mercoledì 29 agosto 2007

Su Fiori di vetro



Fara Editore 2007

Recensione di Vincenzo D’Alessio

Credo fermamente che, prima di leggere questa nuova raccolta della poetessa irpina Gnerre, sia necessario guardare i versi compresi nelle precedenti raccolte uscite nel 1994, Il silenzio della luna; e Anime dei Foglie del 1996. A queste due fonti poetiche beve la luminosità della parola come ricerca di una verità irraggiungibile; per quelle “anime” delle cose, della natura, degli eventi, degli accadimenti, che formano «la solida essenzialità compositiva che nasconde plurimi livelli di suggestione e custodisce immagini di forza visionaria e metafore-analogie ardite e bellissime» (dalla prefazione al testo di A. Ramberti).
Le poesie prendono corpi diversi. Ma la scrittura che più si avvicina alla forma vera della poetica della Nostra è quella del verso corto, quasi in forma spezzata, con i versi disposti a formare una lunga catena di parole singole – note musicali – sopra un pentagramma invisibile allo sguardo ma percepibile nei pensieri: come le composizioni a pagina 20, 39 e seguenti. Questo modo di ordire il verso era quello delle raccolte precedenti ed ha conservato il suo effetto: dare l’immediato impatto, al lettore, di assorbire l’energia della materia compositiva: «Imparo dalle foglie / ovate di tabacco / a vivere nel rifugio / dei pensieri» (p. 63).
Questi «restauri di solitudine» non sono una voce ma il coro di un fiume in piena che viene allo scoperto dopo dieci anni di soliloquio. Una lingua nuova che tenta espedienti nuovi, per simulare tracce di acquisizioni; contaminazioni; esperimenti. Una poesia che costruisce una scia per altri versi che «nella luce» riconoscono il punto di partenza.
La luce, ripetuta in tante poesie, come inaugurazione di una vita nuova di fronte ai troppi ricordi a volte ingombranti, non riducibili a semplici assetti verbali, a metafore, analogie, esperienze filosofico-religiose. La luce che investe la nuova costruzione poematica della Gnerre è un surrogato della vita che lei cerca oltre il labirinto dell’interrogativo eterno: «io sono / una gallina / che non dorme / mai» (p. 71).
Gli animali compaiono nei versi come corpi sinuosi: che vorranno dire insieme al fieno, ai ceci, al verde, alle spine, al torrente, alle foglie… queste foglie che ritornano costantemente a presentarsi nei suoi versi?
Avrei tante proposte da fare ma il quesito rimane: «e il mio cuore / piange l’aceto / bianco» (p. 72).
In questi versi brevi, automatici, quasi soffrissero di futurismo o di surrealismo, affonda l’ironia e la ricerca vera della poesia della nostra autrice. Un sorriso rubato ma graffiante. La meccanica di una filosofia pascaliana che ricerca nelle ragioni del cuore la gnoseologia delle verità nascoste.
Le epigrafi a due amiche perdute lungo il viaggio incoronano la raccolta e la dispongono su questi binari.
Tante e diverse sono le motivazioni che irrompono dai versi: fiori, specie il tulipano; colori, specie l’arancione; l’acqua, purezza e desiderio di rinnovamento. Spuntano anche le contaminazioni con poeti illustri come l’Alighieri nel richiamo alla “navicella”; nell’uso di assonanze come «schricchia suo pianto» (p. 41).
L’Irpinia e i poeti ritornano ancora in diverse poesie e mostrano il desiderio di cambiamento, di rinnovamento, di necessaria riproduzione di liberi pensieri e azioni, in brodo di libertà.
Anche Rocco Scotellaro trova spazio nella bella poesia a p. 35 dove sono ricordati i versi della sua Pozzanghera nera il 18 aprile, citando i portoni che non si aprirono e i burroni che si spalancarono.
La poesia di Antonietta Gnerre copre dieci anni di studi e di sofferta originalità meditata, ricercata, accettata, rifiutata, all’ombra di una Natura ancora amica ma che sfuma in una realtà ben diversa che si tarda ad accettare.
I valori a cui è legata l’etica della poetessa di Prata di Principato Ultra hanno abbandonato la nostra società da pochi anni ma sembrano secoli. Il tormento del tradimento verso le cifre morali che ritenevamo indispensabili sfocia oggi nella pazzia omicida, nella follia religiosa, nell’ipocrisia economica, nell’insaziabile sete di vite umane da distruggere moralmente e fisicamente. Tutto ruota intorno al rispetto di questa forza che si spera di avere assimilato nella lettura e nella rilettura dei versi della presente raccolta.

Montoro, agosto 2007

1 commento:

m.borghese ha detto...

Belli i fiori di vetro.
Ma ancora più bello il fiore umano che è l'Autrice di questo libro.