martedì 27 febbraio 2007

i volti achei delle campane (Davide Brullo)


si allargano solo dei bagliori ampi e squadrati nel niente – sembrano monoliti messi in luoghi strategici da genti a cavallo
d’inverno la steppa siderale è scabra – come qualcosa che dev’essere messo a memoria perché poi sparirà per sempre
non possiamo più spiegare nulla pensava ma accorgerci delle cose scieglierle o disprezzarle
e non abbiamo altro che le costellazioni – e nelle spaccature ultraterrene crollano il muso bestie basse – e la paura per le cose immortali


perché il Khan non accetta l’assalto delle cronache né la carta su cui gli avvistatori hanno calcolato la discendenza – «le cose sono lineari» risponde «e tutto ha un destino di fine» – così egli è davvero invulnerabile
e questi suoi territori tornano i luoghi di ciò che non ha rimedio – né ritorno – no non è la sosta – pedane di raccolta tra il rimpianto e la memoria – ma zone di spedizione in cui scorrono le vite – senza che nulla s’introduca e influisca nell’altro – ed egli è lì sulla piazza alta – aperta – e li vede
e puoi pensare che non ci sia un’azione più pura per l’uomo


qualcosa dice che non c’è più via – poi sopra i sedili di pietra che sembrano cose marziane il ghiaccio scoppia – su questo rifugio degli uomini grandinano meteore – dove hai passato la tua infanzia? dice
esistono solo luoghi di reclusione o spazi inconcepibili
e mentre dice che a decretarlo è il Khan egli vede l’erba semiscuoiata attorno ai gambali della chiesa – l’unico edificio attivo
«essere più aderenti di una lettera» ecco cosa può insegnare
ma basta una misera presunzione per perdersi – i volti achei delle campane guardano da pianura a pianura giudicando
almeno portassi tenerezza per lei – è lei che ha voltato la sua violenza in compito e onore
– in che cosa credi? dice la campana che lui ha chiamato Agamennone
il casco brucia come quello dei re santi per cui uccidere non è uccidere ma un ornato cenno di compassione –
sulla stanga al limite naturale della città una schiera di lucertole è fissa nella luce – ne sono una solida emanazione – e questa è l’unica giuria per gli uomini


"non possiamo più spiegare nulla pensava ma accorgerci delle cose scieglierle o disprezzarle": questo lungo verso (?) è un flutto tra gli altri che movimentano queste strofe dalle cesure a volte nette a volte elusive, il respiro è epico, paragonabile a quello di Alessandro Rivali per la forza di immagini come quella dell' "erba semiscuoiata attorno ai gambali della chiesa", immagini che stendono le parole a KO perché ne salti fuori l'anima. Non a caso l'autore frequenta e traduce la Bibbia.
Davide Brullo (1979) ha pubblicato due libri in versi (Annali, Atelier Edizioni 2004; Annali. Lustro, Mimesis 2006) e due volumi di traduzioni dall’Antico Testamento (Scanni, Raffaelli 2003; Il libro della sapienza, Medusa 2006). Fa parte della redazione di “Atelier”.

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