lunedì 13 luglio 2020

La lingua e la poetica del noi

recensione di Elena Varriale a



L’ultima opera del poeta Alessandro Ramberti, Faglia-Faulto (Fara 2020) si divide in due parti: la prima è poetica, mentre l’altra è un vero e proprio Avviamento alla lingua internazionale esperanto. Dunque, l’autore ci propone poesia e lingua e non poteva essere diversamente. Lo studio delle lingue, infatti, lo contraddistingue da sempre (nel 1988 ha conseguito a Los Angeles il Master in linguistica e nel 1993 il dottorato in linguistica presso l’Università Roma Tre), così come la passione e l’amore per la poesia, documentati dalle sue numerose pubblicazioni, dagli importanti premi conseguiti e dall’ottima produzione culturale della sua casa editrice.  
Ma torniamo alla poesia, alla sua Faglia. La cifra del poiein di Alessandro Ramberti è chiara: con i suoi versi ci racconta, ci dice come sia saggio, leggero e consolatorio il sentirsi: nient’altro che un umano / terreno fecondo e creativo / un nome-di-fiato ma non vano.
La vita è dunque un valore prezioso in sé, per la luce che emana in ogni volto e in ogni fiato. Non è il solitario e dubbioso io a dare significato all’esistere, quel suo chiedersi, struggersi ed interrogarsi sul senso o lo scopo della carne, della pelle e del pensiero avuti in dono, quanto piuttosto il suo umile sapersi porgere o sentire l’altro. Lo scopo per Ramberti è: essere corpi segnaletici / puntati non proprio al vuoto al nulla / bensì a realizzare noi profetici.
La profezia è l’amore di Gesù, il suo ineguagliabile insegnamento, la sua delicata, amorevole e tenera predisposizione ad accogliere chiunque. L’uomo o Dio che abbraccia l’uomo, sempre e comunque: noi siamo pianeti interconnessi / presenze in simbiosi che si attirano / capaci di dare fuoco al vuoto.
La profezia è la méta, prima però ci sono i conti con le amare consapevolezze sui danni che le rabbie e le diffidenze generano nel mondo. Ramberti sente e vede la scorza dell’egoismo e dell’egocentrismo crescere, farsi sempre più dura come roccia secolare impenetrabile, dove solo la faglia può aprire un varco.
La faglia, infatti, smuove la compattezza, è lo squarcio inatteso che ridisegna i contorni e le profondità. È il salto quantico dell’immutabilità, il nuovo corso della pietra e dell’umano. La faglia ha una direzione – aprire nel petto sconsolato / un flusso vivace di acqua pura / un solco di cielo acquerellato – ma anche un’inclinazione, un angolo, una prospettiva. Permette di specchiare e perdonare le miserie umane: nessuno è isolato e chi si pensa / migliore non ha ai piedi ali / ma il cuore inceppato e travisato / vorrebbe vedere dalla cima / dal monte più alto non dal basso / dal lato di sé che meno stima.
Ramberti ricerca il buono dentro di sé e negli altri. Ha valori saldi e capacità di volo: Leggero sei aquila alta e scura / riposi cullato dalla brezza / sei scosso dal flusso dei pensieri / le solite formule si struggono / si fanno risacca di sirene / ti mostrano mondi che ti sfuggono.
E non è un caso, se il poeta ci propone l’avviamento alla lingua internazionale dell’esperanto (“colui che spera”), alla sua grammatica e sintassi, tutta incentrata sui suoni. È come se le lingue del mondo si fossero fuse in una sola lingua, è il ritorno delle parole e dei fonemi alla Torre di Babele. È la lingua “artificiale” dell’umanità e non di un solo popolo. È la lingua del noi, senza confini spaziali e temporali.

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