lunedì 19 febbraio 2007
ma di me, passante al cellulare (Gabriella Bianchi)
EPIGRAFE
sparge, precor, flores
supra mea busta, viator
(Ostia, tomba 18 della sacerdotessa isiaca)
Quando la generazione della play station
sarà matura,
l’erba selvatica sarà cresciuta
sul mio nascondiglio,
avrò perduto tutta la mia luce
e invidierò della schiuma
una goccia frantumata in mille schegge
perché è viva sotto il sole
e lo riflette come un diamante
ma di me, passante al cellulare,
non resteranno che parole in forma di poesia:
disegni dell’anima, forse,
o graffiti del pensiero (il mio
esule dal circo mediatico
e perciò immerso nei ghiacci
della solitudine ennuyée).
E tu, passante, che conosci i risultati
delle partite di calcio
mentre tua moglie cucina immersa
nei vapori del gossip,
non fermarti su quell’erba selvatica
che sigilla i miei passi pellegrini
ma procedi verso il nero lucente SUV
per il quale hai ipotecato
l’infanzia dei tuoi figli
e sorridi, perché è sabato
e una ragazzina slava
affamata e triste di percosse
soddisferà le tue voglie.
FERRO di CAVALLO
Viviamo come animali prigionieri
nel padiglione ovest del dormitorio suburbano
ai piedi della città superba e in trono
governata da piccoli lacchè.
Dei boschi antichi restano le antenne.
Il vento ha strie di benzene.
Gli umani urlano eresie.
Il mercato dei corpi lambisce le case.
Il cielo avvampa.
Con una leggerezza che coglie abilmente nel segno, queste poesie di vivisezionano questo oggi così carico di gesti irresponsabili o di responsabilità eluse. Notevele anche l'aggancio classico al senso della morte per gli antichi paragonato alla sua odierna (desiderata ma mai attinta) rimozione: "non fermarti su quell’erba selvatica // che sigilla i miei passi pellegrini…"
Gabriella Bianchi è nata e vive a Perugia. Laureata in Lettere, lavora in Biblioteca. Ha pubblicato quattro libri di poesie; ha vinto alcuni premi nazionali sia per la poesia che per la prosa. E' presente in tre raccolte liriche nazionali. Ha avuto apprezzamenti da Mario Luzi, Giorgio Barberi Squarotti, Maurizio Cucchi (in "Scuola di poesia") e da Mariella Bettarini.
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