La
raccolta che si apre con i testi di Colibrì
e si conclude con le poesie A mio padre
presenta, a mio avviso, caratteristiche diverse nell’attitudine d’accostamento
alla scrittura.
Nella prima parte la forma espressiva, molto
essenziale, sembra cristallizzarsi in una raffinata letterarietà (la scelta
delle parole dotte, l’assenza di punteggiatura, l’incipit sempre minuscolo, la
compresenza di testi in carattere tondo e corsivo, a confronto, come eco o
alter ego).
Sembra di assistere allo svelamento di un
mondo sommerso che tende a risalire, a emergere luminoso come un risveglio
all’alba della creazione. Alle parole è affidata nuova espressività, nuovo
significato in un continuum
meditativo. Frammenti d’immagini, come flashback, interrompono la logica narrativa
ed evocano visioni bibliche in dimensioni cosmiche e temporali primordiali. È
una poesia che seppur nell’apparente assertività, sempre interroga la vita, si
fa analisi attenta per scoprire il senso del flusso cosmico.
e non sai perché a
volte / non hai forza di accostare / chi pure ami e temi / quasi contagiare di
un tuo malore …
Il
testo rivela un’inclinazione personale nel porsi in rapporto con la realtà: il
timore di essere sé stessi interamente.
Allora anche la struttura poetica costruita su
raffinati parametri letterari diventa schermo, scudo e rivela, a mio vedere,
una scissione intima tra il sentire e il meditare.
Risuona
l’eco del tempo in un confronto cosmico e l’attenzione è agli animali (delfini,
orsi, libellule, merli) agli alberi e ai fiori. Tutto è pervaso da una
musicalità umile: il poeta parla sottovoce quasi per non disturbare il flusso
del reale. Eppure anche una comunicazione di verità esperita connota i testi.
Le parole ricercate alludono a un’iniziazione, alla pretesa di un ascolto con
sensibilità nuova. E per far risuonare il mistero della vita la scrittura è a
tratti volutamente enigmatica ma delicata come un acquarello e insieme forte
nell’espandere concetti nella spazialità visionaria di un tempo dilatato che
tanto riflette studi biblici (soprattutto la Genesi, Il Cantico dei cantici, i
Salmi):
la vita che nasce / all’incontro
di vite / – di anime assai / più che corpi, …
Nella
splendida poesia e tu rubami / l’attimo –
se riesci – / il colibrì / fuoriuscito da strati / del vissuto, / il cuore che
palpita / all’attesa, / all’incrocio degli incontri, / all’erta è svelata la tensione-ispirazione del poeta al
volo alto e libero finalmente in totalità d’essere.
Dalla
terra, dagli strati di concrezione di materia, attraverso l’acqua e il fuoco
fino alla punta dell’anima un sommovimento in volo di elementi, atomi,
elettroni generano energie sempre più sottili nell’aria e nella scrittura
poetica.
Nella seconda parte del volume la poesia si fa
più discorsiva: il dolore trova catarsi nella parola.
Il sentire anima la scrittura con grande forza
espressiva e i testi comunicano con immediatezza pur sempre in una
controllatissima forma stilistica.
Aspiro
di tanto in tanto ancora, in silenzio ti assenti / a poco a poco, perdona le
nostre cure che insisti; e ora già è passato, la prima rossa dell’orto, occhi
di cielo, a te che pezzo a pezzo dal vero, sotto un cielo invernale sono
poesie che rimangono impresse nella memoria: sono piccoli capolavori di
riflessione, sensibilità, armonia e compiutezza linguistica.
In
esse si trova la pienezza di una visione, maturata attraverso l’esperienza del
dolore, unica e originale ma nel contempo universale per la profondità con cui
vengono affrontati quei contenuti che sono inevitabilmente radicati alla vita.
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