venerdì 19 gennaio 2007
3 poesie di Pietro Federico
Nebbia
Fiori appassiti e bianchissimi
compaiono al tuo fianco.
Ti prego non andartene,
non ritornare lontano.
Siamo volti tenuti nel cuore
eppure concessi
come un segreto a fatica
abbandonato alla speranza.
Le campane non scuotono niente?
Pure stavo dicendo qualcosa
e non ricordo.
Non dovrebbe voler dire più niente
eppure dice più dei miei ricordi
questa festa senza nome.
Sei venuta da lontano?
Sei venuta.
Non sei tra queste ombre,
nel buio di quest’isola,
ora il cuore non è sui miei passi.
Tutto si è avverato come il canto degli uccelli
fa un respiro nel cadere della pioggia.
Lo splendore delle foglie non rinuncia
e cade.
Amore che ho per te,
ma che non posso comprendere.
Ti fai più vicino, nel cuore
di un mondo che non vedi
un frullo d’ali s’alza, smarrisce.
Ti rendi conto di un grazie
durato da secoli.
Freddo. Decisamente freddo.
Prima del parco
una farfalla bianca
attraversa nel buio tra gli alberi.
Niente ha volato tanto
chiaramente in bilico,
libera tra il niente
e la visione commossa del mondo.
Ecco la farfalla
rende al pubblico l’obesità del buio
la sua goffaggine il suo inchino.
La farfalla svolta dentro la visione
“Paura?” è una moneta
che brilla cadendo nel pozzo
il desiderio illuminato:
Ecco entra nel parco,
oltre il confine che non puoi violare,
guarda il volo impotente nel buio impotente
vedi non abbiamo
che l’aspetto di un dono.
Ecco entra nell’acqua,
non nel suo abisso,
“può piovere sul mare?”
Entriamo in troppo poco di noi.
Ti prego non sforzarti di ricordare.
***
Una madre arretra via dal letto
di una bimba spinta in una sala operatoria
dove può entrare solo il tempo.
Il tuo viso è nel chiarore del cuscino.
“Vorrei che tu potessi desiderare.”
Ma è per questa frase che sorridi.
So che il mio sguardo su di te trattiene
il desiderio di morire
quanto la notte è trattenuta
dal sonnambulo che apre
le tende nel cuore di un parco.
Vedrete,
in un modo o nell’altro,
saprete cosa conta l’Invisibile.
Un finestrino deve essersi aperto.
Da questo treno si socchiude il cielo
sul viola lontano delle colline.
La breve linea di mercurio
del sole tra le nuvole
prima di svanire
è come l’ultimo fiato tirato nel buio
da un lume che si allunga nella corrente.
Un dolore sul fondo del cielo
chiama come se sapesse.
“Chiudi gli occhi amore, chiudi gli occhi”
“Ma davvero non saprei
che cosa chiederti.”
Tendi la mano per una carezza.
C’è una nuca bianca appena
nella fioca luce della candela.
Dentro la finestra scura della cucina la visione
trema con un’unica certezza,
ma senza nessuna speranza.
Avere avuto un’occasione
sapere che non è rimasta casa dove dire
di avere lasciato il cuore.
C’è un silenzio speciale prima del buio
dove non sono rimaste storie
da raccontare tra la notte
e il bacio di tuo padre.
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1 commento:
“Le campane non scuotono niente?” questo decasillabo ascendente è una chiave madrigalesca alla poetica di Pietro Federico, molto sensibile ai riverberi dell’Oltre nell’adesso, che per questo – e per l’importanza data alla sfera delle emozioni profonde (“Non sei tra queste ombre, / nel buio di quest’isola, / ora il cuore non è sui miei passi.”) – potrebbe essere considerato un neoromantico, certo ben conscio della lezione del Novecento e di muoversi in una quotidianità ineludibile e imprescindibile: “Una madre arretra via dal letto / di una bimba spinta in una sala operatoria / dove può entrare solo il tempo.”
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