giovedì 22 febbraio 2007

Un nome ci lascia sulla terra (Andrea Temporelli)



(da Meridiano del nome)


Il medico in silenzio
controlla l’emorragia, non reprime
i lamenti. È paziente.
Contiene la sua scienza
fino al punto di quiete,
poi compie l’opera con molta cura.
Raccoglie in unità
il corpo in corruzione, gli spasimi e la febbre
con calibrate dosi
sconfigge a poco a poco dall’interno.
Rende l’attesa eterna
in precisione.




LETTERA DI RICCARDO


« Si alza l’arco del giorno
da questi luoghi
anche se aspiro i sogni di mio figlio
come un’ultima tirata di fumo
che so impiccato all’altalena azzurra
del cielo e dei miei occhi
sul lago che dorme il sonno del mondo
su cui mi affaccio
lungo le curve l’asfalto i paesi
fino al lavoro, qui, dove non parlo,
mangio in fretta un panino
o dall’ufficio vuoto scrivo lettere
come questa per te
quando il dolore allo stomaco è un sasso
che mi accompagna a sera.
Mi piego anch’io
che mi credevo la schiena di marmo,
ho il fiato rotto e gli occhi spalancati
(eredità non chiesta)
ci dormo, col fiato rotto, mi sveglio,
mi precipito ch’è già tardi.
È che non siamo mai partiti:
ce ne accorgiamo a un lampo di cristallo
risvegliati a una storia
al fianco di una donna sconosciuta
e amici, proprio loro, che si sposano.
I figli mai vedranno
che siamo innocenti nei nostri errori.
Ma è tardi e ti saluto,
ancora devo uscire
per sapere alla fine che non c’è,
la partenza: l’inizio
è irraggiungibile »



LA FORZA DEL LUOGO COMUNE


In un frangente inerte della vita
m’invitasti a fissare una mattina
le cime che graffiavano
biancoperfette il vetro.
Era un giorno fra i molti che dispersi
disperato in nessuna direzione
e proprio allora mi dicesti,
in quel punto schiarito
dalla furia del vento,
lì, tra il niente della mia voce
e il verdazzurro delle tue pupille,
che somigliava al mare
il tremito lontano.
Portavo – e non sapevi – come un bacio
l’addio della stagione;
non capivo l’assurda rispondenza,
ma tra febbraio e marzo udii
un rosso fremito
sul filo delle labbra
e mi esposi alla voce
come i ghiacciai alla luce che non nuoce.
In quel tratto preciso
in me piovve una fiamma e tu fingendo
indifferenza, senza più voltarti,
uscisti dall’inverno.




DOMINA


Tu sei gli anni più belli della vita,
gioventù che non torna,
e l’amore, l’amore senza fiato.
Tu sei slancio e ferita.

Presto sarai la piega delle labbra,
il solco accanto agli occhi e l’alta fronte.
Il tuo regno è di sale che corrode.

Sei la perdita in cui avanzo, il millennio
lasciato per un’epoca diversa.
Sei il proiettile puntato alle spalle
che non esplode.




LA STELLA A CHI SMARRISCE


La stella a chi smarrisce
io non esiste.
Quasi morto
tira su la testa a pelo d’acqua
e si dimentica: suona.

Troppo alto, troppo alto!

Troppo tardi:
un nome ci lascia sulla terra,
marcio.



"e mi esposi alla voce / come i ghiacciai alla luce che non nuoce": la parola poetica ha bisogno di orecchie che sappiano intenderla, altrimenti svaporano anche i più belli cristalli di ghiaccio e marciscono i nomi.
Andrea Temporelli (1973) è uno dei 120 poeti della sua generazione. Ha pubblicato Il cielo di Marte (Einaudi 2005)

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