mercoledì 22 aprile 2020

Il poeta, il dubbio, il drone… “il canto del vento”

Carlos Sánchez, Folignano City Blues, Lìbrati 2019, pp. 143, € 13,00

recensione di Adele Desideri



Carlos Sánchez risiede da diversi anni a Folignano, comune della provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche. La sua ultima raccolta di poesie – bilingue, composta in italiano e in castigliano, dedicata, nel titolo, al paese che lo ospita nella parte della vita più quieta e forse più serena – tratta differenti temi, già presenti nelle opere precedenti, pubblicate per i tipi di Lìbrati.
In primis, la descrizione degli svariati fenomeni della natura, fotografati in versi limpidi e asciutti, nei quali ogni elemento del creato rimanda a una precisa sensazione, a un antico ricordo, a una recente emozione: “Lo scriverei sul muro/ che mi chiude il passo ogni giorno / su quella nuvola oscura / che somiglia a un angelo / nella neve della montagna / sulla corteccia dell’ulivo / sulla sabbia che bacia il mare / sulla tua mano tiepida / e se non fosse sufficiente / lo griderei all’aria / al vento / alla polvere dei giorni / al silenzio che parla. // Perché si vive / così in silenzio?//”.
Il silenzio torna spesso, nelle pagine di Sánchez, e segna momenti di dolorosa riflessività dell’autore. Come se le parole, quelle della poesia, ma anche quelle quotidiane, non bastassero, per esprimere tutto ciò che l’animo umano sente di dovere comunicare: il virulento impeto amoroso, la sofferenza, il rammarico, il sentimento della colpa, il ringraziamento, l’intima pace, la gioia, il senso del limite, il pensiero della morte: “L’uccello nero / si posa ogni tanto / sulle poche certezze / che ci rimangono / mette una X / su un amico / crea la notte / in pieno giorno. / Il suo volo è lento / ma senza pietà / e io proteggo / questi capelli bianchi / affinché un giorno / faccia il suo nido. / Non mi dolgo / della sua esistenza / le sue ali / fanno ombra / in questo cielo limpido. / Quando arriverà / spero solo / di avere per lei / un sorriso sulla labbra.//”.
La visione della natura e la percezione del sublime sono di frequente correlati, tanto nella letteratura, quanto nelle impressioni dell’uomo comune. Sánchez ne accenna, in molti passaggi di Folignano City Blues, perché si accorge, mentre si trova dentro le mura di casa, di quel che freme fuori, nei prati, nei boschi, nei torrenti, nei laghi – oppure lassù, nel cielo intravisto dalle finestre. Un brivido interiore coglie l’autore, un tremore malinconico, cosmico, gli si annida nel cuore e nelle vene: “Continuo a pensare a te / mentre sistemo le lenzuola / mi metto i pantaloni / la camicia le scarpe. / Un modo di recuperarti. / Poi contemplo / il disordine della stanza / che parla di me / di questa vita balbuziente. / (…) / Dò acqua alle piante / un po’ abbandonate / mi preparo il caffè / recito per un momento / il mantra del tuo nome. / Fuori / le rondini tessono / la primavera./”.
Non mancano mai, nelle opere di Sánchez, tratti di poesia civile. Nato in Argentina, esperto di comunicazione sociale, Sánchez ha collaborato con diverse organizzazioni internazionali delle Nazioni Unite. Ha conosciuto bene molteplici paesi nei differenti continenti, ne ha potuto registrare i crimini, le cattive amministrazioni, le negazioni dei diritti umani. E ritorna, a queste esperienze, col ricordo. Poi ne incide i versi – dichiarando il suo “(…) assurdo vizio (…) / di scrivere poesie /” – con una tonalità mesta di protesta: “gli indigeni sono stati civilizzati / poverini / gli alberi dei boschi / hanno fornito carta / per fissare tanti concetti inutili / le parole camuffate / hanno perso il loro valore d’uso. / Se mi aspetta un’altra vita / che sia di pietra / di montagna.//”.
Fisso e salutare, nella mente di Sánchez, è comunque il tema dell’autocoscienza, un’autocoscienza laica, pregna di nobili e condivisibili principi: “prega un dio che non conosci / consulta l’oroscopo / per disorientarti un po’ / prepara una frittata senza uova / coltiva figli e cani / ed elefanti ammaestrati / accetta la ciarlataneria degli altri / le promesse di un cielo riparatore / (…) / disordina l’ordine della tua vita / fai tutto quello che devi fare / ma fallo sempre con te stesso.//”.
E poi c’è l’ironia, fedele “amica” dell’autore – che tratteggia immancabilmente il suo sorriso, talora aperto e sereno, talaltra appena segnato dall’amarezza. Un’ironia che allude a un’esistenza vivace e incisiva, colma di sintonie e di disarmonie: “In quella macchina perfetta / di durata incerta / ogni tanto / si accende il proiettore / nella torre / e incomincia il film / in versione migliorata. / Lo schermo / non è invecchiato. / Si ripetono e ripetono / le scene / con gli anni / è migliorato il montaggio: / torna a sorridere / e a ballare / ti bacia. / La musica è la stessa / è un’altra / i dialoghi / impantanati nella memoria / brillano con nuova luce. / Non è cambiata la sala / il vecchio cinema di periferia / che ti porti dentro.//”. Queste strofe rievocano il film di Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso (1988, colonna sonora di Ennio Morricone), in cui si celebra la vita, la memoria, l’empatia tra i bambini e gli anziani, l’eros, ma soprattutto la spinta verso l’autorealizzazione, anche quando sembra ostacolata dalle più varie vicissitudini.
I versi seguenti potrebbero ugualmente introdurre – per l’intenso e calibrato timbro musicale, per  i rimandi emozionali, per la saggezza che li scandisce – in un cinema d’essai, la visione del capolavoro di Tornatore e di Morricone: “Questa mattina alzandomi / ho scoperto quella nuvola nera / che mi seguiva per casa / ho cambiato varie volte di posto / e stava sempre lì / sulla mia testa / non ho avuto bisogno di filosofeggiare / portava un messaggio chiaro. / I miei pensieri senza luce / il corpo senza comandi / si muoveva stordito. / (…) / A volte ha piovuto / da quella nuvola nera / ma ho trovato sempre un sole / una speranza / un ombrello di stelle/ per continuare a camminare.//”.
Molte poesie, in Folignano City Blues, sono in realtà dei micro-racconti in versi: colgono, nel quotidiano agire, un ininterrotto flusso di coscienza, sferzato dall’intimo palpitare dell’autore, sempre attento ai dati personali e altrettanto in sintonia con il contesto sociale contemporaneo. Ne è un prezioso esempio, il componimento titolato Un drone a Folignano City: “Un drone stava sorvolando la casa / chiusi le finestre per evitare / che annusasse tra le mie cose. / Rimasi preoccupato pensando / a chi avesse avuto l’idea / di mandarlo. / Lei non può essere / va bene che mi controlli / ma non la credo capace di tanto. / Poi iniziai a pensare / agli amici virtuali di Facebook / ma mi dissi / loro non hanno tempo / per dedicarsi a queste cose / preoccupati come sono / coi loro cani e gatti / con le loro torte e diete / con le loro foto turistiche / dai grandi sorrisi / con le loro poesie di amori / frustrati o inventati. / Mi rimase il dubbio / di Nostro Signore / ma con tanti problemi / che gli ha dato la creazione / sarebbe vanitoso da parte mia / immaginare che mi dedichi il suo tempo. / Dopo tanti anni di combattimenti / di battaglie perse e vinte / non mi viene nessuna risposta / a questa estranea apparizione: / ma lascio comunque / le finestre chiuse.//”.
Nel libro di Sánchez regna sovrano il dubbio. Un dubbio non razionalistico, quanto piuttosto teologico, interreligioso, in ultima analisi antropologicamente fondato, anche perché egli è Maestro di Qi Gong – tecnica di meditazione derivante dall’antica medicina cinese. E insieme, regna sovrana un’equilibrata speranza, radicata sia nell’indole dell’autore, sia nei suoi studi vicini alla sensibilità orientale. “Che il dubbio mi assista./”, scrive Sánchez, e altrove: “La cosa strana è / che si continua a sperare. //”.
Allora, se Sánchez si sente qualche volta “(…) un turista goffo / senza passaporto certo / che vaga senza consolazione / senza bussola / senza mappe / senza valigie/”, vola comunque alto il suo spirito, quando riconosce che “(…) la scopa del Signore / ha lavorato con forza / a Folignano City / sulle foglie agonizzanti / degli alberi / sulle trascurate strade / del municipio / sui panni / stesi alle finestre. / Il sole tiepido illumina / il canto del vento.//”.
Il canto del vento, della poesia, e del soffio vitale, divino e consolatore, che è in ogni uomo.


Milano, 11 aprile 2020


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