giovedì 19 settembre 2019

Lo scandalo del dolore diventa poesia

Giuseppe Vanni, Paris Necker, Fara 2017, rist. 2019

recensione di Enrico Carlini 
pubblicata in enricocarlini.blogspot


Il Paris Necker è un grande ospedale pediatrico di Parigi nel quale l'autore, qui alla sua terza raccolta di poesie, ha trascorso suo malgrado un periodo di grande sofferenza personale per stare vicino al figlio, affetto da una rara malattia genetica. Da quest'esperienza dolorosa Giuseppe Vanni ha tratto l'esigenza di scavare dentro sé stesso per tentare di aprire la propria vicenda personale a un significato di respiro universale.
Il tono intimo e a tratti straziante di queste poesie rendono molto difficile rendere conto della loro dimensione poetica e letteraria. A volte il lettore prova quasi imbarazzo nell’essere messo brutalmente di fronte a situazioni tanto private. In un certo senso, lo scandalo di questo libro è il suo interrogarsi sul dolore, il cercare di affrontarne la mancanza di senso all’interno di un meccanismo generale che ne prevede l’ineluttabilità quando invece, a livello mondano, bisogna fare i conti con la diffusa riluttanza ad ammetterne la presenza. In fondo, in questo rimestare continuo sul senso della sofferenza umana c'è anche una messa in discussione della nostra condizione esistenziale, incanalata a forza sul binario di una sorta di mitologica e, a volte, poco motivata felicità.

Da questa raccolta di poesie sembra nascere una domanda: possiamo sottrarci al destino che ci vede non solo bersagli ma anche artefici, non solo vittime ma anche carnefici? Oppure siamo intrappolati in un'eterna ruota circolare che non offre vie di scampo?

L’autore ha saputo tramutare un’esperienza tormentata in un messaggio di speranza rivolto verso il mondo. È riuscito a costruire sopra l'assurdità e la disumanità della condizione del figlio una riflessione in grado di aprire uno squarcio di umanità. Dalle tenebre alla luce, passando per una rielaborazione intellettuale e letteraria del proprio vissuto personale e di quello di altre persone segnate da un destino analogo con le quali Giuseppe Vanni ha fatto conoscenza durante il suo soggiorno nell'ospedale pediatrico.

I testi di Paris Necker si snodano lungo una via crucis le cui tappe rappresentano altrettante domande sul significato del dolore e del suo rapporto con il mondo, naturale e sociale. Ogni poesia parte dall'esplorazione della situazione personale e del rapporto dell'autore con il figlio per poi aprirsi a una dimensione universale, come se la sofferenza rappresentasse la chiave di accesso a una conoscenza più profonda del mondo reale.
Si alternano riflessioni sulla natura biologica del destino umano (“… se altro non siamo / che una sequenza / da recitare a memoria”, Il cercopiteco); tentativi di cercare sollievo nell’enumerazione classificatoria dei documenti medici (“mi rianimo, ordino / il nostro bagaglio: / referti, esami, pareri, / dimissioni, TAC-IRM; / ne controllo l’esatta / disposizione cronologica, / il preciso rintocco / sincronizzato / sulla malattia / che ti dà il nome”, La visita), sincere ammissioni della propria impotenza personale (“e spero / che se vivi / avrai pietà / di questo padre / del suo coraggio / al macero / e del gorgo / in cui debole / affoga / nella sera / senza di te”, Rianimazione) e accorate constatazioni della vita che sfugge (“Da tempo / sono appassiti / i nostri petali / e mai ne abbiamo / annusato l’odore”, Petites Fleures).

Emerge da questa raccolta di poesie la disperazione per un destino del quale non si riesce a intravedere lo scopo, la cui assurdità è esasperata dall'insensibilità e dalla crudeltà di coloro che ci stanno attorno, ormai assuefatti non solo al dolore, ma anche alla propria incapacità di metterne in discussione la necessità. Nelle descrizioni del ricovero traspare la volontà del padre di essere vicino al figlio, ma anche la paura di non saperlo fare e il senso di colpa che ne deriva. I particolari delle terapie mediche vengono utilizzati come metafore per esplorare la condizione umana, propria e universale (“Quanto / resta / ancora / da disinfettare / dei giorni / a brandelli / ricuciti / nella sutura / parietale?”, La medicazione), attanagliati dal dubbio che esista ancora un futuro e che invece tutto finirà per appiattirsi in un eterno presente, fatto di grigiore e di disperazione.

Indubbiamente l’esplorazione di una condizione estrema come quella legata alla malattia del figlio ha consentito all'autore di interrogarsi sul proprio destino da una prospettiva diversa, nella speranza di lenire il dolore incasellandolo in una valutazione freddamente contabile (“e del dolore / ti chiedo / rendiconto / delle lacrime / ti chiedo / riscontro / della pietà / ti chiedo / contabilità”, Recherche), abituati come siamo a una dimensione nella quale persino il sentimento della pietà viene soppesato con il bilancino di una ragione che non ha nulla a che fare con l’umanità.

Le peregrinazioni in una Parigi stanca e spettrale, in preda a un sentimento di profonda solitudine, accresciuto dai dettagli che si offrono allo sguardo dei turisti (bistrot, monumenti, etc.) non fanno altro che accrescere il senso di desolazione (“E più ancora / mi morde il cuore / questa grigia stagione / nelle sere che consumo / tra i vetri appannati / del bistrot / e gli sbuffi di fiato / sul boulevard deserto / in cui come un naufrago / cammino…”, Tunnel). Lo sfinimento conduce alla ricerca di verità metafisiche e all'ansia di espiazione (“Se la distorsione / occorra indagare, / o invece l’oscura / trama razionale, / l’ignoto peccato / che si incarna / nel pianto innocente / del fragile neonato. / A chi la colpa?”, Espiazione), nella speranza esile, ma pur sempre viva, di trovare una via di risalita dal baratro dell’angoscia e dell’umana disperazione.

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