venerdì 20 settembre 2024

CINQUE RIOT-TEXTS DI IVAN POZZONI

 Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha introdotto in Italia la materia della Law and Literature. Ha diffuso saggi su filosofi italiani e su etica e teoria del diritto del mondo antico; ha collaborato con con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2018 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi IntroversiMostriGalata morenteCarmina non dant damenScarti di magazzinoQui gli austriaci sono più severi dei Borboni, Cherchez la troika e La malattia invettiva con Limina Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il Guastatore, con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni. È stato fondatore e direttore della rivista letteraria Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è stato fondatore e direttore della rivista letteraria L’Arrivista; è stato direttore esecutivo della rivista filosofica internazionale Información Filosófica; è, o è stato, direttore delle collane Esprit (Limina Mentis), Nidaba (Gilgamesh Edizioni) e Fuzzy (deComporre). Ha fondato una quindicina di case editrici socialiste autogestite. Ha scritto/curato 150 volumi, scritto 1000 saggi, fondato un movimento d'avanguardia (NeoN-avanguardismo, approvato da Zygmunt Bauman), con mille movimentisti, e steso un Anti-Manifesto NeoN-Avanguardista, È menzionato nei maggiori manuali universitari di storia della letteratura, storiografia filosofica e nei maggiori volumi di critica letteraria.Il suo volume La malattia invettiva vince Raduga, menzione della critica al Montano e allo Strega. Viene inserito nell’Atlante dei poeti italiani contemporanei dell’Università di Bologna ed è inserito molteplici volte nella maggiore rivista internazionale di letteratura, Gradiva.I suoi versi sono tradotti in francese, inglese e spagnolo. Nel 2024, dopo sei anni di ritiro totale allo studio accademico, rientra nel mondo artistico italiano e fonda il collettivo NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica).






a tutti quelli che hanno qualcuno da piangere

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

in nome della loro mancanza di ispirazione,

hanno la fortuna di non aver niente da ridere,

come nel ritornello de La donna cannone.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

una bottiglia di vino come amico fragile,

gli occhi gonfi pieni di dispiacere,

gli occhi gonfi di sangue come uno sbandato pugile.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

che si sentono da buttare via

e non hanno agli occhi zanzariere

che permettano di scacciare ogni fobia.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

stanati sulle labbra di un amore,

non trovano la forza di vivere

quando hanno strappato loro il cuore.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

sbattuti sulla riva come Ulisse,

nuovi eroi che non hanno niente da vincere

lacrime sulle ordinate e sangue sulle ascisse.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

ta-ra-da-dà, e le seconde strofe sono tutte da inventare,

devono apparire come stessero per sopraggiungere

come buche carsiche sulle strade dell’amore.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,

piangete, piangete, non lesinate

le lacrime si rimpiazzano con un buon bicchiere

smezzato a sorsi di lacrime bicarbonate.

 


 

Ezra Pound

 

La città non muore mai, avvolta in un alone di fuoco,

nemmeno se la coprono di cavalli di frisia,

non serve neanche riempirla di portoni taglia-fuoco,

la città è sola, si scioglie facilmente in un barattolo di magnesia.

 

Siamo tutti soli, siamo tutti fatti a pezzetti

i palazzi continuano a farci da cellophane

la solitudine ci impedisce di far progetti

proiettati come Prost in una mortifera chicane.

 

Le relazioni durano un tanto al metro

amore, amore, sì, ma con criterio

tutti morti, tutti alla Porta di San Pietro

con una scientifica vocazione al martirio.

 

È la festa del lavoro, dignità umana

si va avanti a raccomandati e figli di puttana,

tutti, depressi, ad attendere il Recovery Fund,

e finiremo con Mussolini a stringer la mano a Ezra Pound.

 

 


L’EPATITE IVA

 

Il contribuente italiano medio tra tasse, imposte e accise

subisce morsi e ricorsi stoici peggio che alla Corte d’Assise,

navigando sempre in cattive acque, lo hanno dichiarato santo

e contro le scottature da cartella esattoriale usa la tuta d’amianto.

 

L’epatite IVA è una malattia altamente contagiosa,

il cuneo fiscale ha la funzione di un catetere senza ipotenusa,

drenare liquidi dai buchi neri dei conti correnti non millanta

l’idea di far chinare concittadini sofferenti a quota Novanta.

 

La metafora del drenaggio, verso lo Stato italiano, non è balzana,

l’Agenzia delle Entrate ci rivolta i calzoni come indomita mezzana,

la malattia è ormai cronica, come terapia sedativa resta la flat tax

la calma piatta dei mercati internazionali non ci facilita il relax,

tra salvare 5.000.000 di italiani o incrementar lo spread

la scelta è tanto semplice che non ci vorrebbe un Dredd,

speriamo solo che un nuovo dottor Sottile non emetta prelievi forzati

sul 6‰ dei conti correnti dei soliti disgraziati.

 



LA TERZA VOLTA DI LAZZARO

 

Questa è la terza volta che mi levano il sudario,

sono ancora in grado di flexare senza l’uso di un rimario,

non riesco neanche a sperare nel famoso logos di un missile russo,

in cammino sulla strada verso Odessa con venti sintomi da reflusso

curiosissimo dello stato dello star system italiano bevo vodka ed un cachet

nessun refolo di cambiamento: dittatore di Atelier è restato Giuliano Berchet.

 

Spostato il masso del sepolcro, dopo sei anni, controllo il catalogo Mondadori,

sarà svanito il cucchismo, 0,9% del fatturato, e mi ritrovo i soliti cinque autori

Ruffilli, Lamarque, De Angelis, le solite novità settuagenarie, e l’Opera omnia di Viviani,

che a raccontare tutto in Macedonia e Kosovo non smetterebbero di batterci le mani,

Yēšūa, nel 2018, ti eri impegnato a regalarmi il dono dell’auto-felllatio,

nel 2024, con impegno, vedrò di fare il miracolo da solo, senza estensione del prepuzio.

 

Questo continuo rinascere, e sparire, rinascere, e sparire, mi sta mettendo in confusione

sono l’artista del Raduga, dello Strega e del Montano, o una valletta della televisione,

va a finire sempre nello stesso modo: inizio a scrivere e mi metto nei pastiche,

m’hanno detto che cito citazioni di citazioni come Lapo tira su le strisce,

le uniche citazioni le ricevo in Tribunale da mediocri titolari di associazioni di Rimbaud

che chiedono elemosina ai «dilettanti» allo sbaraglio asserragliati nei lit-blog,

ho idea che mi richiudo ancora nella tomba e mi rimetto a studiar l’abbecedario,

le donne sono andate tutte via, come cazzo faccio a rimettermi il sudario.

 

 


LA GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

 

Ricordo, anni fa, la giornata all’ospizio di Sesto San Giovanni

decine di vecchi a lanciar versi come in una voliera di barbagianni,

declamavano di amore, campagne, tutti i luoghi comuni del creato

molto simili a muezzin infoiati sui minareti del Califfato.

 

All’arte di Euturpe hanno dedicato un’intera giornata mondiale

ai nostri eroi un anno intero a far versi non riusciva a bastare,

cantano raggi di sole fino a condurre l’uditorio in stato di choc

e io non riesco a cantare che di Ippocampi avvinghiati a cotton fioc.

 

Oggi sarà la serata mondiale del corso e concorso

con claque che nemmeno il Berlusca da Barbara D’Urso,

centinaia di scrittori inutili, inquadrati in mostra alle decine di manifestazioni

la maggior parte in cerca di un’ora di noia e i soliti furbi a arraffare gettoni.

 

La giornata mondiale della poesia mi ricorda la Festa della Donna

milioni di uomini in fila, con mimose, a cantare i loro osanna,

lasciando bicchieri nel lavandino e mutande nella cesta

che tanto, domani, a lavarli sarà compito della Festa. 


Ivan Pozzoni

Kolektivne NSEAE

1 commento:

Ivan Pozzoni ha detto...

Ringrazio l'amico Alessandro Ramberti dello spazio concessomi