Quello che ancora restava da dire
di Giuseppe Carlo Airaghi
Prefazione di Alessandro Ramberti
Copertina di Dante Zamperini
Nel testo La via del padre disegno di Giacomo Ramberti
Fara Editore – Spiccioli (poesia)
pp. 104
ISBN 978-88-9293-004-9
Prezzo Euro 10,00
Recensione di Renzo Montagnoli pubblicata in Arte insieme
Dopo molte sillogi la cui comprensione non è facile di primo acchito – e nemmeno ritornandole a leggere più volte – una raccolta di poesie che già al primo colpo riesca a instaurare con il lettore un filo di empatia, che da un lato deriva dalla semplicità dell’esposizione e dall’altro dai temi trattati (non argomenti di notevole difficoltà, ma la vita stessa in tutte le sue sfaccettature, nel bene così come nel male), è indubbiamente un biglietto da visita benaugurale. Di questo autore non avevo mai letto nulla e l’opportunità di conoscerlo deriva dalla sua partecipazione al concorso Faraexcelsior 2020 con questa silloge, classificatasi al secondo posto. Oltre alle caratteristiche che ho riscontrato e indicate sopra, c’è anche una spiccata sincerità, un fermo proposito di non nascondersi dietro un velo di pudore al fine proprio di spalancare il proprio animo come una finestra in primavera (Da Per scrivere poesie: “Per scrivere poesie sincere / è necessario essere innocenti / e spietati come bestie senza morale, / essere il morso che strappa la carne dall’osso, / il cane bastardo che non molla la presa, / che scava nel fango, / che porta alla luce la preda occultata. / … ”).
Non mi è mai piaciuto l’ermetismo per l’ermetismo, come bastasse solo scrivere versi pressoché incomprensibili per realizzare una bella poesia; al contrario, credo che invece sia importante che la comunicazione poeta-lettore sia la più diretta e semplice possibile, ed è quel che cerco di fare io, e che ad Airaghi è riuscito perfettamente. Un esempio? Eccolo: Nella luce d’autunno – “Nell’oro delle sere d’autunno, / nella loro simbologia fraintesa, / ci incamminiamo lungo il sentiero / che costeggia la roggia. / In faccia alla forza del sole che cala / non so dove poggiare lo sguardo / e il passo che non regge il fulgore. // Come renderti evidente questa luce, / condividere a parole il respiro / che mi illudo di avere compreso? / Ci abbaglia un riflesso che canta / tra i rami di questi alberi spogli, / tra queste foglie gialle, arrese / alla luce clemente di ottobre. // Ripeto parole che in fondo / conosco, capisco da sempre: / quanta bellezza concessa / a sorreggere il peso del mondo.”
In una descrizione che sembra uscita dalla tavolozza di un pittore, c’è l’intento di rendere partecipi delle spettacolo della natura chiunque si accosti a questi versi, con un sottofondo di tenera malinconia indotta dalla stagione e che sembra preludere a una visione serena del mondo, da sempre solcato da stagioni, come metaforicamente la vita stessa degli uomini.
Pur non risultando quest’opera un capolavoro (forse lo sarebbe stata se l’autore fosse sceso più in profondità) tuttavia, per l’immediatezza dell’esposizione, per la sincerità profusa, per l’indubbia capacità di ricreare ambienti e atmosfere Quello che ancora restava da dire è una raccolta in grado di dare ampia soddisfazione e piacere a chi legge, riuscendo anche a trasmettere quella serenità di cui è permeata.
Nessun commento:
Posta un commento