giovedì 1 febbraio 2007

Sale (di Lorenzo Mari)

Radio Pristina.

Il destino del freddo
è spingere il contadino slavo che si alza
dalla coperta al centro della stanza
per accendere stufa bricco del caffè
e insieme Radio Pristina,
con il suo rock duro, di prima mattina,
con il suo pop apatico e il telegiornale
indissolubilmente legato (ancor prima delle notizie)
ai traffici di droga.

Il destino del freddo di febbraio
si marita così con lo stordimento dell'alba.

Dimenticare si deve, a ogni costo,
che il padrone ha ordinato ancora una volta
di prendere il vomero e tracciare una linea dura
e netta nella terra nera (una volta verde,
pur se incolta; una volta rossa,
quasi più colta) di Jugoslavia,
dissodando dissodando dissodando
ma mai seminando.

(Sono i chicchi vecchi e induriti del grano
che lui si macina a caffè, questa mattina, e un po' beve,
un po' sputa, rimanendo alla finestra.
La ferita, nel campo, sorridendo di sbieco,
lo aspetta.)


Sale

Sale, ogni giorno, ogni notte,
la conta amara – come tacca
sul legno: incidere dovrebbe essere
così duro,
nel suo tirare via corteccia,
defraudare di pelle, abradere:
dovrebbe essere finanche infame
invece poco a poco si guarda,
non si guarda – pensa: non se ne dovrebbe
qui, in questo bar, nemmeno parlare

un numero è una sciocchezza
una sciocchezza è numero
la medaglietta è il ricordo
il ricordo una fotografia
una fotografia una sciocchezza

(la pietra, però, viene portata nel seno
o incastonata in fronte, con secco

movimento verso l’interno,
dalla medusa)

***

Un giro di fiato rimasto a mezzo,
quando ti diedero il via. Non sapevi più
parlare, d’un colpo. Alfabeto
sentimentale di quelli caduti
in disuso. Un giro di montagna
sospeso sul tornante, quando già
sarebbe stato facile intravedere l’ultima erta,
il primo vento schiacciato sul volto. Innamorato
dicono, per parlare di stati psicofisici
dominati dall’emozione, ma sinceramente lontani
da questa definizione ingabbiante,
asfittica adolescenziale e – pure – pleonastica.
Che si prende per scontata,
che si assume quasi per gioco.
Ma non è attività aerobica.
Non ha sintomatologia precisa.
Non entra nell’inspirazione,
esce nell’espirazione. Non entra nemmeno
nell’ispirazione, non esce nemmeno
nella poesia.

***

Citazione da Spengler

Ti guardassero gli dèi,
nel momento della corsa,
capirei.
Ma non ti guardo
neppure io: ho portato il cannocchiale
e lo lascio appeso al collo, rido.
Se lo usassi, riuscirei solo
a intravedere – di soppiatto,
perché una tale inquadratura
non è consentita –
la durezza dei tuoi muscoli
allenati allo scempio
dello scatto, la tenerezza
del tuo corpo rigonfio, voluminoso,
bluastro – che non introduce
più aria.
Acido lattico,
che ti sommerge. La fine della corsa è lontana
anche nei cento metri. Non mi va d’aspettare,
ma devo. Solo, vie d’emergenza,
larghe vie, per la fuga dello sguardo,
chiedo – per non vederti morire
sullo stupido impianto.

***

coprirò gli spazi che hai lasciato
con il terriccio umido
fatto apposta per i fiori
(comprato stamattina con il prezzo
delle inezie quotidiane)
sperando che poi non nascano
quando è primavera e non è più gelata
la punta del naso.
Non è disprezzo per la primavera
questo mio sporgermi sul prato
e pregare che non porti i soliti paradigmi,
non è disprezzo te lo dico

***

con tutta la spina (profonda, dura,
lignea) ti colga, con tutta la forza (tepida, timida,
salica) ti ostacoli, con tutta la pazienza (santa, inutile,
barbara) ti sorprenda

non sia mai un gioco facile
un indovinello veloce
una parola incrociata

ma l’evasione come atto di libertà
si riempia delle sue prerogative
mentre io analizzo l’istante.
Giocheremo anche a carte,
sì, giocheremo anche a carte

***

c’è poi l’interrogatorio continuo
fatto a luce forte e denti stretti
nello scantinato buio
sull’isola che non c’è.
Io che non avevo visto nulla
ho confessato e vissuto appieno quei momenti
di dolore carne e sangue –
poco dio, e poco altro –
io che non avevo inferto colpo
che avevo detto magari risolvo
la situazione con un colpo di spugna
la macchia di caino sulla mia pelle
risalta già di un piccolo bagliore verde
difficile da togliere alla vista
io poi mi lascio andare facilmente
se c’è da pentirsi, convertirsi, storpiare
la propria anima, crescere

***

Tragico divertissement (inutile e perverso)
Alle spalle della cassiera del supermercato



Ti rendi conto che in questo supermercato
Enorme la musica si chiude in un sottofondo
Non molto luminoso, non molto comodo,
Non molto favorevole – e ci accompagna,
Sì quella musica disumana, con un sorriso
Come da ostaggio legato
(Sindrome di Stoccolma)
Fino alla cassa?

La prossima volta
Quando c’è ressa
Reimparerò a memoria
Tutte le suonerie del cellulare.
Per non ascoltare la musica del mondo,
E dover pensare.



«(…) Per il momento volgo un pensiero di pietà a quel giovane che ha perso un braccio con la bombetta che gli è scoppiata in mano. Collabori ora alla rinascita del Paese, studi, si faccia un mestiere (si può lavorare anche con un braccio solo). In definitiva, l’avvenire della Patria è un poco riposto in lui: nella capacità che avrà quel giovane a preservarsi sano il braccio rimasto, col quale potrà sempre tenere in mano un buon libro da leggere. Io cessai di essere fascista non appena decisi di leggere un libro.» (Antonio Delfini, Lettera a Romano Bilenchi , 1955)

«Certi inferni hanno l’aspetto di case e città devastate dal fuoco, dove stanno in agguato spiriti infernali. In inferni meno severi si possono vedere miserabili ruderi, talvolta allineati in modo da formare delle specie di cittadine con vie e vicoli.» (Emanuel Swedenborg)

«L’esistenza singola ci toglie la luce.
(La frase può essere rovesciata).»
(Czeslaw Milosz, Eraclito)

«Poesia servile
(Finché non arriva il temporale)»

Importante: da Czeslaw Milosz, Opere: Attraverso la nostra terra (Re Popiel e altri versi), Mai da te, o città (Gucio incantato).


Sale è stata premio Silone Parma Inedito 2006. Questi versi di Lorenzo Mari sembrano spaziare con olimpica e ironica clarté da Pindaro ai contemporanei (fra quelli già ospiti in questo blog mi viene in mente Fabiano Alborghetti): i topoi del tempo fugace e delle mete da raggiungere, dei valori umani e del riconoscimento (personale e sociale, essendo le due "prospettive" interconnesse), il senso del cosmo immane- e trascendente… vengono trattati con notevole maestria: "io che non avevo inferto colpo / che avevo detto magari risolvo / la situazione con un colpo di spugna / la macchia di caino sulla mia pelle / risalta già di un piccolo bagliore verde / difficile da togliere alla vista…"

2 commenti:

Vincenzo celli ha detto...

ciao Lorenzo, dalla foto, se recente,
sembri molto giovane, eppure emerge dai tuoi versi, il peso del dentro,
la ricerca delle risposte, attraverso
il viaggio interno ai sentimenti e alle cose che ci capitano nella vita.
Osservare, è anche cercare di capire
e la poesia può essere una lente
che ci aiuta a vedere.
ciao,
vincenzo celli

IL GIORNALAIO DEL MALE ha detto...

Il vostro edicolante di fiducia augura a TUTTI una felice carriera poetica....hi hi hi!