venerdì 6 aprile 2007

Un sogno di Giovedì Santo 2007


di Adeodato Piazza Nicolai


Mi trovo in un altipiano di montagna (è forse Casera Razzo). Alla base di un dolmen osservo un’ aquila immobile. Sembra morta. Mi avvicino e lei sbatte un’ala. È soltanto ferita. Pian piano, teneramente, la prendo fra le braccia come un bambino. Sta immobile. Accarezzo lentamente le sue piume dalla testa verso la coda. Emana un calore tremendo che si dirada dal petto e mi penetra tutto il corpo. Il mio corpo risponde e si congiunge al suo, finché siamo un unico organismo incandescente. Questa fusione dura alcuni secondi ma sembrano un’ eternità. Apro gli occhi e vedo un cane grande che annusa l’aquila. Il suo pelo è di un bianco avorio. Non è aggressivo, soltanto curioso. La voce chiara di un uomo dice al cane: “Vieni qua! Vieni qua!” L’uomo si avvicina e gli racconto ciò che mi è appena successo. Mi fissa negli occhi e dice: “È accaduta una cosa mistica.” Si gira e raggiunge un gruppo di persone sedute sull’erba – tre uomini (lui incluso) e due donne. D’improvviso sulla mia sinistra appaiono quattro uomini di media età. Sono malvestiti, con barbe incolte, e si avvicinano con prepotenza. Di fronte a me si mettono a urlare insulti e bestemmie. Cercano di strapparmi l’aquila dalle braccia. Subito i tre uomini dell’altro gruppo vengono a difendermi e gli altri se ne vanno borbottando. A quel punto apro le braccia e l’aquila s’invola. La seguo finché sparisce nel cielo cristallino, senza una nuvola. Mi sveglio, chiedendomi se l’aquila ferita fosse un simbolo del divino che deve congiungersi con l’umano, che deve incarnarsi ed essere abbracciato dall’uomo per poter chiudere il cerchio immanenza-trascendenza. È il divino, il Deus incognito che si avvera attraverso una unione con l’uomo? Forse era solo un sogno che ho sognato questa notte di Giovedì Santo e il divino rimane sempre l’incognito nella mente sveglia, razionale, dell’uomo. Non so.

(Padova, 5 aprile 2007 – 10,30)

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