sabato 10 marzo 2007
Su Lasciami così di Giovanni Fierro
(Gorizia, sottomondo, 2005 (ristampa), pp. 92 (sip)
Prefazione di Francesco Tomada, quarta di copertina di Mario Benedetti)
recensione di AR
“Il buon senso / è conficcato negli errori / che tu ed io / non siamo stati capaci / di evitare”: è la prima strofa di Respiro, a p. 80, e credo possa dare il la a questa raccolta intrisa di etica saggezza, che potremmo sottotitolare Diario di un cittadino consapevole (dei suoi limiti e di quelli che la storia privata e sociale ci impone e alla responsabilità di cui ci fa carico). Il poeta Fierro non è un distaccato supervisore dei fatti, né una voce portata a facili lirisimi autocommiserativi, ma un compagno di cammino capace di ascolto, capace di farsi e farci domande, di fare il punto (con misura e senza cadere nell’enfasi retorica). Ad esempio in una poesia ispirata agli stupri etnici in Bosnia si chiede: “… come potevo mostrami uomo // al pensiero che anche qui uomini / hanno lasciato dentro donne / non seme // ma sputi” (La forza e no, p. 70). E in Sarajevo città confessa: “Scopro che ho l’inadeguatezza di chi arriva tardi / e vuole trovare le parole giuste / quando non servono più.” (p. 67). L’umanità del Nostro si esprime con immagini che non passano inosservate: “la vita si muove così // poi è il destino che sa puntarsi / all’inguine” (Conversazione rinviata, p. 34); “attraversare la vita / sarà nuovamente un atto d’amore // e non semplicemente / un lento sfollare” (Questi giorni, p. 32); “Adesso il giorno si fissa al tempo con il chiedo del sole” (Viaggio, p. 27); “Ho un corpo / (…) che un giorno mi abbandonerà / (…) Lascerà la mia anima / in rilievo / come l’innervatura di una foglia” (Da un seme, p. 22); “Penso solo alla neve / a come tiene a sé l’impronta dei passi” (Dopo, p. 19, intensa fotografia del nostro transito).
Sì, questo è davvero un bel libro, con rare cadute di tensione o ridondanze e uno sguardo in amorevole equilibrio fra scetticismo e bellezza, fra desiderio e dolore… e infatti le stesse parole dovrebbero essere costrette “in un diamante / di gelo // fino a spaccarle / per vedere se ha / un senso credere / che difendano / un nocciolo” (Ricerca, p. 17). Forse è questa la funzione della poesia: ci aiuta a ricercare quel grumo di senso che a volte, nel quotidiano parlare, ci sfugge.
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