente difficile affidarsi a un Salvatore (sconfitto o forse, più tragicamente, assente: sulla questione molte interessanti risposte/proposte si trovano nell'ultimo libro di Ivan Nicoletto, in cui viene trattato anche il valore profetico dell'espressione artistica).
Il tono eligiaco di questi versi è intessuto di immagini che sanno catturare: «guanti di memoria scivolati di velluto / bianco tra le tempie a carezzare / il battito in ascolto alla parola / quando a fermarsi è far tornare» e porgere brani di anima a lettori così spesso distratti da suoni vacui, immagini per eccitiazioni di pelle, reazioni chimico emotive in pillole, sfoghi probabilmente noiosi per gli stessi autori, se lasciati in decantazione qualche mese.
Chiara conosce l'importanza del ritmo, la polisemia delle parole, le potenzialità che la poesia rende sempre nuove della metafora, quelle labirintiche e magari depistanti (ma rivelatrici di altro) della sintassi e degli enjambements: «è stato un anno vedi lungo un solo giorno»; «di queste mie spietate pietre di silenzio»; «Ma nessuno fallisce nel fare non / chiedere non ottenere, nessuno / fallisce se è.»


Perché celebrare ancora la notte,
quanto quest’anno spietata e infinita,
se sono trascorse nel cuore stagioni
senza sbocci promessi di primavere
sopra le attese d’un bene a venire,
né pelle che respiri in estate di nuovo
ricordandoti il senso del gelo,
o lana che abbracci le spalle d’inverno
dopo corse spogliate nel freddo
né cadere di foglie pesanti d’autunno

e a Natale distratto o assordato
non è giunto a spogliarci
dal male estirpando il ricordo,

lasciando a seccare,

nessun Salvatore

31/12/2007


***

Gigante grondaia il buio distilla
al cratere della stanza piccola luce
in gocce svaporate dal lampione
guanti di memoria scivolati di velluto
bianco tra le tempie a carezzare
il battito in ascolto alla parola
quando a fermarsi è far tornare


***

Piccola elegia per una bambola rotta

Quando vide il bimbo
la bambola in vetrina
pestò i piedi forte per averla
di lei non sapeva il naso rotto,
il sangue in bocca
i tagli sulle braccia
nelle notti di soffitta
né mani di lattice
voci di guardiola
e che era rubata quella luce
alla fiamma viva dell’inferno.


***

Forse tu mi pensi accanto ancora mentre guidi
ma io sono qui d’assenza solo per ferirti
mentre nel parcheggio appoggi piano la tua fronte
sulle nocche delle mani aperte sul volante
è stato un anno vedi lungo un solo giorno
pareti pure chiuse e fredde strette attorno
luce opaca tra fessure fini di finestra
il suicidio lento d’affamare il corpo
non chiudendo gli occhi nella notte per tenere
desta la ragione dallo svanimento

e non è niente adesso che ti vedo piangere
di queste mie spietate pietre di silenzio
delle lente frasi sghembe a voce
semispenta nel guardare altrove,

perché per occhi vedi non ho più
che un greto asciutto dove
un fiume ha evaporato forte nell’incendio
tutto il sangue ardente dell’amore.


***

a E.

Entrammo nel grande palazzo
delle parole a lasciarlo ben presto
deserto d’ogni stupore.
Sono cresciute giornate alle spalle
in ore bianchissime senza confini
ed è adulta la veglia di risa che tieni
prigioniere tra le coperte perché
non avresti alcuna ragione a gioire
tra aspre sentenze e cupi verdetti
impietosi di fallimento.
Ma nessuno fallisce nel fare non
chiedere non ottenere, nessuno
fallisce se è.
Mentre colleziono pasticche
sorridendo all’impropria salvezza
se tutto quel nero dovesse tornare,
nella grazia raggiante infine concessa
del non avere più un cuore.


***

a Roberto

Cos'è che ha dilatato gli spigoli del buio
rivelando un confine soltanto illusorio
labirinto nel vento è adesso la luce
dove smarrisco in un filo lo sguardo
dietro alle tracce delle parole
dette quasi non si fosse sospesi
sulla gogna a un passo dal tribunale
quando fu scampo la disperazione
dalla durezza spietata del vero
Così bene hanno saputo intagliare
tozze mani di tabacco al demonio
labbra contorte d'amara menzogna
mantenerti la promessa, credi, non pesa
di non chiamare nuovamente la morte.


***

ad Ale

Fino alle ginocchia piantate
ondeggiando precise nel fango
ci vestiva la nebbia d’ombre sottili
veloce il vento sbiancava le ciglia
sulle branchie aperte degli occhi
le mani squamate da un freddo più grande,
altra guerra segreta si combatteva
fuori da grida è scrosci d’applausi
ci stavamo bruciando anche il cuore,
ma ben oltre me ti sei spinta
sul bianco sentiero intrapreso
non tagliare la linea finale.


***

a P.

Chiusi gli occhi agli orizzonti
ampi di salvezza intempestiva
cerco un cielo calmo desertato
d’ogni tempesta d’ogni approdo:
per chi ha corso sempre basta poco fiato
a sciogliere i cappi di fulgide promesse
prima ancora che siano disattese.

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