venerdì 17 agosto 2007

Noël tradotto da Lucetta Frisa


ringrazio Chiara De Luca che ha fatto da ponte (anche lei ottima traduttrice di un noto poeta francofono) e, naturalmente, Lucetta Frisa

Da Bernard Noël L’ombre du double
P.O.L Editions, Paris, 1993
L’ombra del doppio, traduzione di Lucetta Frisa, postfazione di Marco Ercolani
Novi Ligure, Joker, I libri dell’Arca, 2007




sequenza 2



che cos’è il faccia a faccia

dal fondo del vetro viene
il tu che non è dell’altro

lancia attraverso gli occhi
un grido di fumo

il sapere allora
è lama ritorta

testa e coltello hanno freddo
nel pensiero


*


una lingua d’ombra

lecca i tuoi occhi senti
il nero che pensa

il tuo viso lo vedi
che si scioglie sotto la morte

tutto il sangue dello sguardo
qui e là nel buco

trasparente io e tu
sono il sudore del bicchiere

*


talvolta è una bocca

aperta nello spessore
tu della notte il dente

io l’occhio scoppiato che cola
dentro i tuoi occhi d’ombra

poi la nerezza prende
tutta la carne di me

la morte si veste di tu
dentro la mia ferita


*


che cos’è un viso

il tu del corpo
gli si dà un nome

a scavare l’orbita
piccolo crimine d’aria

dove beve il tempo
una pietra di pelle

lassù posata
sulla fine di sé


*

laggiù quest’altro corpo

la tua aria invecchia dentro
escono le tue ombre

qualcuno va via sui tuoi denti
poi passa il vetro

cerchi sotto la lingua
un grido di crepacuore

caduta di carne in testa
la vita sprofonda


*


te che sei nel mio tu

il mio presente è una pietra
me la getti negli occhi

sale la pagina di vetro
il viso esplode dentro

io succhio il bianco
il lino dello sguardo rubato

scorre il letto del tempo
al centro della bocca


*

che cos’è la vita

la tua lingua tocca l’occhio
brucia nella luce

tendi la tua mano di polvere
troppe lettere sotto le unghie

ancora un po’ di nulla
nella parola corpo

qualcuno laggiù si arrampica
fuori della tua faccia


***


séquence 2


qu’est-ce que le face à face

du fond de la vitre vient
le tu qui n’est pas de l’autre

il jette à travers les yeux
un cri de fumée

le savoir est alors
lame retournée

tête et couteau ont froid
dans la pensée

*

une langue d’ombre

lèche tes yeux tu sens
le noir qui pense

ton visage tu vois
qui coule sous la mort

tout le sang du regard
ici là-bas au trou

transparent je et tu
sont la sueur du verre

*

parfois c’est une bouche

dans l’épaisseur ouverte
toi de la nuit la dent

moi l’œil crevé coulant
dans tes yeux d’ombre

puis la noirceur prend
toute la chair du moi

la mort l’habille en tu
dans ma blessure

*
qu’est-ce qu’un visage

le tu du corps
un nom s’y met

creusant l’orbite
petit meurtre d’air

où boit le temps
une pierre de peau

là-haut posée
sur la fin de soi

*

cet autre corps là-bas

ton air vieillit dedans
il en sort tes ombres

quelqu’un s’en va sur tes dents
puis passe la vitre

tu cherches sous la langue
un cri crève cœur

chute de chaire en tête
la vie s’enfonce

*

toi qui es dans mon tu

mon présent est une pierre
tu la jettes dans mes yeux

la page de verre monte
le visage éclate dedans

je tète le blanc
le linge du regard volé

le lit du temps coule
au milieu de la bouche

*

qu’est-ce que la vie

ta langue touche l’œil
elle brûle dans la lumière

tu tends ta main de poussière
trop de lettre sous les ongles

encore un peu de rien
dans le mot corps

quelqu’un rampe là-bas
hors de ta face






L’eresia dello sguardo
(dalla postfazione di Marco Ercolani)


Antonin Artaud, in una prefazione scritta nel 1947 per una mostra di alcuni suoi autoritratti, scrive: «Il volto umano è una forza vuota, un campo di morte […] Dopo mille e mille anni che il volto umano parla e respira si ha ancora l'impressione che non abbia cominciato a dire ciò che è e ciò che sa […] Io non conosco un solo pittore della storia dell'arte, da Holbein a Ingres, che questo volto d'uomo sia giunto a farlo parlare. I ritratti di Holbein e di Ingres sono dei muri spessi, che non spiegano nulla […] Io ho d'altronde rotto del tutto con l'arte, lo stile o il talento, in tutti i disegni che si vedranno qui. Nessuno di essi è opera in senso proprio. Tutti sono degli schizzi, voglio dire dei colpi di sonda o di maglio dati in tutte le direzioni, secondo il caso, la possibilità o il destino. Non ho cercato di curare i miei tratti o effetti, ma di manifestare in essi delle verità lineari patenti che esprimano lo stesso valore sia attraverso le parole e le frasi scritte che mediante il grafismo e la prospettiva dei tratti». Le parole di Antonin Artaud, la cui opera è da sempre prediletta da Bernard Noël (v. Artaud et Paule, ed. ital. Joker, 2005), sembrano essere la matrice di questo suo libro di versi, L’ombre du double (P.O.L, 1993), dove domina la raffigurazione del volto umano come buco di tenebre, superficie scandagliata nelle sue parti - lingua, occhio, denti, capelli -, luogo di metamorfosi non sacre ma tese a rappresentare il destino tragico dell’io, soggetto alla pervasione violenta dell’altro.
«Il tuo viso lo vedi / che scivola sotto la morte // Tutto il sangue dello sguardo / qui e là nel buco»
Se è vero che il volto, connotato come sede della razionalità e dell’equilibrio, simboleggia l’unità psicologica del corpo, Noël sovverte definitivamente questo concetto, raffigurando una faccia umana trafitta da dissolvimenti, cancellamenti, fratture, non dissimile da certe perturbanti visioni di Munch o di Bacon. Questa deformazione porta con sé un presentimento di tragedia. In quanto maschera, il volto si oppone allo sguardo tranquillizzante che vorrebbe fissarlo come unità armoniosa o spirituale: è lui, ora, a guardare, a diventare soggetto non più obbligato a garantire la totalità del corpo, e riscopre così la sua natura frammentaria e rovinosa.
«forbici d’illusione/ ritagliano un io d’angelo»
Se «forbici d’illusione» ritagliano «un io d’angelo», questo apparente io angelico, estratto dalle forbici acuminate, è munito di una sua ombra infernale, «l’ombra del doppio». E, se il doppio è già un’ombra, il libro ne esplora il vortice di rispecchiamenti e di rifrazioni non con le armi della riflessione intellettuale ma con i ritmi della materia poetica.
«il mio presente è una pietra / me la getti negli occhi»
Il processo conoscitivo e poetico avviene attraverso la perdita dell’identità corporea. Il volto diventa un'immagine rifranta, minacciosa, che indica migliaia di apparenze non limitate da cornici consolanti, come accade quando ci riflette uno specchio. L’io sembra immergersi dentro una sporgente increspata; il riflesso si scompone, si fa flusso che trascina e disperde, porta l'immagine verso l'evanescenza; oppure ritorna acqua opaca, che nasconde l'abisso e sigilla i mutamenti, ipnotica e buia. Deluso dall'immagine ferma, evocata dallo specchio, il poeta sceglie la dissonanza dell'immagine mobile, frantumata dalle rifrazioni, cede alle vibrazioni del tema, al loro ground fondamentale, scompone la melodia in diverse isole timbriche ma senza nasconderne i suoni, rendendoli sempre riconoscibili, come un volto si riconosce anche attraverso le sue parti. La forma dell'io, alla radice, diventa visione del non-io, dell’io verso il tu.
«Nel tu / mangiando / l’io// i denti / girati contro la lingua // piaga aperta / piaga negli occhi»
Gli smembramenti del volto e del corpo, dell’io e del tu, non sono evocati con soluzioni drammatiche o espressionistiche: al contrario, il linguaggio poetico ne descrive con sobrietà la tragica scomposizione. Il tema fondamentale del volto scorre parallelo a quello della vista, rappresentata come potere di creazione/distruzione degli occhi, della bocca, della lingua, dei sensi umani, vissuti come prospettive in stato di pericolo, di dissolvimento.
«La tua lingua tocca l’occhio / brucia nella luce / tendi la tua mano di polvere»
La percezione dell’instabile identità dell’io è evocata con secca e minimale violenza dal poeta. Il linguaggio si snoda come un universo di microesplosioni. La scommessa formale che innerva L’ombra del doppio è raffigurare i sensi spezzati, il viso violato, l’io separato dal tu, con cadenze brevi e quasi gnomiche, sequenze e avvicinamenti di una partitura atonale, di una liturgia laica, ai limiti del silenzio. Attraverso una parola astratta, percorsa da «estratti» di corpo e tensioni metafisiche, Noël giunge alla percezione della carne straziata e vivente della parola, fatta con la materia stessa delle immagini. Ne scaturisce una poesia che la logica della ragione definirebbe «filosofica» ma che la realtà delle parole mostra come «esistenziale», fenomenologica. I «colpi di sonda» delle parole dissolvono l’unità del volto in un lampeggiare di schegge. Non esiste più un io dominante ma un io relativo e dolente, traversato da voci, invaso dal soffio poetico: «chi ha cominciato / in me / senza di me». La metafisica di Noël è un «simulacro del cielo / sotto le unghie» - non cielo totale ma spettro di cielo, di cui resta sotto le unghie del testimone un segno, un cenno.
«Lanci la sentenza di morte / la mano di polvere // Una lama di miraggio / cava l’occhio»
La parola miraggio, testimoniando la persistenza di un’illusione, dovrebbe rassicurarci, ma la parola coltello smentisce questa illusione. Lo smembramento del volto rappresenta la ferita della conoscenza umana, soggetta a violenze e fratture continue, che la rendono scorticata ma vivente.
«La mano si alza nera / la bocca è piena di tu // poi è una cucitura dell’ombra / in fondo agli occhi spogli»
«Una faccia umana / che non ha nome / volto senza testa // anche sfigurata / la faccia umana / mangia al nostro viso / il suo silenzio / è la bocca nera / dove il tu si getta nell’io»
La violenza surrealista della materia poetica è un flusso bloccato in immagini-schegge, atonali, neutre. Opponendosi alla dolcezza cantilenante della sua stessa lingua, Noël lavora su azioni brevi, su parole isolate. Costruisce una piccola insurrezione antiretorica, non permettendo alla poesia di svilupparsi in discorso ma rendendola isola frammentaria, esplosa, scheggiata. Il clima che ne deriva, acuito dalla semplicità dei mezzi, è un «campo di sterminio» fisico e metafisico, dove ogni frammento di corpo, di volto, di pensiero, è atto di eresia contro i soprusi del reale. Le simbologie che appaiono nelle diverse sequenze poetiche – dal doppio all’ombra al fantasma allo specchio – sono sottoposte a una decisiva immersione dentro lo strazio del corpo, cesellato dalle alchimie di una lingua volutamente scarna.
«Il sacrificio dell’io / al tu // lo sgozzarsi verbale / dell’illusione con l’illusione»
Come scrive di Zao Wou-Ki in Les Yeux dans la couleur, il lavoro dell’artista è «lavoro lucido / lavoro di grande silenzio / lavoro di forze slanci porosità / di materie / non di immagini».
All’interno di una materia che non è ancora immagine, l’opera di Noël è un diagramma spezzato che ricorda le riflessioni di Gilles Deleuze sulla parola poetica che continua a sfuggire e a balbettare, straniera nella sua stessa lingua, traversata da metamorfosi, porosità, continui dissolvimenti e ricuciture. Gli occhi di molti tu sono la «sostanza stessa del mondo», come scriveva già il giovane Noël in Les lieux des signes (1950): Una sera, gli oggetti si misero a vivere e subito credetti di sognare. Il mondo si scomponeva. Le cellule si ribellavano. Una vita atomica mi avvolgeva. Cominciò con lo schienale di una sedia, poi, sempre di più, il movimento raggiunse tutte le cose che popolavano la mia stanza. Dappertutto, occhi spingevano e mi guardavano; dappertutto, folle di occhi animati da movimenti ondulatori. Credetti di sognare; ebbi paura; infine pensai di essere penetrato di colpo bella sostanza del mondo, e non so ciò che accadde di me durante lunghe ore, per giorni interi.
Il poeta insegue quello stato di trance che, alla fine, si mostra con parole isolate, sospese, ellittiche, alla soglia del silenzio. Attraverso quelle parole Noël si avvicina all’intuizione centrale della sua poetica: usare l’irrealtà della visione e del sogno come materia, come strumento attraverso cui deformare e trasformare, reinventandolo, il reale stesso.
«la lingua tasta / un filo d’aria // immette parola su parola / sopra un po’ di pelle // Può forse l’irreale / sognare il reale / ricondurlo dopo / alla realtà // Il tu divora l’io / poi lo ricopre della sua ombra // ma l’altro laggiù nel fumo / indossa il corpo che fu mio».
Lingua, pelle, io, fumo, polvere, occhi. Come scrive Henri Michaux: «L’io non esiste. IO è una posizione di equilibrio». Intorno ai paradossi di questo equilibrio, in un incessante cortocircuito generativo tra altro e io, tra io e ombra, Noël non rinuncia a seminare e a smarrire la sua lingua, sospesa tra afasia ed eccesso. «a ciascuno la sua razione d’ombra / per addobbarsi di immagini».
M.E.


Nota biobibliografica

Romanziere, saggista, poeta, drammaturgo, Bernard Noël nasce il 19 novembre del 1930 a Sainte-Geneviève-sur-Argence. La sua ricerca poetica si muove nel segno di Artaud, Blanchot, Bataille, in un’incessante ricognizione del rapporto tra scrittura e corpo, tra eros e linguaggio. Il suo romanzo, Il castello di Cène, tradotto in italiano da Guanda, negli anni ‘60 fece scandalo per il violento erotismo, interpretato come violenza politica. Estratti del corpo, del 1958, la sua «opera prima» di poeta, tradotta in italiano da Donatella Bisutti, è uno dei titoli più significativi insieme a La caduta dei tempi. Bernard Noël non è solo poeta, ma anche saggista politico, con riflessioni sul «totalitarismo mentale» e sul «dispotismo della libertà», e filosofico (sue alcune osservazioni sull’enigma del nome nella Sindrome di Gramsci). Ha scritto per e su diversi pittori, da Moreau a Géricault da Masson a Magritte, da Giacometti a Matisse, e sono numerose le sue collaborazioni (plaquettes e libri d’arte) con pittori contemporanei, da Henri Michaux a Leonardo Rosa.
L’opera di Bernard Noël spazia dal 1958 al 2006. Nelle Éditions Lignes & Manifestes pubblica Artaud et Paule, L’Enfer dît-on, Le Retour de Sade, Le lieu des signes; per le Éditions Pol Journal du regard, Onze romans d’oeil, Treize cases de je, Le 19 octobre 1977, La Reconstitution, Portrait du Monde, L’Ombre du double, Le Syndrome de Gramsci, La Castration mentale, Le Reste du voyage, La Langue d’Anna, L’Espace du poème, Magritte, La Face de silence, La Peau et les Mots, La Maladie du sens, Romans d’un regard, Un Trayet en hiver, Les Yeux dans la couleur; nelle Éditions Fata Morgana Une messe blanche, Souvenirs du pâle, Le double Jeu du tu (con Jean Frémon), D’une main obscure, Le Château de Hors, Le Tu et le Silence, Roman de postures; per le Editions Flammarion-Léo Scheer, Les Premiers mots; nelle Éditions Gallimard Le Château de Cène, André Masson, La chute des temps, Extraits du corps; per le Editions Talus d’Approche Le Sens de la sensure, Le rencontre avec Tatarka, Quelques guerres; nelle Éditions Unes Fables pour ne pas, Extraits du corps, Vers Michaux, Correspondance (con Georges Perros), Lettres verticales; per Atelier de Brisants Vieire da Silva, Onze voies de fait, Le Roman d’Adam et Eve; per le Editions Ombres La Maladie de la chair; nelle Editions du Scorff Site transitoire; per le Editions Memoire du livre Dictionnaire de la Commune.
I libri in traduzione italiana sono: Il castello di Cène (Es, Milano 1991); Diario dello sguardo (Guerini e associati, Milano 1992); Il rumore dell’aria (Edizioni del Leone, Venezia 1996); La caduta dei tempi (Guanda, Milano 1997); Notti al castello (L’Airone, Roma 1998); Simbad il marinaio (Motta junior, Roma 1999); Paroles. Specchi e versi dell’erotismo con Pey Serge, (Avagliano, Roma 1999); Distanze. Tre monologhi, con Peter Porter ed Edoardo Sanguineti, (Avagliano, Roma 2000); Estratti del corpo (Mondadori, Milano, 2001); La sindrome di Gramsci (Manni, Lecce 2001); La malattia della carne (Abramo, Catanzaro 2003); Artaud e Paule (Joker, Novi Ligure 2005). Tra i suoi principali traduttori: Donatella Bisutti, Fabio Scotto, Antonio Prete, Lucetta Frisa.

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