martedì 10 aprile 2007

Su Il sogno e la speranza di Paolo Butti


Editrice i Segni, Firenze 2003 (II edizione per Polistampa, 2004)

recensione di Caterina Camporesi

Marco Guzzi, nell'aprile del 2001, in un seminario svoltosi a Roma all'interno delle manifestazioni organizzate dal Centro Montale, riflettendo sulla crisi d'identità del poeta dopo le tragedie che hanno segnato il Novecento, individuava due possibili percorsi per il letterato del nostro tempo: l'uno rivolto verso il passato, ignorando la crisi, con il rischio di ripeterlo; l'altro orientato verso il futuro, al di là della crisi, accogliendo il travaglio della nascita del nuovo dalla forma non ancora definita. Il poeta, come in generale l'artista, è il «custode della metamorfosi», come suggerisce Canetti, e la cultura è anche la risposta al lato oscuro di noi stessi e del mondo.
Il sogno e la speranza di Paolo Butti appartiene sicuramente alla tradizione, prima della crisi, non solo per quanto riguarda la forma ma anche per quanto riguarda i contenuti. Il Novecento, che è stato un secolo tra i più feroci e malvagi della storia, non ha potuto ignorare la presenza del male nell'uomo e nel mondo; ha dovuto fare i conti con l'inferno personale e transpersonale, assistere al crollo della coscienza kantiana, fondata sui rapporti lineari tra soggetto, oggetto e pensiero; ha dovuto affrontare il tormento dell'incontro con l'ombra, l'accettazione della molteplicità non riducibile.
Nei testi della sua raccolta il lettore sembra entrare in un altro tempo, dove il male non esiste: esistono affetti, memorie, speranze, attese, semi che anelano a nascere.
Anche il dialogo con la natura è sereno e il «quotidiano stormo degli affanni» non intacca nella sostanza la bontà dell'uomo e del creato: la vita dura e pesante è comunque rischiarata dalla luce divina e da quel «ricamo di giallo splendore” che si riversa sui campi.
Sembra di respirare tra queste pagine una forza in grado di fermare il tempo che passa, lasciando gli uomini radicati alla propria origine, ad una sorta di innocenza e di non compromesso con la complessità, contraddittorietà e atrocità della vita. Anche nel dialogo fra uomo e natura c‚è il timore di «profanare» il giorno e forse l'intera esistenza.
Il poeta sembra avere fatto proprio il candore del "fanciullino" del Pascoli, la cui poetica alita di frequente tra queste pagine.
Tuttavia, lo stile, affinché possa evolversi come processo nel tempo e nello spazio, richiede la trasformazione e lo spostamento dei contenuti soggettivi e privati in un nuovo contesto mentale e sociale: non si può dire di più di quanto la propria struttura formale, cioè il proprio stile, riesca a sopportare. Così lo stile tradizionale di Butti, che è registrazione di piccoli e grandi eventi quotidiani senza trasfigurazione o rielaborazione, è funzionale a ciò che egli vuole comunicare e la sua poesia si colloca più sul versante descrittivo e non indaga le ambiguità e le conflittualità sia del mondo reale che di quello mentale. Egli rimane sospeso nella nebbia autunnale in uno stato di lunga attesa del germoglio del seme. La parola «seme» compare di frequente in questi testi.
La campagna toscana, che si perde «nel sereno scorrere dell'Arno», mantiene lo stesso respiro di sempre, e gli affetti familiari, le memorie, la preghiera verso la divinità, costituiscono il substrato della poesia di Butti, consolidando l'immobilità di un eterno che si ripete, e non si contamina con il male e con i cambiamenti che il tempo e il movimento costringono.

4 commenti:

VitoBarese ha detto...

Ave...
Volevo solo dire che questo è un libro che porto nel cuore, porto nel cuore le sue poesie. Ne ho una copia autografata dall'autore che è stato un mio professore. E oltre ad essere un gran professore (forse il migliore che ho incontrato finora), è anche una grande persona e un gran maestro di vita.
Un Saluto.
Vito

Alessandro Ramberti ha detto...

Grazie Vito
credo che quando la qualità della persona si affianca a quella della parola si ha umanamente il massimo.

VitoBarese ha detto...

Ave...
Senza ombra di dubbio.
Mi chiedevo se anche lui avesse un blog, chissà...

Alessandro Ramberti ha detto...

Non credo, Vito
se vuoi ti metto in contatto mail con Caterina Camporesi che forse ne sa più di me. Puoi srivermi alla mail info(chiocciola)faraeditore(punto)it