venerdì 14 marzo 2008

Su Transumananze di Ivan Nicoletto

Visualizza schedaCittà Aperta Edizioni / Servitium, 2008

recensione di Alessandro Ramberti

Questo saggio è stato scritto da un eremita camaldolese e, come forse non sorprendentemente accade, se si frequentano la comunità monastiche, risulta essere un testo non solo in qualche modo profetico, ma pure profondamente immerso nella nostra realtà, nelle sue contraddizioni, nelle sue crisi, nelle sue potenzialità. La scrittura è levigata eppure venata da un lavoro di scavo minuzioso e attento che raggiunge in queste pagine una sintesi progettuale e dialagonte ed anche provocante. Il libro è strutturato in tre parti maggiori precedute da “Un avvio sensibile” (dedicato alle Pietre lattee di Wolfgang Laib) e chiuse da un “Congedo. Il posto vacante di Dio”, con un “Interludio. La carne esposta di Jenny Saville” posto fra prima e seconda parte.

La prima parte è intitolata “Paesaggi in metamorfosi” e si apre con due citazioni una di Marco Mancassola, l'altra di Jean-Luc Nancy (a cui si deve pure la postfazione) e che qui ci piace riprendere: “Il cielo comincia rasoterra, è rasente la terra. Non appena finisce la terra… comincia questa dimensione di apertura.”
Ivan Nicoletto ci parla di una necessaria fluidificazione della realtà, anche individuale:

«L'impulso fluidificatore (…) mi sembra animare il cuore della vita spirituale. Esperienza dello spirito che accade ogni volta che qualcosa di altro e di diverso affiora in noi e nella relazione con altro da noi. Scioglimento del già fatto, detto, pensato e comandato che libera nuove prospettive, risveglia impensate o assopite energie, accende emozioni inedite, ci sorprende per via riaprendo strade senza uscita. (…) Spirito è scarto che si crea fra le reti che noi umanamente tessiamo, quel regno di meccanismi e automatismi (…) in cui tendiamo a blindarci. (…) Il mistero cristiano non crede in un Dio monolito/monologico, in un regime esclusivo di senso, ma dispiega una rete coomunicativa di aperture, di istanze, di polarità diverse, di dialogo, di libertà e di stili plurimi. Ci scopriamo respiranti nella dinamica di un Dio eccentrato, multiprospettico, coesistenza di articolazioni plurali: paterna e materna, filiale e amicale, amante e trasgressiva, intima ed esorbitante…» (pp. 25-27)

A p. 33 l'Autore scrive: «Abbiamo partecipato alla drammatica decomposizione delle narrazioni egemoniche, gerarchiche e fondatrici (…)» e questo processo di sfaldamento interessa anche una certa forma di cristianesimo istituzionale (cfr. p. 38) perché: «L'esperienza credente non si lascia risolvere in una definizione dogmatica o morale che rimuove l'ambiguità dell'esistenza umana (…). La verità del cristianesimo (…) assomiglia a un'apertura, ad uno squarcio che disfa il velo de nostri assoluti, ci deterritorializza dai nostri luoghi e legami consueti di senso (…)» (p. 41).
La stessa incarnazione ci rivela una «presenza infranta, carne martoriata di chi si consuma, di chi si dà al mondo senza difese e senza riserve, per eccedenza d'amore» (p. 53).

Nella seconda parte, intitolata “La costellazione caosmoteandrica”, l'Autore porge in sintesi il suo pensiero e ne fa nella terza (“Inabitare le rotture, sprigionarsi dell'impossibile”) una parola propositiva e interpretativa del futuro che ci attende, con i prevedibili (ma al contempo inquietanti) successi nelle ambito, ad esempio, delle biotecnologie, i problemi ambientali e di giustizia globale e la necessità di quella che Nicoletto chiama esperienza connettiva (o caosmoteandrica): «Il caos e il disordine caratterizzano tutti i processi evolutivi (…) Caos anche come sfera dek Sacro, che si sottrae al pensiero chiarificatore e ordinante, sfugge alla rappresentazione e alla concatenazione di cause» (p. 66).
In questo approccio l'azione di Dio non è tanto «un intervento eterogeno iniziale, quanto (…) un'animazione, una provocazione coestensiva a tutta la durata dell'evoluzione cosmica» (p. 69).
E così la fede «è un modo di diventare l'ospite di un altro che inquieta e fa vivere» (p. 84 e qui Nicoletto cita De Certau).

Insomma un testo che, nella sua apparente leggerezza calviniana, dona al lettore una miriade di spunti e suggerimenti e stimoli: quelle questioni che l'uomo pensante di oggi non può evitare di porsi e di considerare.

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