domenica 31 marzo 2024

La collaborazione poetica che avvicina e rivela “ciò che non può essere detto / in nessun altro modo”

Max Mazzoli, Quel che ricorda l’oblio (What oblivion may recall), Edizioni Diabasis, 2024

recensione di Giancarlo Baroni





La poesia di Max Mazzoli contiene una componente filosofica che non viene mai esibita, che è connaturata al testo poetico e con esso si amalgama senza sovrapporsi. La tendenza meditativa costituisce una caratteristica che ricorre frequentemente nei suoi versi e li identifica; caratteristica presente anche nella recente raccolta Quel che ricorda l’oblio (What oblivion may recall) stampata nel 2024 dalle Edizioni Diabasis. Un’altra qualità che anima e contraddistingue il corposo lavoro poetico di Mazzoli (questa è  la nona raccolta pubblicata) sta nel rigetto di una concezione dualistica del mondo, delle cose, del pensiero, dei sentimenti… I suoi versi rifuggono da ogni tentazione manichea che laceri in due la realtà; all’opposizione e  all’antitesi  l’autore preferisce la collaborazione, la compresenza riducendo al minimo steccati, confini, limiti, barriere e cercando piuttosto i punti di contatto e non di separazione, di incontro e non di conflitto «[…]Quel che era, e non sarà più. / Quel che è e non sarà. / Quel che avrebbe potuto essere. / Quel che è stato […]». Il suo sguardo è concentrato sul fluire, su quelle zone dove una cosa entra in contatto con qualcosa di diverso da sé  senza sopraffarla e anzi cedendole  una parte della propria identità. Nel divenire si possono scorgere a volte tracce sfuggenti dell’eternità, della permanenza: «Poi anche quello che credevamo perso / Avrà forse un suo luogo e un suo tempo / Nell’eternità e nell’oblio». 

Il libro, in cui l’aspetto metafisico e autobiografico si compenetrano, è composto da quattro sezioni formate ciascuna da dieci poesie in versione bilingue, italiano e inglese (più una sezione finale intitolata Mosaico del ritorno «significativamente composta dal riutilizzo di alcuni versi delle poesie precedenti» spiega Silvia Manzi nella Prefazione). Nato a Parma nel 1963 l’autore ha vissuto lungamente a Londra e Cambridge dove ha insegnato in scuole secondarie superiori e all’università. La versione bilingue non sottintende (questa la mia impressione) una divisione, di qua l’inglese e di là l’italiano e viceversa, ma si presenta come un prolungamento di una lingua nell’altra e di un completamento reciproco. Più che di traduzione si dovrebbe parlare di doppia e paritaria composizione e creazione.

Nella sua colta, raffinata e coinvolgente Prefazione Silvia Manzi sottolinea che «si fa strada fra i versi un’intensa meditazione sul significato dell’esistenza», si tratta di «martellanti quesiti sul vivere e sul morire, su quali siano le “cose che si possono cancellare, su quali “rimangono per sempre; interrogandosi su dove finisca ciò che si credeva perso». La Prefazione termina così: «Tremante, ma coraggioso inno alla vita in bilico tra sofferenza e rinascita, “tra ciò che sai e ciò che cerchi”». 

«Cosa ricorderà l’universo / della pena, del dolore, dell’amore?», scrive l’autore. A questa   inquietante domanda replicano questi suoi tenaci versi: «E anche se la morte ci attende, /  ora è tempo di scegliere la vita». Coraggio e sgomento, due facce inseparabili dell’identica medaglia.

La poesia, sostiene Mazzoli, ha la capacità e la possibilità di aprire orizzonti e scenari nuovi, di tracciare percorsi inediti, di formulare e porre domande senza risposta «che iniziano a rivelare ciò che non può essere detto / in nessun altro modo».



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